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Introduzione Walt Disney, tesina
La seguente tesina di maturità tratta di Walt Disney. La tesina abbraccia anche i seguenti argomenti nella varie discipline scolastiche: Carlo Collodi e Le avventure di Pinocchio; Giovanni Pascoli e il Fanciullino; Divina Commedia: il Canto del Conte Ugolino in Italiano; Le favole di Fedro in Latino; l'Astrattismo e Kandinskij in Storia dell'Arte; The English Gothic Novel and Edgar Allan Poe in Inglese; Dal Giovedì Nero al New Deal in Storia; Il pragmatismo americano e Dewey in Filosofia; Le stelle in Geografia astronomica; La luce, la fotografia e il cinema in Fisica; La sezione aurea in Matematica.
Collegamenti:
Walt Disney, tesina
Italiano - Carlo Collodi e Le avventure di Pinocchio; Giovanni Pascoli e il Fanciullino; Divina Commedia: il Canto del Conte Ugolino
Latino - Le favole di Fedro
Storia dell'arte - l'Astrattismo e Kandinskij
Inglese - The English Gothic Novel and Edgar Allan Poe
Storia - Dal Giovedì Nero al New Deal
Filosofia - Il pragmatismo americano e Dewey
Geografia astronomica - Le stelle
Fisica - La luce, la fotografia e il cinema
Matematica - La sezione aurea
L’interpretazione dell’opera è molto complessa, e fino alla fine Walt
Disney mantiene volutamente l’ambiguità, facendo credere al pubblico
che, effettivamente, tutto il film si sia basato su un sogno: ma, alla fine,
nell’affacciarsi alla finestra, è Agenore Darling, l’adulto che ha
completamente
dimenticato il “fanciullino”
dentro di sé, a vedere il
veliero del Capitano Uncino
volare nel cielo, oscurando
la luna, cosparso di polvere
di fata.
Ed anche lui, insieme alla
signora Darling, si
commuove per lo
spettacolo.
Ma anche questa visione, è
reale? O piuttosto è
un’allegoria, nasconde un
significato simbolico?
L’interpretazione più plausibile del film è la seguente: il signor Darling e
la sua avversione nei confronti delle favole e delle storie infantili
rappresentano il comportamento austero degli adulti che dimenticano di
essere stati bambini; Wendy, nella sua volontà di restare attaccata alla
propria infanzia, ma con la maturità che le fa comprendere di non essere
più adatta al mondo dei bambini, rappresenta la crisi dell’adolescenza.
Il viaggio nell’Isola che non c’è non è altro che un viaggio mentale:
un’ultima notte passata, nel sogno, nel mondo infantile, che aiuta la
protagonista ad acquisire la forza necessaria a lasciare quel mondo, ma
ad un’importante condizione: non dimenticare mai il fanciullino dentro se
stessi. Non si può restare sempre bambini, ma non si può nemmeno
dimenticare il bambino che c’è in noi, il Peter Pan che non cresce mai e
deve accompagnarci sempre, pur senza prendere il controllo della nostra
persona.
Wendy, dopo aver compreso che crescere non significa abbandonare la
propria infanzia, ma portarla con sé come un patrimonio inestimabile,
come ricordo da non cancellare (la notte passata con Peter Pan),
manifesta una maturità estremamente maggiore rispetto a quella di
Agenore, che, nel finale, coinvolto dall’entusiasmo della figlia, riesce a
ritrovare, con il suo aiuto, il “fanciullino” dentro di lui: anch’egli riesce, 24
per un momento, a vedere; a vedere il sogno di Wendy, a vedere un
veliero che vola, a ricordarsi di Peter Pan, della sua infanzia, del sogno,
dell’ingenuità, dell’entusiasmo del bambino dentro di lui che per troppo
tempo era rimasto inascoltato.
E Peter Pan, dietro la finestra di Casa Darling, una presenza costante ma
silenziosa, non è altro che questo: il bambino in ognuno di noi, di cui è
bene tenere conto per tutta la vita. 25
PETER PAN COME RIFLESSO DELLA PSICOLOGIA PASCOLIANA
In tal senso i punti di contatto fra la trasposizione cinematografica della
storia di Peter Pan e l’opera di Pascoli sono molti. Anzitutto, la
consapevolezza della presenza del “fanciullo” in ognuno di noi: “In alcuni
non pare che egli sia; alcuni non credono che sia in loro; e forse è
apparenza e credenza falsa. Forse gli uomini aspettano da lui chi sa quali
mirabili dimostrazioni e operazioni; e perché non le vedono, o in altri o in
sé, giudicano che egli non ci sia. […] Ma in tutti è, voglio credere.”
Ed in queste poche, semplici parole sta tutta l’esperienza di Agenore
Darling.
E ancora: “Tu sei ancora in presenza del mondo novello, e adoperi a
significarlo la novella parola. Il mondo nasce per ognun che nasce al
mondo. […] Egli nell’interno dell’uomo serio sta ad ascoltare, ammirando,
le fiabe e le leggende.”
La stretta relazione tra letteratura e poesia è messa in evidenza nelle
prime battute del film, in cui si sottolinea come Wendy rimanga attaccata
alla propria infanzia leggendo ai fratelli le favole di Peter Pan: il bambino
in ognuno di noi sopravvive anche attraverso la letteratura, i libri, la
poesia. Ecco che Wendy crescerà, ma non rinuncerà alla lettura di tali
favole, in cui continuerà, nonostante tutto, a credere.
Per quanto riguarda i Bambini sperduti, anch’essi sono figure
emblematiche: sono vestiti come piccoli animaletti (indossano tute di
pelliccia con orecchie e zampine) e dormono in dei veri e propri nidi
giganti, all’interno di un albero cavo. Sono i bambini orfani, o, più
precisamente, senza genitori (l’interpretazione è, anche stavolta, molto
ambigua), che cercano di recuperare nell’apparenza quello che non
hanno potuto avere nella sostanza: un legame con il mondo familiare.
Ancora Pascoli: il Pascoli dei miti, il mito della famiglia, del nido, dei
morti.
Infatti, il fondamento dell’ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo
familiare, che si raccoglie entro la piccola proprietà, cementato dai 26
legami di sangue, dagli affetti, dai dolori e dai lutti pazientemente
sopportati; il “nido” familiare caldo e protettivo, in cui i componenti si
possono stringere per trovare conforto e riparo dall’urto di una realtà
esterna minacciosa e paurosa.
Col “nido” si collega il motivo ossessivamente ricorrente del ritorno dei
morti, che spesso accampano la loro spettrale, lugubre presenza nei versi
pascoliani.
E, infatti, una delle interpretazioni meno famose, ma più significative
della storia di Peter Pan è quella secondo cui il fanciullo non sia altro che
un angelo-bambino il cui compito è quello di scortare le anime dei piccoli
morti in una sorta di “Paradiso infantile” (l’Isola che non c’è, appunto).
In tal senso, i Bambini sperduti sarebbero proprio queste anime, ed il
fatto che essi non conoscano i propri genitori non è una conseguenza
della morte di questi, ma della morte dei bimbi stessi.
È questa un’interpretazione piuttosto plausibile, vista la propensione di
Walt Disney nei confronti dell’inquietante, del macabro e dell’ambiguo.
Un’interpretazione spirituale e angosciante che richiama l’atmosfera di
tanta poesia pascoliana, in bilico fra sensibilità decadente, psicologia
inquieta, tormentata, morbosa e visionaria e sentimentalismo patetico e
zuccheroso, leziosamente bamboleggiante.
Classico esempio di tale poesia è la lirica “Il morticino”, compresa nella
raccolta “Myricae”. IL MORTICINO
Non è Pasqua d'ovo?
Per oggi contai
di darteli, i piedi.
È Pasqua: non sai?
È Pasqua: non vedi
il cercine novo?
Andiamoci, a mimmi,
lontano lontano...
Dan don... Oh! ma dimmi:
non vedi ch'ho in mano
il cercine novo,
le scarpe d'avvio? 27
Sei morto: non vedi,
mio piccolo cieco!
Ma mettile ai piedi,
ma portale teco,
ma diglielo a Dio,
che mamma ha filato
sei notti e sei dì,
sudato, vegliato,
per farti, oh! così!
le scarpe d'avvio!
La lirica prende spunto da una nota usanza livornese, oggi scomparsa:
quella di “dare i piedi ai bimbi”, cioè liberarli dalle fasce che un tempo li
avvolgevano, mettendo le prime scarpine, le cosiddette “scarpette
d’avvio”.
Questo avvenimento succedeva all’aperto, il mattino del Sabato Santo, in
Piazza Grande, sul sagrato del Duomo, dove le mamme parlottavano
gioiosamente e i bimbi strillavano. Quando, dalle porte socchiuse del
Duomo, si diffondeva nella piazza il canto del gloria, veloci le mamme
mettevano a nudo i piedi dei bimbi, cercando di imprigionarli nelle prime
scarpette di lana o cuoio.
Legata a questa festa, c’è la storia di una povera mamma che, avendo
comprato le scarpette al suo bimbo per le feste pasquali, se lo vide
morire. La donna lavorava a mezzo servizio in casa del poeta Giovanni
Pascoli, che allora insegnava al Liceo Classico di Livorno.
La lirica presenta numerose soluzioni formali tipiche della poesia
pascoliana: anzitutto l’enorme rilievo dato agli aspetti fonici, cioè i suoni
che compongono le parole.
In questo caso, si ha sia un esempio di pura riproduzione onomatopeica,
sia del valore fonosimbolico delle parole.
La riproduzione onomatopeica riguarda il suono della campana “Dan
Don”: è una delle espressioni più usate da pascoli, insieme alle
riproduzioni di versi d’uccelli, in quanto tali espressioni si caricano di un
intenso valore simbolico, assumendo come un senso oracolare, di
comunicazione di arcani messaggi. Queste onomatopee non mirano certo
ad una riproduzione puramente neutra, naturalistica del dato oggettivo,
bensì l’esigenza di aderire immediatamente all’oggetto, di penetrare
nella sua essenza segreta evitando le mediazioni logiche del pensiero e
28
della parola codificata; rientrano insomma in quella visione alogica del
reale che è propria di tutta la poesia pascoliana.
Per quanto riguarda i suoni che possiedono un valore fonosimbolico, essi
sono quelli che, nella poesia pascoliana, tendono ad assumere un
significato di per se stessi, senza rimandare al significato della parola. È il
caso dell’espressione pargoleggiante “a mimmi”, per dire “a passeggio”,
che si lega all’anafora dell’avversativa “ma”. L’allitterazione della “m”
richiama evidentemente al suono della parola “mamma”, la vera
protagonista della lirica, con tutto il sentimento e la commozione che la
sua condizione suscita nel lettore.
Questa trama sotterranea di echi e di rimandi viene a costituire la vera
architettura interna del testo, a supplire l’assenza di strutture logico-
sintattiche.
Ecco dunque che una semplice filastrocca, fatta di brevi versi messi in
una rima facile, si carica di intensi e profondi significati, allo stesso
tempo sentimentali ed inquietanti, commoventi e raccapriccianti.
È questa una delle liriche che, a mio parere, esprime meglio quella
“doppia personalità” che è stata riconosciuta nel Pascoli poeta: da una
parte, il cantore delle piccole cose; dall’altra, un grande autore
decadente, poeta dell’irrazionale. 29
WALT DISNEY E PASCOLI: IL RIFIUTO DELLA SESSUALITÀ
Un altro importantissimo punto di contatto fra l’opera di Disney e la
psicologia pascoliana è la visione dell’amore e della sessualità. Afferma
Pascoli: “Egli (il Fanciullino) fa umano l’amore, perché accarezza esso
come sorella (oh! Il bisbiglio dei due fanciulli tra un bramire di belve),
accarezza e consola la bambina che è nella donna.”
È noto che Pascoli non riuscì mai a vedere la donna come fonte di stimolo
sessuale: egli, a causa dei suoi traumi personali e della sua tragedia
familiare, considerò sempre il sesso come una violenza inferta alla carne.
In luogo del legame adulto e maturo col mondo esterno, con
l’ “altro”, la donna, si instaura il legame viscerale, oscuro, ossessivo con i
morti, che continuano a vivere come lugubri presenze coi superstiti nel
simulacro di “nido” costruito dal poeta insieme con la sorella. La fedeltà
ai morti, all’impegno di ricreare il “nido” originario andato distrutto, gli
impedisce di uscire da quel cerchio chiuso, geloso, protettivo ma anche
soffocante, di rispondere al richiamo dell’amore. Uscire, legarsi alla
donna, generare, sarebbe un tradimento ad un vincolo sentito come
sacro e inviolabile.
Nei confronti del sesso, Pascoli ha un vero e proprio rifiuto: per il
“fanciullino” che è in noi l’amore può solo essere casto, come tra fratello
e sorella (è il rapporto che legava il poeta alla sorella Marù).
Sempre nel fanciullino, si legge: “Non sono gli amori, non sono le donne,
per belle e dee che siano, che premono ai fanciulli”.
E dunque, ecco che quando Wendy, adolescente sul punto di crescere, si
avvicina a Peter per dargli un bacio, questo si ritrae, disgustato, e chiede:
“Che cos’è un bacio?”. Il rifiuto del sesso è un tratto
caratteristico (e discusso dalla
critica) di tutta l’opera di Walt
Disney.
A riguardo, Ferruccio Bertini
commenta: “Gli animali di Walt
Disney e i loro emuli
presentano una peculiarità
assai notevole: sono
praticamente privi di sessualità.
Esistono, è vero, personaggi
maschili e personaggi 30
femminili, ma Minnie Topolino, Paperino e Paperina, Orazio e Clarabella
sono eterni fidanzati, che rendono esplicito il rapporto che li unisce
soltanto attraverso violente manifestazioni di gelosia e che solo
raramente si scambiano baci castissimi, che peraltro li fanno arrossire.
Altrimenti la loro relazione è, per così dire, sottintesa, anche perché essi
sono protagonisti di storie dedicate ai bambini, per i quali, nonostante
tutto, il sesso viene ancora considerato un tabu.” 31