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Sintesi
Italiano: Canto primo paradiso Divina Commedia, Luigi Pirandello, Giovanni Verga;

Storia: età giolittiana, i totalitarismi;

Matematica: statistica inferenziale;

Diritto: Stato e sua evoluzione;

Scienza delle finanze: l'attività di finanza pubblica;

Informatica: le reti;

Ragioneria: valutazione delle aziende;

Tecnica: i conti correnti.
Estratto del documento

5° AFFLUENTE: L’ALGORITMO E LA PROCEDURA TOP DOWN

Parlando di divisione del lavoro non si può, dal punto di vista informatico, non fare menzione del

concetto di procedura top down e tecnica della sottoprogrammazione. Prima di tutto, però,

cerchiamo di inquadrare il concetto di algoritmo. L’algoritmo è una sequenza finita di istruzioni

determinate e non ambigue che presenta la caratteristica della riproducibilità. Analizzando la

definizione si comprende come l’algoritmo sia caratterizzato da diverse istruzioni ordinate (non

per niente si parla di sequenza) e che hanno un numero finito. Infatti un algoritmo viene

strutturato con l’intenzione di essere eseguito, pertanto necessita di un numero finito di istruzioni.

Altrimenti non ci sarebbe la possibilità materiale di portarlo a compimento. Oltretutto si parla di

istruzioni non ambigue. Ciò significa che ogni istruzione deve avere un significato univoco,

oggettivo e non sottoponibile ad interpretazione arbitraria da parte dei diversi soggetti che

analizzano l’algoritmo. Inoltre l’algoritmo deve essere riproducibile perché, essendo le sue

istruzioni oggettive e valevoli in qualsiasi situazione, deve poter essere eseguibile più volte e

produrre, ogni volta il medesimo risultato (sempre ipotizzando che le condizioni iniziali siano

identiche). In un algoritmo si distinguono tre fasi fondamentali: input, elaborazione e output. Nella

prima fase avviene l’acquisizione dei dati iniziali; nella seconda fase vengono svolte le operazioni

necessarie per manipolare i dati inseriti inizialmente; infine nella fase di output vengono restituiti i

risultati finali. Tale procedimento è assimilabile alla produzione che porta dalle materie prime in

ingresso ai prodotti finiti in uscita. La classica rappresentazione di un algoritmo è rappresentata

dal diagramma a blocchi o flowchart. INIZIO

Istruzione A

Istruzione B

FINE

Per i problemi più semplici per cui occorrono poche istruzioni, è sufficiente creare un unico

algoritmo strutturato in istruzioni elementari. Esistono, tuttavia, dei problemi più complessi che

richiedono lo svolgimento di numerose operazioni. Non solo, c’è bisogno, molto spesso, di

riutilizzare le stesse istruzioni, ma con parametri diversi. Ecco, allora, la strategia della

sottoprogrammazione. Si inseriscono alcune istruzioni in un sottoalgoritmo che viene richiamato

dall’algoritmo principale e può essere eseguito anche più di una volta, evitando di scrivere

nuovamente le medesime istruzioni. Ad esempio, per applicare l’algoritmo della ricerca

45

Tesi d’esame di Giovanni Prencipe, 5Dp anno scolastico 2011/2012

dicotomica condizione necessaria è che l’array sia ordinato. Quindi inizialmente occorre ordinarlo.

Per farlo bisogna far riferimento al sottoprogramma di ordinamento che viene richiamato. Lo

schema della sottoprogrammazione è il seguente:

INIZIO

P1

P2

FINE

In esso P1 e P2 non sono delle istruzioni, ma dei veri e propri algoritmi che vengono richiamati e

che, a loro volta, possono essere scomposti in sottoprogrammi più semplici. Tale procedimento di

scomposizione della programmazione in procedure sempre più semplici prende il nome di tecnica

di top down, ossia dall’alto verso il basso. Proprio come nella catena di montaggio si affidano ai

singoli operai delle fasi elementari della produzione, anche in tale sede si scompone il

procedimento e ogni fase elementare viene eseguita autonomamente in un proprio ambiente

(scope).

Una particolare forma di sviluppo top down è quella delle funzioni. La funzione, in informatica, è

un programma che riceve in ingresso determinati parametri e restituisce un valore finale dopo

averli elaborati. Esempio: la funzione somma riceve come parametri iniziali due numeri a e b e

restituisce la loro somma. Sintatticamente le funzioni vengono strutturate nel seguente modo:

nome funzione (p1, p2 … pn)

Quando l’algoritmo viene trasferito sul computer, sotto forma di programma, il passaggio di

parametri può essere effettuato in due modi diversi: per valore e per riferimento. Nel primo caso

viene trasferito solamente il valore del parametro stesso, ma viene adoperata una cella di

memoria differente. Nel secondo caso la funzione opera direttamente sulla cella di memoria della

variabile originaria (parametro attuale) e, di conseguenza, ne modifica il valore se opera dei

cambiamenti. 46

Tesi d’esame di Giovanni Prencipe, 5Dp anno scolastico 2011/2012

LA DIVISIONE DEL LAVORO

La divisione del lavoro è un tema importantissimo in ambito economico perché, secondo molti

economisti, è la chiave del progresso registrato dall’umanità. Dividere il lavoro significa

frantumare l’attività produttiva in tante parti e affidare ognuna di queste ad un soggetto diverso.

In tal modo ognuno può dedicarsi esclusivamente al proprio compito e specializzarsi in esso,

aumentando la produttività media, in base a quanto afferma Adam Smith nella sua Indagine sulla

natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Ciò significa che, nel tempo, aumenta la quantità

prodotta da un’organizzazione. Ovviamente ciò richiede che ci sia poi una richiesta di tali beni o

servizi che effettivamente vada ad assorbire quanto prodotto. Esistono due tipologie di divisione

del lavoro: orizzontale e verticale. Nel primo caso si analizza la divisione del sistema economico in

più rami produttivi (visione macroeconomica); nel secondo caso si considerano le diverse figure

professionali che intervengono nell’ambito della produzione. Ciò significa, ad esempio, che se nella

visione macroeconomica individuiamo il settore industriale, nella divisione verticale analizziamo i

diversi lavoratori che operano all’interno dello stesso ramo produttivo. Nella teoria smithiana si

scompone l’attività produttiva in varie fasi e ognuna di queste viene affidata ad un operaio diverso

che, in maniera ripetitiva, compie sempre le stesse operazioni elementari specializzandosi nella

propria attività. Tuttavia lo stesso Smith si accorse della pericolosità di un’estremizzazione di tale

concetto. A lungo andare, infatti, il lavoratore anziché produrre quantità maggiori avrebbe

diminuito la propria produttività. Questo a causa dello stress mentale che la ripetizione continua

delle stesse operazioni elementari comporta (Smith la definisce proprio “mutilazione mentale”).

Più tardi Karl Marx definì tale fenomeno con il nome di alienazione, per sottolineare la tragedia

relativa all’annullamento della personalità del lavoratore a causa della ripetizione spasmodica di

operazioni banali. In questo modo si distrugge la creatività e la libertà di azione che era tipica, in

passato, dell’artigiano. Invece nella catena di montaggio l’operaio si trasforma in un ingranaggio

del complesso meccanismo industriale e perde la propria umanità.

Addirittura si raggiunse l’apice di tale sfruttamento con il Taylorismo che prevedeva una divisione

scientifica del lavoro, studiata minuziosamente e applicata nella più severa e rigida delle forme.

Bisognava, infatti, determinare analiticamente quali fossero i tempi tecnici necessari per espletare

la minima fase della produzione e obbligare tutti i lavoratori ad adeguarsi a quegli standard. In tal

modo era possibile conoscere in anticipo, e con precisione maniacale, il numero di pezzi prodotti

nell’unità di tempo. (l’argomento verrà sviluppato in seguito e correlato alla questione sociale)

Tornando alla divisione del lavoro in tempi antichi e allo sviluppo che essa ebbe possiamo

affermare che si riguardava, più che altro di una divisione verticale, in quanto si trattava di una

distinzione tra le varie figure professionali che non erano ancora organizzate nella struttura

dell’azienda vera e propria. L’aumento della capacità produttiva media generò un surplus per i vari

lavoratori – produttori. Infatti ogni lavoratore produceva più beni di quelli che gli servissero di

quella particolare categoria. Siccome, però, ognuno necessitava di altri beni per poter soddisfare le

altre esigenze, e tali beni erano prodotti da altri occorreva relazionarsi con altri lavoratori –

47

Tesi d’esame di Giovanni Prencipe, 5Dp anno scolastico 2011/2012

produttori e operare uno scambio. Quindi lo scambio è la conseguenza logica dell’organizzazione

ma cos’è di preciso e, soprattutto come avveniva inizialmente?

sociale del lavoro

LO SCAMBIO E IL VALORE

Lo scambio è l’attività con cui due soggetti economici trasferiscono a vicenda due beni di cui

necessitano. Quindi il soggetto A produce un bene X ma necessita di un bene Y che viene prodotto

dal soggetto B. Quest’ultimo, a sua volta, avverte la necessità del bene X. Verranno, allora,

scambiate una certa quantità del bene X contro una quantità determinata del bene Y. Questa

forma elementare di scambio prende il nome di permuta o baratto. In essa avviene il

trasferimento materiale e vicendevole di due beni. Ovviamente teorizzando il modello del baratto

si ipotizza la presenza di alcuni presupposti. Innanzitutto si suppone che ci sia un incontro tra due

necessità diverse dei soggetti A e B e che abbiano a disposizione l’uno il bene che occorre all’altro.

Cioè si ipotizza una corrispondenza perfetta tra la richiesta e la disponibilità. Inoltre si ipotizza che

si riesca a fissare un rapporto di cambio dei due beni. Il rapporto di cambio è dato dal rapporto tra

le quantità dei due beni. Se indichiamo tale grandezza con R, nel nostro caso essa sarà uguale a

Q /Q , cioè la quantità del bene X divisa per la quantità del bene Y scambiata. Ovviamente il

x y

rapporto può essere calcolato anche con la quantità del bene Y rispetto al bene X (otterremmo in

questo modo l’inverso). A cosa corrisponde il rapporto di cambio? Esso rappresenta la quantità di

un determinato bene che viene scambiata con una precisa quantità di un altro bene. Se si fissa la

quantità di uno dei due, nel nostro caso il bene Y, la sua quantità diviene l’unità di misura per

esprimere il valore del bene X. Nella vita di tutti i giorni utilizziamo spesso il concetto di valore ma

quasi mai ci soffermiamo ad analizzarlo fino in fondo. Secondo alcuni economisti il concetto di

valore ha un significato oggettivo, valevole per tutti i soggetti economici; altri economisti

sostengono, invece, che un bene possegga valore in funzione del soggetto economico che lo

desidera e dell’intensità del proprio bisogno. Analizziamo entrambi i ragionamenti.

Secondo i classici il valore di un bene è una caratteristica oggettiva che viene misurata in funzione

della quantità di lavoro umano che vi è incorporato. Vi è, ovviamente, un rapporto direttamente

proporzionale: all’aumentare della quantità di lavoro contenuto in un bene, aumenta anche il suo

lavoro. La quantità di lavoro viene misurata tramite il tempo, adoperando, generalmente, le ore. Si

potrebbe pensare, allora che un lavoratore maldestro e che impiega mediamente più tempo

rispetto ad un collega più abile riesca ad incorporare più lavoro nel bene da lui prodotto. In realtà

non è così. Infatti, per conferire una veste oggettiva a tale concetto, non ci si riferisce al lavoro

realmente impiegato per produrre un bene, ma alla quantità mediamente necessaria per produrlo.

Si tratta, ovviamente, di un dato sperimentale che dipende dalla capacità produttiva dei vari

soggetti economici, e dinamico perché cambia con il mutare delle tecnologie. Quindi la quantità

media di lavoro valida per produrre un bene va rapportata anche al contesto storico e tecnologico

in cui si opera. Volendo raggiungere un modello matematico relativo al valore – lavoro scriveremo:

ΔV = L ΔT 48

Tesi d’esame di Giovanni Prencipe, 5Dp anno scolastico 2011/2012

In cui il delta v rappresenta l’incremento di valore che si riesce ad attribuire al bene grazie

all’azione del lavoro umano (L) per unità di tempo moltiplicato per l’intervallo temporale. Avendo

considerato un’unità di lavoro convenzionale che prescinde dalla tipologia di lavoro svolto (in

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