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Sintesi

Introduzione Uomo Fragile, tesina



La seguente tesina di maturità tratta della fragilità dell'uomo. La tesina abbraccia anche i seguenti argomenti nella varie discipline scolastiche: Edipo re, Edipo a Colono e Marco Aurelio in Greco; Seneca in Latino; Friedrich Lenoir "Gesù,Socrate e Buddha" in Filosofia; Giacomo Leopardi in Italiano; i vulcani in Scienze, Hitler e le Olimpiadi del '36: le contraddizioni del potere in Storia, il biocentrismo Fisica, il sentimento del sublime: Turner e Friedrich in Arte, Waiting Godot in Inglese.

Collegamenti:


Uomo Fragile, tesina



Greco - Edipo re, Edipo a Colono e Marco Aurelio
Latino - Seneca
Filosofia - Friedrich Lenoir " Gesù,Socrate e Buddha"
Italiano - Giacomo Leopardi
Scienze - i vulcani
Storia - Hitler e le Olimpiadi del '36 : le contraddizioni del potere
Fisica - il biocentrismo
Arte - Il sentimento del sublime : Turner e Friedrich
Inglese - waiting for Godot
Estratto del documento

la metafora dell’uomo che si trova preda delle fauci assassine del destino.

Edipo però reagisce al dolore tramite il παθει μαθοϛ, ossia l’apprendimento

tramite la sofferenza che lo condurrà al raggiungimento della saggezza interiore

e all’ascesa al cielo nel bel mezzo del bosco di Colono . L’anima travagliata di

Edipo trova così appagamento con la morte, così come recita uno degli ultimi

versi della tragedia dell’Edipo a Colono : “ Non nascere è il destino migliore, il

secondo è quello di ritornare da dove si è venuti.

Marco Aurelio

Marco aurelio, così come Edipo medita sulla sua condizione, scava nella sua

interiorità, scrivendo un libro di profonda introspezione : il Τα ειϛ εαυτον, a se

stesso, in cui riflette su se stesso e sulla sua piccolezza, pur essendo all’apice del suo

potere. In effetti egli crede che la realtà sia un organismo divino,ordinato e armonico

in cui l’uomo si trova al centro: l’essere umano viene visto da Marco Aurelio nella

forma di Corpo,animo, intelletto: intelletto è costituito da Zeus , che rappresenta il

daimon, interiore ossia il denomne, l’entità spirituale presente nell’uomo. Il suo animo

viene perfettamente descritto nella statua che lo rappresenta, in cui indossa non il

paludamentum dei generali romani, bensì il sagum da viaggio . Il suo viso è mite, non

è turbato, è esente dall’ostentazione della gloria, della fama e dell’orgoglio. E’

costantemente in viaggio. Proprio perché questo libro non è un’opera di filosofia,ma un

promemoria, un vademecum, uno strumento di autoanalisi, che registra stati d’animo

mutevoli, speranze e delusioni, sconforti e rassicurazioni, può accogliere

contraddizioni poco razionali ma molto umane tra la percezione della caducità di tutto

ciò che vive e l’impegno costante a compiere il proprio dovere anche nelle piccole

cose, tra la stanchezza e a volte il disgusto per la vita e l’interrogarsi ansioso sul

mistero della morte, tra la fede sempre riaffermata nell’esistenza del divino, e quindi

nel significato di quanto accade anche se appare incomprensibile, e il dubbio. In un

Alessandro, Pompeo e Gaio Cesare, conquistarono molte

passo Marco Aurelio ci dice:

città che distrussero dalle fondamenta e avendo sbaragliato molte miriadi di cavalieri

e di fanti in battaglia, anche essi un giorno uscirono di vita . Ti sei imbarcato sulla

nave, hai fatto un viaggio sul mare, sei giunto all’approdo: sbarca dunque ! Se sarà

per un’altra vita, nulla di certo troverai colà privo di dei; se invece, sarà in una

condizione in cui nulla più sentirai cesseranno i dolori e i piaceri .

Una posizione concordante ma differenziata assume Seneca, seguendo

sempre lo stoicismo romano : Crede innanzitutto nella fratellanza e nella

visione provvidenziale della divinità ,prediligendo dunque una visione

prettamente metafisica, così come Marco Aurelio e , pur essendo turbato

dalle vicende della sua vita e della sua esistenza, non si piega, ma accetta

passivamente, da buon saggio stoico, le amarezze della vita. Infatti quando,

accusato di adulterio, subì l’esilio da parte dell’imperatore Claudio, scrisse la

consolatio ad Helvetiam matrem in cui precisò che la madre poteva stare tranquillo

che il saggio considera qualsiasi luogo come sua patria e sopporta tranquillamente le

avversità del destino. Dunque predilige l’atarassia,autarchia, l’esercizio della virtù

che esalta l’animo. Nelle condizioni di uomo, così come Marco Aurelio e gli epicurei,

Seneca sostiene nella consolatio ad Polybium “ aut beatus aut nullus” sottolineando

sempre una vita ultraterrena con la presenza divina o il vacuo assoluto. Nel de

brevitate vita sottolinea che la vita è divisa in 3 fasi : In tria tempora vita

dividitur : quod fuit, quod est, quod futurum est . Ex his quod agimus breve

est , quod acturi sumus dubium, quod egimus certum . L’incertezza delle

cicrostanze pertanto è alla base della realtà umana; chairisce infatti nell’epistulae ad

Lucilium che “Tam tu illum videre ingenuum potes quam ille te servum” ,

pertanto la condizione di schiavo può perfettamente orientarsi sullo stesso padrone

dello schiavo e comunque, come sostiene Seneca, anche l’uomo che sulla carta è

libero, in realtà è sempre schiavo di qualcosa. Pitagora, così come Seneca, infatti

sosteneva che l’anima dell’uomo si trovasse rinchiusa in una prigione, la prigione

carnale, la prigione del corpo. Dunque Seneca per aspirare alla virtù, la aspira tramite

la filosofia e da uomo saggio e virtuoso accetta nel 65 d. C. il suicidio impartitogli da

Nerone, per aver cospirato contro di lui nella congiura dei Pisoni, così come ci racconta

Tacito : Seneca percosse una vita cercando la virtù e finalmente la esplicò prima di

morire.

La morte dunque si può accettare per scelta, anche se giunge grazie

all’intervento non solo dalle avversità del destino , ma per mezzo di

catastrofi artificiali programmati dalla stoltezza degli uomini e dalla

corruzione dei costumi; malgrado ciò l’animo virtuoso sopporta e accetta.

E’ il caso di 3 figure particolari Socrate, Gesù e Buddha, di cui ne parla

Frédéric Lenoir nel suo libro: tratta non di morte, ma dell’ arte di morire, poiché la

morte avvenne in linea con la loro essenza e le verità che esplicavano. La loro vita fu

un’ arte così come la morte. L’accettazione della sofferenza e della morte, possono

dare il sollievo della speranza della salvezza dell’anima, a meno che questo dubbio

escatologico non immobilizzi nella paura la nostra vita di quaggiù e non la rendi

mortifera nel fatalismo. Socrate fu processato con l’accusa di corrompere i giovani e di

impartirgli una religione non conforme a quella ufficiale, ponendo un nuovo dio, ossia il

daimon interiore che regna all’interno di ogni singolo uomo. Cercò di difendersi contro

Meleto, l’accusatore, scardinando ogni sua tesi e confutandole con le sue. La moglie e

gli amici piansero la sua condanna, ma egli non sopportava i loro pianti : aveva deciso,

doveva bere la cicuta, doveva morire, pur ingiustamente, ma l’avrebbe fatto in

conformità della leggi. Secondo Diogene Laerzio, Socrate avrebbe detto alla moglie

Santippe, la quale si lamentava per la sua morte ingiusta: “ Volevi che fossi

condannato giustamente?” . Anche Cristo, propulsore della verità, come Socrate, fu

condannato, tartassato e anche lui visse attimi di angoscia, nell’orto del Getsemani,

malgrado avesse già accettato in cuor suo questo ineluttabile epilogo. “Se è possibile,

passi da me questo calice” ! E’ un passaggio ugualmente sofferto, Cristo comunque

doveva sacrificarsi, così come Socrate, perché fuggire significava ammettere la loro

falsità : essi elargirono le loro verità sino alla morte ! Socrate disse ai giudici che

avrebbe continuato a filosofare e a far partorire la verità dall’interiorità altrui con l’arte

della maieutica, così come Cristo sino all’ultimo respiro fu garante dell’Amore di Dio.

Buddha invece non fu percosso, non fu condannato, ma morì ad 80 anni forse a causa

di un’ intossicazione alimentare o avvelenamento. Prima di passare nel suo

parinirvana ( il termine che indica la congiunzione tra la vita terrena e il passaggio a

quella celeste) visse nell’ultima sua notte di vita profondi attimi di sofferenza : ebbe

violenti spasimi e vomitò sangue. Ananda, il suo fedele discepolo, si mise dietro un

albero e pianse … fu rimproverato aspramente dal Buddha. Sia Socrate sia Cristo sia

Buddha cedettero nell’ immortalità dell’anima. Socrate e Buddha credono nel ciclo

delle reincarnazione e probabilmente Socrate si rifà alla trasmigrazione pitagorica che

lo stesso Pitagora attinse dal mondo orientale. A differenza di Socrate, Buddha crede

profondamente nel passaggio dal samsara ( la condizione di sofferenza umana ) al

nirvana ( la pace dei sensi, che non rappresenta il nulla totalizzante, ma il nulla

dinnanzi alla mondanità terrena ) . Socrate disse ai suoi amici : “ Ecco che è l’ora di

andare: io a morire, voi invece a vivere . Chi di noi sue vada verso il meglio, è a noi

oscuro all’infuori di un dio. Cristo, invece utilizza il sacrificio in croce e la sua

sofferenza per redimere l’universo tramite la Risurrezione. L’accettazione della loro

morte non deriva assolutamente che essi trovarono una certezza in questa vita e ne

furono appagati, bensì perché essi cedettero nella certezza della beatitudine dell’altra

vita. Questa è l’eccelsa prerogativa di chi si sacrifica per amore stesso della giustizia.

Diametralmente opposta al pensiero di Gesù, Socrate e Buddha, è la concezione

leopardiana dell’esistenza e della vita ultraterrena : non c’è nessuna via di scampo per

l’uomo ; esiste il vero e nulla oltre al vero. Leopardi pertanto annienta, andando

controcorrente al suo periodo, ogni visione spiritualistica, idilliaca, positivistica. In

Leopardi però pervade un sottile e acuto sentimento di aberrazione nei confronti della

presunta esistenza di un dio e di una vita ultraterrena. Il poeta di Recanati crede nel

pessimismo prima storico, poi cosmico. Nel primo è l’uomo il fautore della sua rovina e

disgrazia a partire dal progresso della civiltà e della ragione. Infatti gli antichi erano

più felici, poiché nutriti di generose illusioni e capaci di azioni eroiche; i moderni

invece, a causa del progresso, hanno spento le loro illusioni e sono divenuti incapaci di

azioni eroiche. Da qui nasce il titanismo poetico, grazie al quale il poeta cerca di

scuotere le masse. Vede la natura, come una madre benigna, ma basta poco per far sì

che il pessimismo leopardiano si trasformi in pessimismo cosmico, ove la natura è la

diretta responsabile dei mali dell’umanità. Dunque l’infelicità diventa una condizione

assoluta e l’uomo è succube dei mali della natura. La rassegnazione di Leopardi di

fronte alla debolezza e all’impossibilità di reagire dinnanzi alla malvagità distruttrice

della natura si manifesta con un ritorno al titanismo proprio nella Ginestra, in cui

pervade l’atteggiamento di protesta,malgrado manifesti sempre la caducità dell’uomo

e la forza estrema della natura. La Ginestra, pur trovandosi sulle sponde del Vesuvio

in preda alla lava e alle ceneri, effonde il suo profumo, attenuando l’aridità e il deserto

costituito dall’annullamento progressivo di tutto ciò che circonda la stessa ginestra.

Essa è sola, abbandonata a se stessa in un mondo in cui tutto è dolore e in cui non vi è

nessuna magnanimità divina : Leopardi ne sottolinea la solitudine degli uomini di

fronte alla forza distruttiva della natura; anche nel canto di un pastore errante

dell’Asia, Leopardi scrive : “ che vuol dire questa solitudine immensa? E io che sono ?

Di conseguenza è necessario che tutti gli uomini si coalizzino e comprendano che

occorre abbattere un unico nemico, ossia la natura. Nel dialogo della natura e di un

islandese, scrive riguardo alla natura che definisce donna di volto mezzo tra il bello e

il terribile : “ Tu sei nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le

opere tue; che ora ci insidi ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora

ci laceri … Eppure di fronte alla terribile azione della natura, la Ginestra continua a

rimanere sulle fronde del Vesuvio con coraggio, con forza e senza spirito di

rassegnazione.

E tu, lenta ginestra,

che di selve odorate

queste campagne dispogliate adorni,

anche tu presto alla crudel possanza

soccomberai del sotterraneo foco,

che ritornando al loco

già noto, stenderà l'avaro lembo

su tue molli foreste.

Eppure, anche se verrà piegata dalla lava e soccomberà, la ginestra ha già vinto in

partenza e non ha perso la sua dignità e identità, poiché ha lottato sino alla fine !

La ginestra e dunque gli uomini sono precariamente stabili di fronti a

devastanti presagi della natura quali l’eruzione di un vulcano e in particolare

l’eruzione più pericolosa, l’eruzione esplosiva. Questa tipica esplosione è

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