
Per molti, interrompere una relazione sembra impossibile, anche quando la quotidianità è diventata dolorosa o insoddisfacente. Secondo la psicologia, uno dei motivi principali è la cosiddetta "fallacia dei costi perduti", un bias cognitivo che ci spinge a non “buttare via” ciò su cui abbiamo già investito.
Il risultato è che restare diventa più semplice che affrontare la perdita, e lasciare andare, anche quando il legame non è più benefico.
Indice:
Non lasciarsi per non "sprecare"
La sunk cost fallacy, o fallacia dei costi irrecuperabili, si verifica quando continuiamo a impegnarci in qualcosa che non ci dà più soddisfazione solo perché abbiamo già speso tempo, energie o risorse.
Nel 1985, gli psicologi Hal Arkes e Catherine Blumer condussero un esperimento con due gruppi di spettatori teatrali: chi aveva pagato di più per gli abbonamenti partecipava a più spettacoli, anche se non li gradiva. In altre parole, rinunciare all’investimento precedente appariva come uno spreco.
Lo stesso meccanismo si attiva nelle relazioni: interrompere un legame significherebbe riconoscere che tutte le emozioni, i sacrifici e i progetti condivisi non hanno più valore, e questo provoca una sofferenza reale, amplificata dal nostro cervello, programmato più per evitare le perdite che per massimizzare la felicità.
Il cervello e l'avversione alla perdita
Il cervello associa la perdita a un dolore fisico: le aree cerebrali attivate quando sentiamo di perdere qualcosa sono le stesse coinvolte nel dolore fisico. Così, quando abbiamo investito tempo e emozioni, l’idea di lasciar andare il tutto genera disagio e sofferenza.
Per ridurla, la mente cerca giustificazioni per fa sì che restare sembri meno doloroso che affrontare la realtà della perdita.
Quando il bias influisce sulle relazioni amorose
Studi come quello di Johnson e Rusbult (1989) mostrano che il livello di impegno percepito rende difficile abbandonare relazioni insoddisfacenti. Più il legame è lungo o intenso, più il cervello giustifica il permanere: “ho investito troppo per lasciare”, “dopo tutto quello che fatto per lui/lei…”.
La fallacia dei costi perduti fa sì che la scelta di restare non dipenda dall’amore residuo, ma dal desiderio di non sprecare ciò che è già stato dato.
Differenze e punti di contatto con la dipendenza affettiva
Non tutte le difficoltà a lasciare una persona derivano dalla fallacia dei costi perduti. In alcune relazioni si innesca la dipendenza affettiva.
La dipendenza affettiva è un fenomeno ben diverso, in primis non è un bias del cervello: ha radici ben più profonde, che coinvolgono autostima e attaccamento, ed è alimentata dalla profonda paura dell’abbandono.
La differenza chiave è nel coinvolgimento:
- nella fallacia dei costi perduti, la persona resta nella relazione consapevole di non essere soddisfatta;
- nella dipendenza affettiva, la persona resta perché non riesce a immaginare la propria vita senza l’altro.
Spesso, però, i due fenomeni si intrecciano: chi soffre di dipendenza affettiva può usare la fallacia dei costi perduti come giustificazione razionale, mentre chi cade nella fallacia può sviluppare gradualmente una forma di dipendenza emotiva, diventando più legato col passare del tempo.