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di paolodifalco01
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Fonte foto: Google Maps

Lunedì 22 febbraio alle 10:15 (9:15 da noi) è stato ucciso l’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.

Facevano parte di un convoglio delle Nazioni Unite che si stava dirigendo da Goma (capoluogo della provincia del Kivu Nord) a Rutshuru per ispezionare le attività del World Food Programme. Nei pressi di Kibumba, però, la carovana di auto viene fermata da un commando di sei/sette aggressori, che inizia a sparare uccidendo sul colpo l’autista congolese.

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    Attanasio e Iacovacci vengono invece trascinati in mezzo alla foresta. Una pattuglia dell’istituto congolese per la conservazione della natura e un’unità dell’esercito congolese sentono gli spari a poche centinaia di metri e si precipitano subito in soccorso. E’ proprio durante lo scontro a fuoco tra gli assalitori e i ranger che l’ambasciatore viene colpito, morendo prima di raggiungere l’ospedale. Gli assalitori riescono a fuggire con le restanti quattro persone, presenti a bordo del secondo veicolo del convoglio e con il carabiniere Iacovacci, che verrà ucciso in un secondo momento, dopo all’incirca un chilometro e mezzo. Questa la cronaca di quei tragici momenti, che mostrano la cruda realtà di un Paese ricco di giacimenti minerari ma allo stesso tempo molto povero.

    Un Paese diviso tra gruppi armati e violenza

    Non è un caso che l’ambasciatore Attanasio, il carabiniere Iacovacci e l’autista Milambo vengano uccisi in mezzo al parco nazionale Virunga, zona particolarmente instabile che si trova al confine tra Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Rwanda e che da quasi trent’anni non riesce a trovare pace. Diversi gruppi armati che si fronteggiano si trovano in queste zone.
    Tanto è vero che alcuni accusano dell’assassinio i ribelli Hutu del Rwanda (gli autori del genocidio del 1994). Altri, invece, pensano a una delle tante bande di briganti che saccheggiano ripetutamente i villaggi circostanti, abitati in prevalenza da contadini e allevatori. Nel territorio opera anche l’Isis attraverso la Islamic State Central Africa Province che, finanziata dalla filiale jihadista somala, sta assumendo sempre maggior potere ma, in genere, depreda soprattutto banche e caserme.
    Ad accomunare questa miriade di gruppi armati è sicuramente la violenza che, come durante il conflitto congolese (1998-2003), avviene attraverso veri e propri stupri sistematici nei confronti di nemici e civili. Donne, bambine e anziane sono proprio le vittime prescelte di tale violenza, a cui si è tanto dedicato Denis Mukwege, premio Nobel per la pace nel 2018 che, con il suo Panzi Hospital a Bukavu, ne ha curato oltre 40.000. Molto frequenti anche i rapimenti di bambini, per trasformarli in schiavi sessuali o in combattenti. Perché? Secondo un’assurda credenza i bambini sono più crudeli di un adulto.

    I dati fotografano una situazione insostenibile

    La miseria è una delle conseguenze dirette di questa situazione di profonda violenza e instabilità: il 71% della popolazione vive sotto il livello di povertà, le morti infantili sotto i 5 anni sono 94,3 per ogni mille nati, la speranza di vita media è di 57,7 anni e quasi un quarto dei congolesi al di sopra dei 15 anni è analfabeta.
    Di certo la situazione ambientale non va meglio, anzi: nella foresta del bacino del Congo (la seconda del pianeta dopo quella amazzonica) sono stati disboscati 11,4 milioni di ettari, spesso ad opera delle multinazionali che, attraverso il cosiddetto landgrabbing, si accaparrano queste terre a basso prezzo.

    Il ruolo delle “missioni” sul territorio

    Su questo territorio ricco di minerali ma sostanzialmente povero, dato che i giacimenti sono in mano a pochissimi, il contributo dei vari attivisti e missionari è molto importante. Non dobbiamo dimenticare che è ancora presente sul territorio una delle più grandi missioni di peacekeeping delle Nazioni unite - la Monusco - con oltre 15.000 soldati di ben 47 nazioni.
    Tanti sono anche i vari volontari che fanno capo ai Cavalieri di Malta, all’ordine del Santo Sepolcro o alla comunità di Sant’Egidio. Tra questi non si può dimenticare il prezioso lavoro e aiuto sul campo fatto da Medici Senza Frontiere, da anni in prima linea per combattere l’epidemia da ebola.

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    Paolo Di Falco