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reggiseno digitale

Un reggiseno che si apre solo con l’impronta digitale registrata. Sembra fantascienza ma succede davvero, in Giappone.

L’idea è diventata virale in poche ore: un capo di lingerie che unisce biometria, design e consenso. Quindi niente gancetti, niente scuse. Se la tua impronta non è registrata, non c’è verso di aprirlo.

Indice

  1. Dal progetto universitario al trend virale
  2. Non solo lingerie, ma statement
  3. Le reazioni: hype o flop?
  4. Il futuro del design del consenso

Dal progetto universitario al trend virale

Tutto nasce tra i banchi di un’università nipponica, come progetto di wearable tech, ovvero tecnologia indossabile. Poi i social hanno fatto il resto: condivisioni, meme, discussioni infinite.

Il cuore dell’invenzione? Un micro-sensore biometrico, lo stesso che usiamo per sbloccare lo smartphone. Lo programmi, registri un’impronta digitale, e da quel momento solo quella persona può aprirlo. Alcuni prototipi hanno anche un LED che si illumina quando si sblocca.

Non solo lingerie, ma statement

Il reggiseno è pensato per essere indossabile davvero: tessuti leggeri, microchip impermeabile, batteria ricaricabile via USB.

Ma il punto non è la praticità. È il messaggio culturale: un capo che diventa simbolo di autonomia e fiducia reciproca. Un reminder che ci dice che l’intimità avviene solo quando la donna sceglie.

Le reazioni: hype o flop?

E come sempre, quando dal Giappone spunta un’invenzione che sembra uscita da un manga, le opinioni si dividono.

C’è chi lo applaude come un passo avanti nell’educazione al consenso, e chi lo trova eccessivo. I loro dubbi principali: serve davvero un sensore per gestire la vita privata? Non rischiamo di trasformare un momento intimo in un login biometrico?

Il futuro del design del consenso

Magari non lo troveremo mai nei negozi come ultimo "capo" fashion, magari resterà un prototipo da mostrare nelle fiere di design.

Ma il segnale rimane: la tecnologia non è solo utility o intrattenimento, può diventare custode delle relazioni.

E allora la vera domanda è: siamo pronti a far entrare i sensori biometrici anche nelle nostre relazioni più intime?

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