
Nell'era dei cuoricini, come cantano i Coma_Cose, delle infinite chat via social e delle spunte blu, c'è un fenomeno che si diffonde sempre di più e lascia dietro di sé dolore e punti interrogativi: il ghosting. Con questo termine si intende l’atto di scomparire dalla vita di qualcuno senza una parola, così all’improvviso, causando una sofferenza psicologica che si rivela più duratura e profonda rispetto a un chiaro rifiuto.
Questa è la conclusione a cui è giunta una ricerca condotta da Alessia Telari, Luca Pancani e Paolo Riva del Dipartimento di Psicologia dell'università di Milano-Bicocca. Il lavoro, pubblicato sulla rivista 'Computers in Human Behavior', si intitola 'The Phantom Pain of Ghosting: Multi-day experiments comparing the reactions to ghosting and rejection'. E, come spiegano gli autori, si tratta del primo studio a osservare in tempo reale come le persone reagiscono a questa sparizione immotivata.
Il fenomeno del ghosting, infatti, non riguarda solo la fine di una love story, ma si configura come una forma di esclusione sociale digitale che può avvenire in qualsiasi contesto: anche tra amici o in ambito professionale.
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L'obiettivo dello studio
Il team di psicologi di UniMiB, per capire l'evoluzione delle reazioni psicologiche, ha usato un metodo sperimentale unito a questionari giornalieri. L'obiettivo principale non era indagare come finisce una storia d'amore, bensì analizzare le reazioni all'interruzione improvvisa e definitiva di una comunicazione interpersonale, considerata dagli autori una tipologia di ostracismo, ovvero l'essere ignorati o esclusi.
La ricerca è nata proprio per mettere in discussione quella idea diffusa secondo cui, nelle relazioni brevi o poco profonde, il ghosting sia un modo più delicato per chiudere un rapporto. Attraverso l'esperimento, i ricercatori hanno potuto studiare come cambiano nel tempo le risposte delle persone al ghosting rispetto a un rifiuto esplicito.
La raccolta dei dati
I partecipanti allo studio sono stati coinvolti in brevi conversazioni quotidiane via chat con un partner, che in realtà era un collaboratore dello studio. Ogni giorno, compilavano un questionario per registrare le proprie emozioni e percezioni.
A metà dell'esperimento, il colpo di scena: alcuni venivano improvvisamente ignorati, simulando un episodio di ghosting. Altri ricevevano un rifiuto esplicito o, al contrario, continuavano a dialogare normalmente.
Questo approccio, definito "unico nel suo genere", è stato cruciale. Ha permesso di monitorare l'evoluzione quotidiana del disagio emotivo e di evidenziare come il silenzio prolungato del ghosting produca effetti più duraturi rispetto a un rifiuto diretto.
Come chiarisce Telari: "Entrambi i fenomeni suscitano risposte negative e minacciano bisogni psicologici fondamentali, ma il ghosting mantiene le persone intrappolate in uno stato di incertezza che ne ostacola la chiusura emotiva".
I risultati: l'incertezza che alimenta il dolore
I risultati dei ricercatori della Bicocca confermano che l'interruzione di una relazione è dolorosa, a prescindere dalla modalità con cui avviene. Ma la differenza tra rifiuto diretto e ghosting è netta, soprattutto nella durata della sofferenza.
Il rifiuto esplicito genera una reazione emotiva intensa, sì, ma più immediata e breve, seguita da un progressivo recupero. C'è un prima e un dopo.
Il ghosting, invece, è una trappola emotiva: lascia le persone in uno stato di incertezza e confusione prolungata. Questa condizione ostacola l'elaborazione dell'esperienza e mantiene elevati nel tempo stati negativi come dolore e senso di esclusione. Inoltre, chi viene "ghostato" tende a percepire l'altra persona come meno morale rispetto a chi riceve un rifiuto diretto.
Telari conclude: "Al contrario di quanto si pensa, i risultati evidenziano che la comunicazione conta, anche quando si decide di chiudere una relazione considerata poco importante. Capire come reagiamo al ghosting può aiutarci ad affrontare meglio le rotture digitali e promuovere interazioni più consapevoli ed empatiche anche online".