Matteo Bortone
Autore
Bonus Cultura

Un esercizio commerciale avrebbe utilizzato in modo distorto il Bonus Cultura, ovvero quel contributo economico dello Stato destinato ai giovani per l'acquisto di libri, musei, musica e di materiale culturale in genere.

Tutto è partito da un’inchiesta giornalistica del 2022 che ha sollevato il velo su una gestione illegale dei fondi pubblici. E che portato alla scoperta, in particolare, di un esercizio commerciale che era riuscito a incassare quasi un milione di euro sotto forma di rimborsi da parte del Ministero della Cultura.

Il meccanismo era semplice quanto illegale: il negozio dichiarava di vendere prodotti consentiti dalle regole del Bonus, ma poi ai ragazzi consegnava dispositivi elettronici - pc, smartphone, tablet - che con la cultura, stando alla legge, avevano ben poco a che fare.

Indice

  1. Le indagini
  2. La ricostruzione della Corte
  3. La condanna

Le indagini

L'inchiesta è entrata nel vivo grazie al lavoro della Guardia di Finanza, che ha controllato i registri contabili dell'azienda. I finanzieri hanno subito notato una discrepanza clamorosa tra quanto dichiarato nelle fatture inviate al Ministero e la realtà del magazzino.

Sulla carta, il negozio avrebbe venduto “musica registrata digitale", una categoria perfettamente in regola. Peccato che, nei fatti, nella contabilità dell’azienda non ci fosse traccia di fatture d’acquisto per questi prodotti.

A incastrare definitivamente i titolari, poi, sono state le testimonianze dei giovani acquirenti, che hanno confermato di aver comprato telefoni e tablet utilizzando il proprio Bonus, nonostante questi fossero completamente esclusi dall'elenco ministeriale.

La ricostruzione della Corte

La Corte dei Conti ha analizzato ogni passaggio di quello che ha definito un vero e proprio disegno fraudolento. Secondo i giudici, i due imputati hanno orchestrato un sistema per approfittare del meccanismo di rimborso previsto per i fornitori.

I titolari dell'attività, infatti, si presentavano formalmente come venditori di beni culturali, pur senza però possederne né venderne. Una gestione, questa, che è stata giudicata dolosa, con risorse pubbliche deviate dalle loro finalità originali.

Il danno non è stato solo economico, ma ha riguardato anche il cosiddetto danno da disservizio. Questo perché il programma del Bonus Cultura aveva come obiettivo quello di promuovere la fruizione culturale tra i giovani. Mentre in questo esercizio, al contrario, le risorse sono state impiegate per tutt’altre finalità. 

La condanna

Il 2 dicembre scorso è arrivata la parola fine. I proprietari del negozio sono stati condannati in solido a risarcire il Ministero della Cultura per una cifra che corrisponde a 949.147,57 euro.

Questa somma comprende i 939.147,57 euro di rimborsi ottenuti indebitamente, a cui si aggiungono 10.000 euro per il danno da disservizio. Al totale andranno sommati anche la rivalutazione monetaria e gli interessi, oltre alle spese processuali poste a carico degli imputati.

A favore dei condannati, invece, è stata respinta la richiesta di risarcimento per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione. Questo perché, secondo la Corte, i due essendo privati non possono aver inciso direttamente sulla reputazione dello Stato.

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