
Sta facendo il giro dei social la storia di una madre e insegnante che, invece di vietare o controllare in modo rigido l’uso dello smartphone da parte dei figli, ha scelto la via del dialogo. La protagonista è Vania, maestra e mamma di Viola, che nel momento di consegnarle il suo primo cellulare personale, a 14 anni, ha deciso di farle firmare un vero e proprio “contratto educativo”.
Un accordo scritto e condiviso tra genitore e figlia, con otto regole precise per l’utilizzo del telefono, per favorire un approccio più consapevole e responsabile al mondo digitale.
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Un contratto per imparare la responsabilità digitale
“Un anno fa", scrive la maestra Vania su Facebook, "consegnavamo a Viola il suo primo cellulare e con esso questo ‘contratto’ che, a distanza di un anno, è ancora in vigore. Come genitori abbiamo il compito di educare, sorvegliare e guidare i nostri figli anche in questa esperienza”.
L’obiettivo del documento, spiega la docente, è quello di accompagnare i ragazzi nell’uso della tecnologia, non di limitarli. Il contratto, infatti, non vieta l’utilizzo del telefono, ma stabilisce regole chiare: un equilibrio tra fiducia e responsabilità, tra libertà e consapevolezza.
Le otto regole: dal rispetto degli orari al valore della presenza
Le regole del contratto toccano diversi aspetti della vita quotidiana e possono adattarsi a molte altre situazioni in cui i minori chiedono ai genitori di avere uno smartphone tutto proprio.
Tra i punti messi nero su bianco, l’obbligo di consegnare il telefono ogni sera alle 20.30, il divieto di portarlo a scuola e una raccomandazione importante: “Quando sei in compagnia, spegnilo: meglio parlare”.
Altre regole, poi, riguardano la sicurezza online e l’uso dei social: non condividere informazioni personali, chiedere sempre ai genitori in caso di dubbi e ricordarsi che ciò che si pubblica rimane in rete. “Devi sapere", recita una delle clausole, "che lo smartphone è uno strumento, non un diritto”.
Un patto ancora valido dopo un anno
Il contratto tra madre e figlia è stato redatto un anno fa ma, come racconta la maestra, “è ancora rispettato e attuale”. Un segnale che il metodo funziona: “Il nostro intento non era punire o controllare, ma educare all’autonomia”.
Il post, pubblicato sul profilo Facebook di Vania, ha raccolto centinaia di commenti e condivisioni da parte di altri genitori e insegnanti, molti dei quali hanno definito l’iniziativa “un esempio da seguire”.
Un modello educativo che fa discutere
L’esperimento della maestra Vania è diventato, così, un piccolo caso virale. Molti utenti lo considerano un modello di educazione digitale condivisa, capace di prevenire abusi e dipendenze da smartphone senza ricorrere a divieti assoluti.