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Se qualcuno impone il divieto di chiamare suo figlio “Pikachu” significa che qualcuno l'ha fatto veramente. E non è stato, purtroppo, un caso isolato.

Indice

  1. I nomi kirakira: creatività o confusione?
  2. Da Pikachu a Naiki (Nike)
  3. Una legge per mettere ordine… senza spegnere l’identità
  4. Quando un nome diventa un caso mediatico

I nomi kirakira: creatività o confusione?

Negli ultimi decenni si è diffusa la moda dei nomi kirakira, che in giapponese significa “luccicanti”, ovvero nomi scelti non solo per il significato, ma anche (e soprattutto) per la pronuncia creativa o sorprendente dei caratteri kanji.

Ma da questa settimana, in Giappone, è cambiato tutto. Con un aggiornamento alla legge sul registro di famiglia, il governo ha imposto nuove regole: i genitori dovranno dichiarare la lettura fonetica ufficiale dei caratteri scelti per i nomi dei figli, e non potranno più inventarsi versioni troppo bizzarre o inusuali.

La legge impone che i genitori indichino come va letto il nome del figlio, e questa lettura deve rientrare tra quelle comunemente accettate.

Da Pikachu a Naiki (Nike)

Negli anni '90 ha iniziato a diffondersi un fenomeno curioso: nomi di battesimo sempre più eccentrici, con pronunce ispirate a personaggi famosi, marchi, oggetti preziosi o persino concetti astratti.

Il tutto giocando con la flessibilità dei kanji, che possono avere più letture possibili. Risultato? Bambini chiamati Pikachu (come il Pokémon), Naiki (da Nike), Daiya (Diamond), Pu (come Winnie the Pooh), o Kitty (come Hello Kitty). C'è stato anche chi ha registrato i figli come Ojisama (Principe) o addirittura Akuma (Diavolo).

Il problema non era solo il cattivo gusto o la voglia di lasciare tutti a bocca aperta alla prima stretta di mano, ma le complicazioni pratiche: nomi difficili da pronunciare a prima vista, incomprensibili per medici, insegnanti e impiegati pubblici, che ogni giorno devono interagire con questi dati.

Una legge per mettere ordine… senza spegnere l’identità

Da ora in poi, solo le pronunce ufficialmente riconosciute dei kanji saranno ammesse. Se i genitori propongono una lettura troppo fantasiosa, verrà loro chiesta una spiegazione scritta. E, nei casi più estremi, saranno invitati a scegliere un’alternativa più accettabile.

Come ha spiegato il Ministero, lo scopo è duplice: "Da un lato, semplificare la digitalizzazione della burocrazia; dall’altro, evitare che nomi “shock” finiscano per penalizzare i bambini nella vita quotidiana o diventare oggetto di derisione tra coetanei".

Quando un nome diventa un caso mediatico

Anche i personaggi famosi non sono stati risparmiati dalle critiche. Seiko Hashimoto, ex campionessa olimpica e dirigente dei Giochi di Tokyo 2020, ha attirato l’attenzione quando ha chiamato i suoi figli Girishia (Grecia) e Torino (Torino), in onore delle città che ospitavano le Olimpiadi nell’anno della loro nascita.

Hashimoto aveva scelto personalmente i kanji, quindi sapeva come pronunciarli, ma per chiunque altro leggere quei nomi sarebbe stato un rompicapo.

Ecco perché la nuova normativa vuole ridurre al minimo i malintesi fonetici: una mossa che, pur lasciando spazio alla personalizzazione, cerca di tenere insieme individualità e chiarezza.

Data pubblicazione 16 Giugno 2025, Ore 15:40 Data aggiornamento 16 Giugno 2025, Ore 18:05
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