
La presa di Kabul è stata facilitata dal ritiro delle truppe statunitensi e della coalizione Nato - che presidiavano il Paese dall’inizio del terzo millennio - annunciato dal presidente americano Biden lo scorso maggio e da completarsi, presumibilmente, il prossimo 11 settembre, ovvero vent’anni dopo l'attacco del gruppo terroristico di Al-Qaeda alle Torri Gemelle che trascinò gli Stati Uniti nella guerra più lunga della loro storia.
La conquista di Kabul in tempi più rapidi del previsto, però, ha gettato il Paese in preda al caos: in queste ore infatti prosegue senza sosta l’evacuazione dei cittadini americani, europei e di coloro che hanno collaborato con le rispettive ambasciate. Ma, iniziamo dal principio, perché gli americani si trovavano in Afghanistan?
Cosa ci facevano gli americani in Afghanistan?
Tutto ha inizio proprio l’11 settembre del 2001, ovvero da quando quattro aerei di linea di United Airlines e American Airlines vennero dirottati da 19 terroristi del gruppo terroristico di Al-Qaeda, allora capeggiato da Osama Bin Laden. Due aerei furono fatti schiantare contro le Torri Nord e Sud del World Trade Center di New York - tra i principali simboli del mondo e della finanza occidentali - che poco l’impatto crollarono su sé stesse. Un terzo aereo fu invece fatto schiantare contro il Pentagono, sede del Dipartimento della Difesa, mentre il quarto aereo venne fatto inizialmente dirigere verso Washington ma precipitò successivamente in un campo in Pennsylvania, a seguito di una eroica rivolta dei passeggeri. A perdere la vita in quegli attentati furono 2.996 persone, più di 6.000 i feriti.La risposta militare del mondo occidentale fu immediata e all’epoca largamente appoggiata dall’opinione pubblica. Anche se, oggi, viene giudicata “spropositata. Il 20 settembre l’allora presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, chiese al governo dei talebani di consegnare Osama Bin Laden e di chiudere i campi di addestramento di Al Qaeda presenti nel Paese asiatico. Tuttavia, il giorno seguente i talebani rifiutarono l’ultimatum americano e così il 7 ottobre 2001 partì l'Operazione “Enduring Freedom”.
Stati Uniti e Regno Unito iniziarono una campagna di bombardamenti aerei in Afghanistan contro Al-Qaeda e i talebani, mentre via terra andava avanti l'offensiva dell'Alleanza del Nord. Kabul cadrà il 14 novembre e il 5 dicembre, dopo l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e successivamente verrà creato l'International Security Assistance Force (ISAF) per mantenere la sicurezza in Afghanistan e assistere il governo di Kabul. Dell'Isaf farà parte anche un contingente italiano, schierato prima a Kabul e poi a Herat.
Ma chi sono i talebani?
La parola "talebano" in pashtu (lingua parlata in Afghanistan) letteralmente significa "studente" o "ricercatore". Come movimento, invece, fu fondato dal mullah Mohammed Omar, morto nel 2013, ed era costituito da studenti che si erano formati nel 1994 nelle scuole coraniche di Kandahar. Quest’ultimi avevano raccolto diversi seguaci promettendo di ripristinare la pace e la sicurezza dopo la lunga guerra contro i sovietici, che avevano occupato il paese dal 1978 al 1989. Grazie a un vasto seguito, conquistarono Kabul nel 1996 e rimasero al potere per cinque anni, fino al 2001, quando il loro regime fu rovesciato dall’intervento americano.Nei cinque anni in cui i talebani furono al potere diedero vita all’Emirato Islamico dell’Afghanistan guidato dallo stesso mullah Omar. Pakistan, Emirati Arabi e Arabia Saudita furono gli unici Stati nel mondo a riconoscere la legittimità dell’Emirato e ad appoggiarlo con aiuti in denaro e umanitari. Ad assistere il mullah Omar c’era la Shura suprema, una specie di “consiglio di amministrazione” composto da una trentina di persone con ruoli sia politici che militari, che inviavano le direttive ai leader di medio e basso rango affinché applicassero le regole decise dal vertici. L’economia del regime si basava soprattutto sulla coltivazione afghana del papavero da oppio.
L’Emirato islamico si caratterizzò, però, soprattutto per una stretta interpretazione della sharia, ovvero la legge islamica. I talebani crearono infatti delle squadre di “polizia morale” che avevano il compito di far rispettare le rigide regole del regime: le donne, per esempio, erano costrette a indossare il burqa, potevano uscire in strada solamente se accompagnate dagli uomini altrimenti venivano picchiate, non potevano né svolgere incarichi pubblici né frequentare le scuole né guidare o lavorare.
Oltre a queste limitazioni, uomini e donne potevano frequentarsi solo se erano parenti tra loro, erano vietate le relazioni omosessuali, la musica e il calcio vennero banditi e lo stadio di Kabul venne usato per le esecuzioni pubbliche. Accanto al rispetto della rigida legge islamica, secondo cui l’adulterio veniva punito con la condanna a morte per lapidazione (ma anche per reati banali erano previste pene esemplari come il taglio delle dita per chi osava indossare lo smalto), i talebani si macchiarono di diversi massacri dei civili afghani insieme ai soldati di Al-Qaeda, ben 15 secondo i dati ONU.
Cosa accadde dopo la caduta dell’Emirato islamico?
Dopo la caduta del regime dei talebani, a dicembre 2001, fu instaurato il governo di transizione di Hamid Karzai e ai militari della ISAF - Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza - fu dato il compito di addestrare l’esercito afghano per la costruzione di uno Stato democratico. Lo stesso Karzai, nel 2004, verrà proclamato presidente della Repubblica islamica dell'Afghanistan e nel 2009 sarà confermato per un secondo mandato.I leader dei talebani fuggirono in Pakistan, a Quetta, nella regione del Belucistan. Negli anni il gruppo ha continuato a reclutare combattenti e si è organizzato in maniera decentrata, riuscendo a mantenersi influente in molte zone afghane. Nel 2007, per esempio, sequestrarono l’inviato de La Repubblica Daniele Mastrogiacomo che, grazie all’intervento di Emergency, venne liberato dopo due settimane dal rapimento.
Nel dicembre del 2009 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama decise di inviare altri 33mila soldati statunitensi in Afghanistan, con le truppe internazionali impegnate nel Paese che raggiunsero le 150.000 unità. Il 1° maggio del 2011 in un raid ad Abbottabad, in Pakistan, venne ucciso Osama Bin Laden. Così si arriva all’agosto del 2017, quando l’ex presidente Donald Trump rese pubblica la sua intenzione di ritirare le truppe americane e nel 2018 iniziano le trattative di pace tra i Talebani e delegati Usa a Doha, in Qatar.
L’intervento di Biden e la drammatica situazione attuale
L’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha ratificato la decisione del suo predecessore lo scorso maggio e dato inizio a un graduale ritiro delle truppe, con la fine prevista nella data simbolica dell’11 settembre. Contro ogni previsione, però, a pochi giorni dal ritiro definitivo delle truppe statunitensi, l’Afghanistan quasi senza alcuna resistenza è nuovamente caduto nelle mani dei talebani. Dopo la presa di Kabul, il presidente Ashraf Ghani è scappato all’estero e le ambasciate occidentali hanno cominciato a evacuare il personale con gli elicotteri.Il 17 agosto i “nuovi” talebani hanno tenuto una conferenza stampa per rassicurare l’Occidente. Il portavoce, Zabihullah Mujahid, ha ribadito che i diritti delle donne saranno rispettati “nell’ambito della legge islamica” e inoltre ha annunciato un’amnistia per i dipendenti del governo appena caduto e per chi ha collaborato con gli occidentali. Malgrado questa retorica rassicurante i talebani sembra che non abbiano affatto rinunciato ai loro metodi e che intendono ristabilire l’emirato islamico dell’Afghanistan.
A riprova di ciò il fatto che, mentre cercano di mostrarsi democratici ai governi occidentali, in molti territori conquistati hanno già iniziato a fare i rastrellamenti delle donne nubili, degli attivisti e dei soldati che hanno combattuto contro di loro. Continuano le esecuzioni, mai interrotte, così come i divieti: nelle zone conquistate le donne hanno già dovuto abbandonare il lavoro, la musica è stata immediatamente proibita e sono ripresi i rapimenti di adolescenti per i matrimoni forzati.
Proprio per questo, migliaia di afghani hanno già lasciato il Paese e altri si sono riversati nell’aeroporto di Kabul da dove partono gli aerei militari con i cittadini stranieri e i collaboratori afghani. E da qui provengono le strazianti immagini che abbiamo visto negli scorsi giorni: persone che si aggrappano alle ruote dei cargo nel tentativo di fuggire dai talebani e che precipitano dal cielo, madri che sono disposte a dare i propri figli ai soldati affinché li portino in salvo oltreoceano, gente che si accalca negli aerei militari.
Cosa succederà ora?
Se la caduta di Kabul in tempi brevi era imprevedibile, ancora più oscuri sono al momento gli scenari futuri. Secondo alcune fonti interne, i talebani vorrebbero adottare la costituzione del 1964 come base per l’elaborazione di una nuova carta costituzionale e vorrebbero coinvolgere anche figure del precedente regime. A tal proposito, proprio in queste ore, si terrà una riunione straordinaria sull'Afghanistan (in videoconferenza) dei leader del G7.Argomento di discussione saranno i tempi di evacuazione e del completamento del ritiro dei militari, diventato una priorità urgente, visto l’avvertimento dato ieri dai talebani: “La data del 31 agosto è una linea rossa, se gli Stati Uniti o il Regno Unito dovessero volere più tempo per proseguire i trasferimenti, la risposta è no o ci sarebbero conseguenze". A chiedere agli Stati Uniti di prorogare oltre il 31 agosto il ritiro sono stati il Regno Unito, la Francia e la Germania. Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas nelle ultime ore ha dichiarato: “Stiamo parlando con gli Stati Uniti, la Turchia e altri partner con l’obiettivo di facilitare le operazioni civili dall’aeroporto di Kabul per consentire l’evacuazione delle persone oltre il 31 agosto. Dovremo anche continuare a parlare con i talebani di questo problema, ed è quello che stiamo facendo”.
Paolo Di Falco