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accordo di belfast cos'eraSono trascorsi ben 25 anni dalla sigla dell'Accordo di Belfast che metteva una volta per tutte la parola 'fine' sui tumulti che da anni si consumavano in Irlanda tra cattolici e protestanti. Le crescenti tensioni nate addirittura trenta anni prima - alla fine degli anni '60 – erano scaturite dalla difficile condizioni in cui versava la comunità cattolica.
I cattolici si sentivano discriminati da un governo che per più di 50 anni era stato nelle mani degli unionisti protestanti.

In pochi anni però l'astio mutò in frequenti episodi violenti, fino a scadere nella guerriglia civile. Entrambe le fazioni – unionisti protestanti e cattolici repubblicani - potevano contare su formazioni paramilitari. Da un lato c'era l’IRA (Irish Republican Army), legata ai repubblicani di Sinn Féin, e, dall'altra, l’Ulster Defence Association (UDA), legata al Partito degli Unionisti (UUP). Cerchiamo di ricostruire le tappe storiche che portarono alla sigla di questo storico accordo.

Cattolici ai margini della società irlandese

Per comprendere ciò di cui parliamo, bisogna ripercorrere la tormentata storia nord-irlandese. Fin dalla nascita nel 1921, l'Irlanda del Nord, nazione del Regno Unito, aveva imposto ai cattolici - minoranza culturalmente legata alla neonata Irlanda indipendente - condizioni disumane, alla stregua del trattamento riservato un tempo ai neri degli Stati Uniti. Le loro vite erano state segnate da povertà, discriminazioni e dalla negazione dei più elementari diritti: dalla casa al lavoro, passando per il voto.

Ma nel 1967 una nuova generazione di studenti universitari provenienti dai ghetti cattolici si fece strada, inaugurando a Derry (in Irlanda), un movimento per i diritti civili che adottava lo strumento non violento della disobbedienza civile, sulla falsa riga del movimento pacifista di Martin Luther King. Le richieste dei giovani erano semplici e più che lecite: giustizia e democrazia, diritto di voto, diritto alla casa, abolizione di ogni forma di discriminazione. Ma la reazione del governo nord-irlandese fu brutale. Sempre più spesso, gruppi di estremisti protestanti attaccavano le marce a colpi di sassi e a bastonate mentre la polizia interveniva solo per arrestare i manifestanti aggrediti.

Bloody Sunday: la domenica di sangue

La situazione divenne talmente drastica che, nel 1972, il governo britannico fu costretto a sospendere l’autogoverno dell’Irlanda del Nord, prendendone il controllo politico: non senza qualche difficoltà. In quello stesso anno si consumò uno degli eventi più noti e tragici dei Troubles (così furono chiamati i conflitti nati in terra nordirlandese), la strage del Bloody Sunday. La domenica di sangue – così come è ricordata ancora oggi – andò in scena il 30 gennaio del 1972. In quel giorno si svolse una marcia pacifica proprio a Derry. A sfilare uomini, donne e bambini, in un corteo che aveva lo scopo di rivendicare i diritti civili di una fetta di popolazione troppo a lungo vessata e tenuta ai margini della società.

Quando, intorno alle quattro del pomeriggio, i manifestanti raggiunsero il ghetto cattolico di Bogside, un reggimento speciale di paracadutisti inglesi armato con mitragliatrici pesanti cominciò a sparare senza preavviso sulla folla. Tredici uomini rimasero uccisi sotto un inferno di fuoco che durò circa un quarto d'ora. Otto di loro avevano un'età compresa tra i 17 e i 20 anni: altre 14 persone rimasero ferite gravemente e una di loro morì alcuni mesi dopo.

L'escalation di violenze di fine anni '80

Da lì, fu una continua escalation di violenze, da ambo le parti. Va detto che anche il Governo inglese fece la sua parte, contribuendo alla morte di diversi civili come nel caso della domenica di sangue. La prima metà degli anni'80 fu particolarmente cruenta trascorsa nella solita routine di bombe, attentati e violenze settarie. Ma, se possibile, gli anni seguenti furono ancora più cupi. Il periodo tra il 1988 ed il 1993 fu tra i più violenti dell'intero arco del conflitto perché ad ogni offensiva dell'IRA, l'UDA rispondeva con altrettanta veemenza, grazie anche ad un arsenale di armi ben equipaggiato. Inoltre, l'uso sempre maggiore da parte dell'esercito britannico delle forze speciali, come la Special Air Service (SAS) e l'Intelligence, contribuì a rendere ancora più sanguinoso il quinquennio. Gli anni '90 videro un ridimensionamento delle ostilità, anche se non mancavano attentati mirati e pacchi sospetti recapitati ai membri del Parlamento irlandese. Fu l'elezione di Tony Blair, nel 1997 a guida del Governo britannico, a cambiare le carte in tavola.

La firma dell'Accordo di Belfast e la spinta di Tony Blair

Da quasi due anni si stava lavorando ai negoziati di pace ma, nonostante fosse stato fatto qualche progresso, le diffidenze reciproche e le perpetrate violenze dell’IRA e dell’UDA avevano fatto temere in più di un’occasione il fallimento dei colloqui. A dare una spinta nella giusta direzione fu l'ultimatum del mediatore, ed ex senatore statunitense, George Mitchell di stabilire il termine alla mezzanotte del 9 aprile per la fine dei negoziati. La prima bozza dell'accordo venne rifiutata dagli unionisti nord irlandesi, e fu allora che intervenne Tony Blair: era la prima volta che un Primo Ministro inglese sembrava intenzionato a porre fine alle ostilità. La mezzanotte del 9 aprile era ormai però passata e non sembrava si potesse arrivare ad un accordo. Bisognò aspettare le 17:30 del 10 aprile 1998 perché fosse annunciato il successo dei negoziati.

Accordo di Belfast: il primo passo verso la pace

Alla fine, gli Accordi del Venerdì Santo – che furono confermati con due referendum in Irlanda e Irlanda del Nord – ridisegnarono non solo i rapporti interni all'Irlanda ma ricalcarono anche quelli tra Irlanda e Regno Unito, stabilendo il riconoscimento reciproco delle istanze repubblicane e unioniste e definendo i rapporti tra i partiti nord irlandesi. Gli accordi si conclusero in realtà con estrema facilità: la maggioranza della popolazione nord irlandese desiderava continuare a vivere sotto il Regno Unito, mentre la maggioranza dei cittadini irlandesi aveva il desiderio opposto: una repubblica irlandese unita. Per la prima volta, il governo d’Irlanda accettò formalmente che l’Irlanda del Nord rientrasse nei territori del Regno Unito e si disse d’accordo a cambiare gli articoli della Costituzione che parlavano di unità dell’Irlanda.

Dall'altro lato, il Governo britannico cancellò l’atto del 1920 che aveva istituito l’Irlanda del Nord, mettendo fine alle proprie pretese di sovranità su tutta l’isola. Tra le altre cose, gli accordi portarono all’elezione dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, e la nascita del suo complesso sistema di divisione dei poteri.