Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 7
Uguaglianza - Il cammino dell'uomo verso l'umanità Pag. 1 Uguaglianza - Il cammino dell'uomo verso l'umanità Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 7.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Uguaglianza - Il cammino dell'uomo verso l'umanità Pag. 6
1 su 7
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

mentre, nel secondo si specifica che: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e

sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona

umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese

.”

Nella storia umana a partire dalla nascita delle società civilizzate, si è determinata una netta separazioni di classi

sociali, cioè una gerarchia fra ricchi e poveri, fra nobili e schiavi, fra cittadini e non. Nella civilissima Atene vi era una

politica di tirannia verso le proprie colonie e i non-ateniesi detti barbari. In Egitto la società era strettamente

piramidale con a capo il dio faraone e alla base gli schiavi. Durante l’Impero Romano, la grandezza di Roma si

basava sul lavoro degli schiavi.

L’idea di uguaglianza inizia a penetrare nella società con la nascita del Cristianesimo: Seneca infatti è

contemporaneo a S. Paolo, e affronta la critica del malcostume etico e sociale della società romana, animato da una

profonda umanità, affronta i problemi dell’animo umano: come vivere felicemente (De vita beata), tranquillamente

(De tranquillitate animi), e come essere clementi (De clementia). Nell’Epistola XLVII ad Lucilium Seneca si

propone di trattare gli schiavi con umanità: in questo brano traluce una profonda pietà e disdegno verso i padroni che

riducono gli schiavi ad automa. Seneca, pur non arrivando a proporre l’abolizione

della schiavitù, invita i padroni a fondare il loro rapporto con gli schiavi sull’amore e non sul timore.

Seneca sprona il padrone a quello che si risolve nell’insegnamento cristiano : "Non fare agli altri quello che non

vorresti che fosse fatto a te".

Fino alla Rivoluzione Francese del 1789, eccetto parzialmente l’Inghilterra, che aveva un sistema già costituzionale,

l’intera popolazione povera mondiale soggiaceva agli ordini del padrone, del ricco o del nobile. La rivoluzione

francese ha rappresentato nella storia dell'umanità un evento centrale, uno spartiacque tra due società: la società

feudale e la società moderna. La rivoluzione francese nella realtà non è stata una "rivoluzione borghese" nel senso

che usualmente si intende dare a questa espressione, perché essa non ha condotto alla sostituzione dell'aristocrazia

con la borghesia commerciale e industriale in quanto classe sociale dominante tout court. La borghesia tradizionale

ha goduto dei vantaggi derivanti dalla distruzione della società feudale, operata dalla borghesia di Stato , ma in

nessun momento è stata il motore dei processi rivoluzionari che hanno condotto al superamento della vecchia società

e mai, neppure in questa fase, la borghesia commerciale e industriale è diventata la classe sociale dominante. L'unica

vera nuova classe sociale dominante nata dalla rivoluzione francese è stata la borghesia di Stato, appunto, e, già a

partire dalla rivoluzione, la lotta di classe tra questa nuova classe sociale dominante e le classi sociali subalterne è

scoppiata violentissima. Fu la fine dell'Ancien Régime.

Si può dire, per certi versi, che a scatenare la rivoluzione francese, più che la fame e le guerre, sia stato il tentativo di

un re - Luigi XVI - e del suo governo di risollevare la situazione economica e sociale del Paese, in modo tale di

salvare la classe sociale dominante, cioè l'aristocrazia burocratica di Stato, che ruotava intorno ad essi, da una sicura

ed inevitabile rovina a danno della aristocrazia tradizionale e a tutto vantaggio di quelle soggettività sociali, come la

borghesia commerciale ed industriale, che, uniche, avrebbero potuto adempiere ad un simile compito. Questo

atteggiamento di assolutismo intransigente contrastava con la diffusione delle idee illuministe che parlavano di

filantropia ed uguaglianza, e trovò la sua massima espressione il 14/7/1789 con la presa della Bastiglia.

Ma dopo una prima fase popolare che culmina col periodo del Terrore, la borghesia dal 1794 riprende le redini del

potere. Lo sviluppo della borghesia commerciale ed industriale in Francia alla fine del '700, non è stata la causa, ma

la conseguenza di una rivoluzione, che ha visto la graduale trasformazione della aristocrazia di Stato in un altro tipo

di classe sociale dominante, molto più potente ed assolutista, la borghesia di Stato, che non tollerava la concorrenza

di altre classi sociali privilegiate strutturate gerarchicamente al proprio interno: di qui la lotta alla aristocrazia

tradizionale e la tendenza a favorire classi sociali, come la borghesia commerciale ed industriale, che raramente

hanno la tendenza a darsi una struttura rigidamente gerarchica e burocratica al proprio interno. La centralizzazione

dello Stato, iniziata in Francia con la rivoluzione e generalizzata da Napoleone in tutta Europa, è il frutto della nascita

di una nuova classe sociale dominante: la borghesia di Stato. La borghesia commerciale ed industriale ne ha tratto

vantaggio nel senso che la caduta dell'aristocrazia tradizionale le ha lasciato più spazio per le proprie attività, ma, se

lo ricordino bene gli storici, non è stata lei a scatenare la rivoluzione francese né a condurla e a trarne i maggiori

benefici.

Nel Congresso di Vienna del 1814-1815, secondo il principio di legittimità si riaffermò il totale Assolutismo,

restituendo a tutti i sovrani i territori che avevano prima dell’Impero di Napoleone. Si tornò all’Ancien Régime,

togliendo ogni diritto al popolo, e credendo di poter spazzar via soffocandolo il trittico rivoluzionario (liberté,

fraternité, égalité).

In reazione a questo contesto di estrema repressione politica e ideologica, si pone il pensiero di Karl Marx. Partendo

dalla filosofia di Hegel, Marx la rovescia, dicendo che essa è pura ideologia. Marx sferra contro Hegel due accuse

principali: quella di subordinare la società civile allo Stato, e quella di invertire il soggetto e il predicato (cioè i

soggetti umani diventano predicati dalla "mistica sostanza" universale). Per Marx la dialettica hegeliana è

mistificazione, perché in essa l’oggetto in cui l’uomo si aliena viene superato solo nel senso di essere riconosciuto

come un suo prodotto necessario, ma non viene realmente soppresso. Secondo Marx non è la coscienza che spiega

l’essere sociale, ma l’essere sociale a determinare la coscienza. Non è la religione che crea l’uomo, ma l’uomo che

crea la religione (che è oppio dei popoli), così non la costituzione crea il popolo, ma il popolo la costituzione. Marx è

critico verso gli economisti classici (Smith e Ricardo), secondo cui il valore deriva dal lavoro. Secondo Marx il

valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro necessario: alla massima produzione di ricchezza

corrisponde l’impoverimento massimo dell’operaio. Il capitale è "la proprietà dei prodotti del lavoro altrui", è il

lavoro espropriato. Contro il socialismo utopistico (Proudhon, Babeuf), che sogna una società borghese senza

sfruttamento, Marx oppone la lotta di classe. Solo tramite l’abolizione della società capitalista sarà possibile porre

fine all’alienazione.

Il socialismo utopistico nasce in Francia e in Inghilterra, criticando la nuova civiltà industriale e la proprietà privata,

ma limitandosi a segnalare le ingiustizie della società capitalistica senza rintracciarne le origini. Per i socialisti la

libertà del cittadino va subordinata all’interresse della società, perché se esisteva la divisione in classi, non vi poteva

essere libertà. Saint Simon, ad esempio, riteneva che stesse per nascere una nuova epoca “organica”, nella quale la

società avrebbe trovato un perfetto equilibrio sotto la guida di una classe dirigente formata da scienziati e industriali, i

quali sapranno produrre una ricchezza talmente grande che avrebbe liberato la società dall’oppressione e dallo

sfruttamento. Marx critica i socialisti utopisti perché egli critica la società capitalistica industriale basandosi non sulla

enuncia morale e su simboli utopistici, ma su un’analisi scientifica delle contraddizioni interne alla società. Il

comunismo non è un “dover essere”, un ideale, un’utopia che si contrappone alla realtà storica.

Nella società presente il lavoro, l'attività pratica dell'uomo, è attività estraniata, alienata. Tale alienazione è, in primo

luogo, considerata nel rapporto del lavoratore col prodotto del suo lavoro. Il lavoratore (cioè colui che, mancando

della proprietà dei mezzi di produzione, è costretto a vendere il proprio lavoro come una merce) produce con la sua

attività degli oggetti che non gli appartengono. In secondo luogo, l'alienazione viene considerata nel rapporto del

lavoratore con la sua stessa attività produttiva. L'alienazione, infine, si verifica nel rapporto dell'uomo con l'altro

uomo, poiché il prodotto del lavoro e la stessa attività produttiva appartengono, non ad una entità misteriosa, ma ad

un altro uomo, che si serve del lavoro altrui.

La concezione del materialismo storico, fulcro ideologico del pensiero di Marx, compare esplicitamente ne

«L'ideologia tedesca», in polemica con i rappresentanti della Sinistra hegeliana, rimasti nell'ambito dell'idealismo.

Questi concepivano le relazioni tra gli uomini come un prodotto della loro coscienza e presumevano che,

modificando le idee della coscienza, si sarebbe modificata anche la vita reale degli uomini nella società.

Per Marx occorre partire dalla vita reale degli uomini, che si esprime in primo luogo nell’attività con cui essi

producono la loro vita materiale, per spiegare le forme della loro coscienza.

La prima condizione di ogni esistenza, e quindi di ogni storia umana, è che gli uomini soddisfino anzitutto i bisogni

elementari del cibo, dell'abitazione, del vestire, ecc. Per soddisfare questi bisogni, poiché la natura non offre

gratuitamente i beni necessari, occorre mettere in opera delle «Forze di produzione». Queste, che si evolvono

continuamente, vanno dal rozzo utensile dell’età primitiva, al telaio a mano, alla macchina industriale dei tempi

moderni, insieme alle tecniche ed abilità umane secondo cui tali strumenti si adoperano. Le forze di produzione sono

solo un aspetto del «mondo di produzione», l'altro aspetto è rappresentato dai "rapporti di produzione", cioè da quei

determinati rapporti in cui gli uomini entrano reciprocamente nel corso dell'attività produttiva, che è sempre attività

sociale. L'insieme delle forze di produzione e dei rapporti di produzione corrispondenti costituisce la struttura della

società, cioè la base reale su cui si elevano, e da cui sono condizionate, tutte le altre forme della vita sociale : il regime

politico, il diritto, le forme ideologiche quali: le opinioni morali, le credenze religiose, le idee filosofiche, ecc. Le

quali sono dette, perciò, sovrastrutture.

Il fattore economico non è l'unico determinante, perché anche le sovrastrutture, in un complesso gioco di azione e

reazione, esercitano la loro influenza sul corso storico. Solo che, nell'intreccio di tutti i fattori possibili, il movimento

economico è quello che, in ultima istanza, appare come l'elemento necessario, che può essere fatto oggetto di

scienza, in mezzo a tante cose accidentali.

«la storia di ogni società esistita finora, é storia di lotte di classe»

Ciò che il lavoratore vende é la sua forza-lavoro o capacità lavorativa, che egli mette a disposizione del capitalista per

un certo tempo. Ora, come per ogni altra merce, il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro

occorrente per la sua produzione. Per mantenersi in vita e recuperare le energie consumate, nonché per soddisfare i

bisogni della sua famiglia, il lavoratore ha bisogno di un certo numero di oggetti. In questi è incorporata una certa

quantità di lavoro, che ne determina il valore. A questo valore corrisponde il salario, che è il prezzo della forza-

lavoro, ovvero il valore di essa espresso in denaro.

Dettagli
Publisher
7 pagine
301 download