4' di lettura 4' di lettura
Chiusa la COP28 di Dubai

Era poco prima delle 8:30 di mercoledì 13 dicembre quando c’è stata la fumata “verde” dalla COP28 a Dubai. A sorpresa l’accordo rafforza l’appello ad abbandonare i combustibili fossili con l’obiettivo di raggiungere la neutralità del carbonio nel 2050.

Ovazioni e applausi. Tuttavia il superamento della soglia dei +1,5°C di riscaldamento globale sembra “ormai inevitabile”. Se da un lato al termine della COP28 è stato concluso quello che in molti hanno definito un “accordo storico”, i negoziati sono stati molto complicati. Ora che il vertice internazionale sul clima è terminato, facciamo luce sulle ombre che sono emerse fin dalla sua apertura il 30 novembre.

Record di lobbisti

Fin dall’inizio, questa COP28 non era iniziata molto bene con il sultano Al-Jaber come presidente. Oltre ad essere ministro dell’Industria degli Emirati, è soprattutto amministratore delegato del colosso petrolifero Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC). Gli Emirati Arabi Uniti sono anche il settimo paese produttore di petrolio al mondo. Questa nomina solleva quindi degli interrogativi, poiché il cambiamento climatico è causato principalmente dall’uso di combustibili fossili. Questo conflitto di interessi si è fatto sentire anche nei corridoi della COP. Secondo un rapporto pubblicato martedì 5 dicembre dalla coalizione Kick Big Polluters Out (KBPO), non si erano mai visti così tanti lobbisti come alla COP28 di Dubai. Nel 2022, la KBPO ha contato 636 lobbisti dei combustibili fossili che hanno avuto accesso ai negoziati, quest’anno sarebbero quasi 2.500, ovvero quattro volte di più rispetto all’anno precedente.

Posizione ambigua sui combustibili fossili

Mentre la COP28 era in pieno svolgimento, il quotidiano britannico 'The Guardian' ha rivelato domenica 3 dicembre uno scambio di battute tra il sultano Al-Jaber e l'ex presidente irlandese Mary Robinson. In quel video del 21 novembre si sente chiaramente il presidente della COP28 dichiarare: Nessuno studio scientifico dice che l’uscita dai combustibili fossili ci permetterà di evitare lo scenario del +1,5°C. Interrogato qualche giorno dopo su queste affermazioni, ha spiegato che questo estratto è stato preso fuori contesto. “Ho ripetuto più volte che è la scienza a guidare i principi della nostra strategia per questa COP28. E su questo sono stato perfettamente chiaro”, ha insistito durante una conferenza stampa. Tuttavia, la sua posizione sui combustibili fossili rimane ambigua, con due posizioni opposte sul progetto di dichiarazione finale. Il primo, sostenuto da una coalizione che riunisce Europa, paesi del Sud e stati insulari, chiedeva “l’uscita” dai combustibili fossili; mentre l’altro, difeso dagli stati petroliferi rappresentati dall’OPEC, sosteneva la “riduzione” dei combustibili fossili. La prima bozza, che riprendeva la posizione degli Emirati, ha suscitato proteste e scalpore tanto che dopo una serie di serrate trattative è stato trovato un compromesso su una “transizione” verso l’abbandono dei combustibili fossili. Un nuovo lessico accolto da partecipanti e ONG con diverso entusiasmo, ma la maggior parte concorda nel considerarlo un chiaro progresso: fino ad ora la COP26 parlava solo di “riduzione”.

Un bicchiere comunque mezzo pieno

Comunque non va dimenticato che all'inizio degli anni 2000 parlavamo regolarmente di un riscaldamento globale che sarebbe potuto arrivare a +4°C o +5°C entro la fine di questo secolo. Adesso parliamo ancora di riscaldamento globale, ma che nella peggiore delle ipotesi potrebbe raggiungere i +3°C. Non va bene, ma non è così male. Il merito è anche dei vertici sul clima come la Cop28. Tuttavia, questo scenario si verifica se i paesi mantengono i propri impegni, il che non è scontato.

Antonio Libonati