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Sintesi

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Uguaglianza & libertà, tesina
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Diritto - articoli 2 e 3 della Costituzione italiana
Geografia economica - gli squilibri di genere
Scienze delle Finanze - principi di equità contributiva
Storia - la limitazione delle libertà nel XX secolo
Italiano - "Libertà" di Giovanni Verga
Inglese - The UK Parliament
Estratto del documento

Libertà ed uguaglianza, nelle moderne Costituzioni, rappresentano i due principi

fondamentali su cui si basano i rapporti tra lo stato e la società civile.

Anche la Costituzione italiana fa riferimento a questi due principi: all'art. 2 infatti

“riconosce i diritti inviolabili dell'uomo” e all'art. 3 stabilisce il principio di

uguaglianza.

Tuttavia i due concetti sono in realtà contraddittori tra loro, infatti una completa

libertà degli individui porterebbe ad una massima diseguaglianza e al contrario,

una massima uguaglianza non potrebbe essere raggiunta se non riducendo al

minimo la libertà di tutti. Quindi maggiore è la libertà, minore è l'uguaglianza e

viceversa.

La Costituzione italiana ha deciso di non adottare né la concezione liberale

(massima libertà a discapito dell'uguaglianza), né la concezione socialista

(massima uguaglianza a discapito della libertà), ma preferisce una via di mezzo.

La libertà può essere intesa come libertà formale e libertà sostanziale.

Per libertà formale s'intende l'assenza di divieti da parte dello Stato, quindi un

cittadino è libero di tenere qualsiasi comportamento purché non sia

espressamente vietato da una norma.

Tuttavia, il pensiero socialista critica fortemente questa concezione liberale in

quanto al fatto che lo Stato non ponga dei divieti non consegue che i cittadini

possano avere i mezzi economici per adottarli. Per esempio: per quanto riguarda

la libertà di stampa (prevista dall'art. 21 della Costituzione) non è sufficiente che

lo stato la permetta, ma occorre anche che i soggetti possiedano le risorse per

poter pubblicare una rivista.

Con la libertà sostanziale lo Stato deve intervenire per far si che i diritti possano

essere realmente esercitabili da tutti, mettendo a disposizione i mezzi economici e

materiali.

La stessa contrapposizione c'è per l'uguaglianza: quella formale pone tutti i

cittadini uguali davanti alla legge attribuendo gli stessi diritti, quella sostanziale

da a tutti la stessa possibilità di esercitarli.

Articolo 2 della Costituzione: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti

inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge

la sua personalità.”

I termini riconosce e garantisce indicano che la Costituzione ritiene che questi

diritti appartengano già all'uomo in quanto tale e lo Stato si limita a garantirne il

rispetto.

Sono inoltre inviolabili perché essi non possono essere mai limitati (tranne nei

casi previsti dalla legge) e non posso essere aboliti neanche attraverso la modifica

dello stesso testo costituzionale.

Articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono

eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di

religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e

sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono

il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i

lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Il primo comma enuncia il principio dell'uguaglianza formale, quindi che la legge

è uguale per tutti e non deve effettuare discriminazioni. Questo è molto

importante in quanto le leggi che effettuano qualche forma di discriminazione

possono essere annullate dalla corte costituzionale.

Il secondo comma enuncia il principio dell'uguaglianza sostanziale, affermando

che è compito della Repubblica, quindi dello Stato, intervenire al fine di fornire

ai soggetti più deboli i mezzi per esercitare i propri diritti.

Anche per quanto riguarda la parità tra uomo e donna ci si è resi conto che

l'uguaglianza formale non è sufficiente per fornire un'effettiva condizione di

uguaglianza. Infatti non basta avere pari diritti, ma occorre avere pari

opportunità.

Geografia: gli squilibri di genere

L'indice di Sviluppo di Genere.

Nel mondo esistono delle profonde disuguaglianze di genere (ovvero tra uomini e

donne), nel campo del lavoro, nella possibilità di istruirsi e nell'esprimere

liberamente la propria personalità, in particolare nelle società più povere.

Con il “Rapporto sullo sviluppo umano” del 1995 è stato introdotto un indicatore

specifico per misurare il livello di queste disuguaglianze in ogni Paese, dato che

non vengono prese in esame dall'ISU (indice sviluppo umano). L'indice di

sviluppo di genere è in grado di evidenziare queste diseguaglianze, utilizzando gli

stessi indicatori dell'ISU (cioè l'aspettativa di vita, il tasso di analfabetismo negli

adulti, e il reddito pro-capite) considerando i dati relativi alla componente

maschile della popolazione e confrontandoli con quelli della componente

femminile.

Per quanto riguarda l'aspettativa di vita risulta più elevata nella popolazione

femminile (a causa di fattori biologici), ma succede il contrario per quanto

riguarda il reddito: in alcuni Paesi la differenza di reddito tra uomini e donne è

del 40% e il 60% dei lavoratori sottopagati sono donne.

Il dato più preoccupante riguarda l'istruzione nei Paesi più poveri, dove il tasso

di alfabetizzazione delle donne risulta drammaticamente basso. Da questo si

evince che l'accesso all'istruzione di base per le donne è più difficile.

L'indice di Discriminazione di Genere.

Questo indice misura l'esistenza o meno di ostacoli alla piena partecipazione

delle donne nelle attività economiche e nella vita politica. Prende quindi in

considerazione il numero dei seggi parlamentari occupati dalle donne, il numero

di dirigenti donne e il reddito.

In generale, pochi Paesi hanno valori superiori allo 0,80 e la maggior parte

rimane sotto lo 0,60 (il massimo è 1).

In Italia per cercare di migliorare la situazione nel 2001 è stata introdotta la

“legge 120” , che impone alle società quotate di arrivare ad avere un terzo del

genere meno rappresentato negli organi di amministrazione e di controllo.

Finanze: Principi di equità contributiva

L'equità tributaria.

L'articolo 3 della Costituzione (principio dell'uguaglianza) trova fondamento

anche in materia tributaria con i principi dell'universalità e dell'uniformità

dell'imposizione.

Universalità dell'imposizione: secondo il principio dell'universalità (o

generalità) dell'imposizione, tutti coloro che beneficiano dei servizi dello Stato e

hanno capacità contributiva sono tenuti al pagamento dei tributi e nono sono

ammessi né privilegi né esclusioni totali e in modo generale da questo dovere.

Proprio per questo l'onere dell'imposta grava su tutti coloro che risiedono nel

territorio italiano e anche su coloro, che pur non essendo residenti, possiedono

all'interno dello Stato dei beni immobili o esercitano un'attività d'impresa o

professionale e infine coloro che detengono i loro beni e redditi all'estero sono

comunque colpiti dalle imposte indirette sui consumi.

Il principio dell'universalità ha qualche eccezione, infatti i sistemi tributari

prevedono dei casi di esenzione totale o parziale, ma solo per quelle imposte per

cui questo è previsto dalla legge.

Le esenzioni fiscali sono previste essenzialmente per due ragioni:

 per ragioni di interesse economico collettivo: ad esempio le esenzioni a

favore delle nuove attività produttive o le riduzioni di imposta per le opere

di miglioramento agricolo o di bonifica

 per ragioni di giustizia sociale: ad esempio l'esenzione di quei redditi

minimi sufficienti ad assicurare la soddisfazione dei bisogni primari

(chiamato salario minimo di sussistenza) in quanto questi soggetti in realtà

non hanno capacità contributiva.

Uniformità dell'imposizione: tutti i contribuenti devono sopportare il peso

dell'imposta in condizioni di eguaglianza in modo tale che dopo il prelievo, le

proprie condizioni, rimangano invariate o subiscano delle modifiche in modo tale

da correggere situazioni di disuguaglianza.

Il problema è capire quali criteri si dovranno seguire per realizzare questo

principio.

Alcune teorie prendono in considerazione il sacrificio che il contribuente

sopporta nel pagamento dell'imposta: equa distribuzione del carico tributario

significa equa distribuzione dei sacrifici.

Altre teorie prendono in considerazione la capacità contributiva del soggetto,

ovvero la capacità di far fronte, con i mezzi a propria disposizione, all'onere

dell'imposta. Quindi un'equa distribuzione dell'imposta significa adeguamento

alla capacità contributiva di ciascuno. Questo principio si basa sull'articolo 53

della Costituzione ed è quello attualmente adottato.

Teoria della capacità contributiva.

Secondo questa teoria le imposte devono ripartirsi secondo la capacità economica

dei singoli, desunta da elementi obiettivi e concretamente determinabili, come ad

esempio l'ammontare del reddito o del patrimonio, la fonte del reddito e le

persone a carico.

 È prevista l'esenzione dei redditi minimi per chi dispone dei mezzi appena

sufficienti per le fondamentali esigenze di vita e quindi non ha capacità

contributiva;

 Si effettua una discriminazione quantitativa: i redditi più elevati hanno

maggiore capacità contributiva e per questo devono essere colpiti con

aliquote più alte

 Occorre considerare l'origine del reddito e quindi effettuare una

discriminazione qualitativa

 Occorre tener conto delle condizioni perdonali del contribuente e quindi ci

deve essere un adeguamento alla situazione personale.

Il principio dell'equa distribuzione del carico tributario si realizza in modi diversi

tra i diversi tipi di imposta:

Le imposte dirette garantiscono una maggior equità rispetto a quelle indirette,

perché vanno a colpire gli indici di capacità contributiva (come il possesso di

redditi) e consentono di adattarsi in modo migliore alle condizioni del

contribuente

 Le imposte indirette hanno il pregio dell'universalità perché colpiscono

tutta la ricchezza e tutti i redditi, per esempio con la tassazione di beni di

consumo. Tuttavia, se hanno per oggetto beni primari, pesano

maggiormente su coloro che hanno una minore capacità contributiva e

quindi assumono un carattere regressivo

 Le imposte generali corrispondono anch’esse al principio dell’universalità

perché si applica allo stesso modo a tutti i redditi

 L’imposta speciale consente una discriminazione qualitativa, andando a

effettuare un trattamento fiscale differente a seconda del tipo di reddito o

dei beni

 L’imposta personale si adegua alla capacità contributiva in quanto tiene in

considerazione la situazione economica del contribuente

 L’imposta progressiva effettua una discriminazione quantitativa della

ricchezza

Storia: la limitazione della libertà nel XX

secolo

Nel 1920 a Monaco (Germania) nacque il Partito Nazionalsocialista dei

Lavoratori, a seguito della delusione per gli esiti della prima guerra mondiale.

Tra le ideologie del Partito era centrale il concetto di purezza della razza

tedesca. La razza ariana, infatti, era intesa come unità di sangue ed era la stirpe

“eletta”, occorreva quindi sottomettere le razze inferiori, purificando la società da

ogni elemento estraneo. In particolare l’ebraismo era considerata la fonte di tutti i

mali della Germania. La difesa della purezza della razza doveva essere esercitata

anche nei confronti di zingari, omosessuali, portatori di handicap.

I numeri più alti di vittime, come sappiamo, furono gli Ebrei, si parla infatti dai 5

ai 6 milioni di morti. Tutto ciò avvenne in 3 diverse fasi:

1) Dal 1933 al 1935 i nazisti diffusero una violenta propaganda per infondere

nella popolazione tedesca l’odio verso la comunità ebraica. Per esempio si invitò

a boicottare i negozi contrassegnandoli con la stella di David. Il 7 aprile 1933 il

governo emanò un decreto che imponeva il licenziamento di tutti i dipendenti

della pubblica amministrazione “non ariani”. Era da considerarsi non ariano

chiunque discendesse da genitori non ariani.

2) Nel 1935 le persecuzioni vennero legalizzate. Il 15 settembre il governo

nazista emanò le leggi di Norimberga che, su basi biologico-razziali, escludevano

gli Ebrei dalla comunità nazionale.

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