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Introduzione
Potrà sembrare strano che come tesina d’esame voglia presentare un argomento così poco consueto come questo, sulla figura simbolica e mitologica del vampiro.
In quest’ultimo secolo si è abusato talmente tanto del suo nome, in tutti i campi, che pare essersi svuotata di qualsiasi significato.
Ed è attraverso il mio percorso che vorrei provare a spiegare come, il vampiro, nel corso dei secoli, abbia avuto un significato molto più profondo dell’attuale o, a volte, un ruolo semplicemente diverso.
Infatti, oltre al suo valore puramente mitologico, la figura del vampiro ha avuto spesso il ruolo di rappresentare, in maniera allegorica, la parte più oscura del nostro essere.
Questa figura è stata definita anche come l’anti-eroe dell’estetismo.
Infatti, anche solo prendendo in considerazione la società odierna, possiamo notare quanto sia predominante la tendenza a catalogare, cose e persone, secondo la categoria del bello o del brutto, e di come queste ultime presentino confini sempre più labili. Qui, su questo confine, s’inserisce la figura del vampiro.
Egli, infatti, nonostante la natura principalmente malvagia, è da sempre rappresentato come una creatura affascinante, che suscita nell’animo umano sentimenti divisi, di attrazione e repulsione, stupore e terrore, curiosità e incubo.
Così, si configura come una dimensione simbolica privata dell’uomo in cui si proiettano sentimenti opposti (paura/desiderio) verso ciò che è diverso da noi.
Egli, eticamente opposto al bene ed esteticamente opposto al bello, crea una figura che racchiude così in sé tutta la bellezza del brutto, andando ad occupare un posto complementare nel cosmo dell’estetica, con uguale coinvolgimento e efficacia sensoriale.
La categoria del vampiro e del vampiresco si configura così di straordinaria importanza nella letteratura moderna, poiché rappresenta la chiave attraverso la quale svelare tendenze ed aspirazioni dell’uomo, assumendo il ruolo di specchio.
Quindi, la sua metafora, si propone come una presa di coscienza della propria condizione attuale, attraverso la quale iniziare la reale ricerca di un’identità.
A partire da queste considerazioni ho voluto così sviluppare l’argomento, ampliandolo poi con alcune analisi nella letteratura, ma non solo, della figura di questo personaggio che molto ha influenzato diversi e grandi autori, ognuno dandogli un significato differente, una metafora attraverso la quale cercare di spiegare l’uomo e i suoi comportamenti, o semplicemente evocare la sua funzione mitologica.
Con stupore ho notato come la produzione letteraria sui vampiri sia veramente interminabile a partire dalla letteratura latina a quella contemporanea.
Un’altra cosa che stupisce di questa figura, è la sua straordinaria capacità di adattamento alle diverse epoche e, dunque, al gusto dei lettori. Ogni tempo ha avuto il suo vampiro, in conformità a ciò che gli si chiedeva di essere, o per meglio dire, a ciò che gli si chiedeva di riflettere.
Questa prolificità e questo continuo mutare sono capacità che si sono sviluppate soprattutto negli ultimi due secoli, ma le sue radici sono ben più lontane.
Istituto d’Istruzione Superiore “Leonardo da Vinci” Lanusei – (OG)
Esame di Stato – 2008
Liceo Linguistico (progetto Brocca)
Un Anti-Eroe
Tesina d’Esame
di
Carolina Angius
5°D ling.
A.S. 2007/2008
Introduzione
Potrà sembrare strano che come tesina d’esame voglia presentare un argomento così poco
consueto come questo, sulla figura simbolica e mitologica del vampiro.
In quest’ultimo secolo si è abusato talmente tanto del suo nome, in tutti i campi, che pare
essersi svuotata di qualsiasi significato.
Ed è attraverso il mio percorso che vorrei provare a spiegare come, il vampiro, nel corso dei
secoli, abbia avuto un significato molto più profondo dell’attuale o, a volte, un ruolo
semplicemente diverso.
Infatti, oltre al suo valore puramente mitologico, la figura del vampiro ha avuto spesso il ruolo
di rappresentare, in maniera allegorica, la parte più oscura del nostro essere.
Questa figura è stata definita anche come l’anti-eroe dell’estetismo.
Infatti, anche solo prendendo in considerazione la società odierna, possiamo notare quanto sia
predominante la tendenza a catalogare, cose e persone, secondo la categoria del bello o del
brutto, e di come queste ultime presentino confini sempre più labili. Qui, su questo confine,
s’inserisce la figura del vampiro.
Egli, infatti, nonostante la natura principalmente malvagia, è da sempre rappresentato come
una creatura affascinante, che suscita nell’animo umano sentimenti divisi, di attrazione e
repulsione, stupore e terrore, curiosità e incubo.
Così, si configura come una dimensione simbolica privata dell’uomo in cui si proiettano
sentimenti opposti (paura/desiderio) verso ciò che è diverso da noi.
Egli, eticamente opposto al bene ed esteticamente opposto al bello, crea una figura che
racchiude così in sé tutta la bellezza del brutto, andando ad occupare un posto complementare
nel cosmo dell’estetica, con uguale coinvolgimento e efficacia sensoriale.
La categoria del vampiro e del vampiresco si configura così di straordinaria importanza nella
letteratura moderna, poiché rappresenta la chiave attraverso la quale svelare tendenze ed
aspirazioni dell’uomo, assumendo il ruolo di specchio.
Quindi, la sua metafora, si propone come una presa di coscienza della propria condizione
attuale, attraverso la quale iniziare la reale ricerca di un’identità.
A partire da queste considerazioni ho voluto così sviluppare l’argomento, ampliandolo poi con
alcune analisi nella letteratura, ma non solo, della figura di questo personaggio che molto ha
influenzato diversi e grandi autori, ognuno dandogli un significato differente, una metafora
attraverso la quale cercare di spiegare l’uomo e i suoi comportamenti, o semplicemente
evocare la sua funzione mitologica.
Con stupore ho notato come la produzione letteraria sui vampiri sia veramente interminabile a
partire dalla letteratura latina a quella contemporanea.
Un’altra cosa che stupisce di questa figura, è la sua straordinaria capacità di adattamento alle
diverse epoche e, dunque, al gusto dei lettori. Ogni tempo ha avuto il suo vampiro, in
conformità a ciò che gli si chiedeva di essere, o per meglio dire, a ciò che gli si chiedeva di
riflettere.
Questa prolificità e questo continuo mutare sono capacità che si sono sviluppate soprattutto
negli ultimi due secoli, ma le sue radici sono ben più lontane.
Letteratura Latina
L’ Antenato del Vampiro in Apuleio.
Ho preferito iniziare con la letteratura latina, poiché Apuleio è l’autore più lontano nel tempo e,
quindi, colui che in qualche modo ci da alcune informazioni sull’antenato del vampiro e sulle
sue origini. Infatti, le figure presentate nel primo libro de “Le Metamorfosi”, non sono i veri e
bevitori di sangue
propri come li conosciamo noi oggi, ma sicuramente hanno dato gli “spunti
giusti” per alimentare la loro leggenda e sviluppare, nel corso dei secoli, la creatura oggi nota
come vampiro.
L’autore chiama questi esseri “lamie”. Nell’antichità, queste designavano delle creature dalle
sembianze di donna (ma che potevano assumere numerose altre forme) e che si diceva
succhiassero il sangue.
In sintesi, la vicenda narrata da Apuleio, racconta, per voce di Aristomene, un fatto di cronaca,
ammantandolo di contenuti fantastici e orrorifici.
Aristomene racconta di come, un giorno, incontrò il suo amico Socrate per una strada, ridotto a
mendicante. Questi gli spiega che è stata una vecchia maga, di nome Meroe, ad averlo ridotto
così, dopo averlo sedotto.
Impietosito, Aristomene lo conduce con sé, prima ai bagni e poi presso una locanda, dove
Socrate continua a narrare le sue sventure. Impaurito, Aristomene lo prega di tacere e di
dormire.
È notte, quando la maga, assieme ad una compagna, trova i due addormentati.
Qui, si scopre come la maga non sia altro che una ragazza che, al contrario di ciò che ha
raccontato l’uomo all’amico, è stata sedotta da Socrate.
Decide così di vendicarsi con l’omicidio del suo seduttore.
Le due donne sono presentate come lamie: infatti, capaci di intrufolarsi senza alcun problema
nella locanda e di entrare con gran fragore nella stanza chiusa a chiave dal di dentro, si
accingono, dopo un breve colloquio, a prelevare il sangue e il cuore del malcapitato, mentre un
Aristomene esterrefatto assiste impotente.
Tamponata poi la ferita alla gola con una spugna, prima di andarsene, Meroe pronuncia la
profezia: “Oh spugna che sei nata in mare, guardati di passare per fiume!”
Le lamie se ne vanno, ma Aristomene convinto che l’amico sia morto, le tenta tutte pur di
scappare ed evitare di essere accusato di omicidio.
Infine, scoprirà, con gioia e stupore, che l’amico è ancora in vita e che non è visibile alcuna
ferita. Così si convince di aver sognato tutto.
Tuttavia, la mattina seguente, mentre si accingono a lasciare la città, Socrate sente la necessità
di bere: ma non fa in tempo ad accostare le labbra al ruscello che lo squarcio terribile gli si
riapre sul collo, lasciando scivolare via la spugna, e con essa, la sua vita.
Il povero Aristomene, terrorizzato, si appresta a seppellirlo velocemente, per poi fuggire a
gambe levate da quell’orrore.
La tradizione classica delle lamie, narrata qui da Apuleio (ma anche da altri autori come
Filostrato), è considerata preparatoria per i grandi cicli vampireschi che si svilupperanno,
all’inizio soprattutto in Europa, a partire dal Settecento.
Deutsche Literatur
Johann Wolfgang Goethe – Die Braut von
Corinth (1797)
Abgesehen davon einiger unbestimmter Hinweis in anderer Autoren von der Zeit, es geht
Goethe der Verdienst zwischen die ersten des Themas Vampirs entwickelt in der Ballade (von
volkstümlichem Anstimmen) „Die Braut von Corinth“ von das 1797 besetzt zu haben.
Die Ballade wird von 28 Strophen von 7 Versen jedes gebildet. Die Reime werden verschränkter
und gekreuzt. Es ist verschiedene Metaphern, aber das wichtigste es ist jenes des "dunkel
blutgefärbten Wein ": klare Andeutung des Vampirs, die Blut saugt.
Hier ist Ceres, hier ist Bacchus Gabe;
Und du bringst den Amor, liebes Kind!
Bist vor Schrecken blaß!
Die Braut von Corinth Liebe, komm und laß
Laß uns sehn, wie froh die Götter sind.
Nach Corinthus von Athen gezogen
Kam ein Jüngling, dort noch unbekannt. Ferne bleib’, o Jüngling! bleibe stehen;
Einen Bürger hofft’ er sich gewogen; Ich gehöre nicht den Freuden an.
Beide Väter waren gastverwandt, Schon der letzte Schritt ist ach! geschehen,
Hatten frühe schon Durch der guten Mutter kranken Wahn,
Töchterchen und Sohn Die genesend schwur:
Braut und Bräutigam voraus genannt. Jugend und Natur
Sey dem Himmel künftig unterthan.
Aber wird er auch willkommen scheinen,
Wenn er theuer nicht die Gunst erkauft? Und der alten Götter bunt Gewimmel
Er ist noch ein Heide mit den Seinen, Hat sogleich das stille Haus geleert.
Und sie sind schon Christen und getauft. Unsichtbar wird Einer nur im Himmel,
Keimt ein Glaube neu, Und ein Heiland wird am Kreuz verehrt;
Wird oft Lieb’ und Treu’ Opfer fallen hier,
Wie ein böses Unkraut ausgerauft. Weder Lamm noch Stier,
Aber Menschenopfer unerhört.
Und schon lag das ganze Haus im Stillen,
Vater, Töchter, nur die Mutter wacht; Und er fragt und wäget alle Worte,
Sie empfängt den Gast mit bestem Willen, Deren keines seinem Geist entgeht.
Gleich in’s Prunkgemach wird er gebracht. Ist es möglich, daß am stillen Orte
Wein und Essen prangt Die geliebte Braut hier vor mir steht?
Eh’ er es verlangt: Sey die meine nur!
So versorgend wünscht sie gute Nacht. Unsrer Väter Schwur
Hat vom Himmel Segen uns erfleht.
Aber bei dem wohlbestellten Essen
Wird die Lust der Speise nicht erregt;
Müdigkeit läßt Speis’ und Trank vergessen, Mich erhältst du nicht, du gute Seele!
Daß er angekleidet sich auf’s Bette legt; Meiner zweyten Schwester gönnt man dich.
Und er schlummert fast, Wenn ich mich in stiller Klause quäle,
Als ein seltner Gast Ach! in ihren Armen denk’ an mich,
Sich zur offnen Thür herein bewegt. Die an dich nur denkt,
Die sich liebend kränkt;
Denn er sieht, bei seiner Lampe Schimmer In die Erde bald verbirgt sie sich.
Tritt, mit weißem Schleier und Gewand,
Sittsam still ein Mädchen in das Zimmer, Nein! bei dieser Flamme sey’s geschworen,
Um die Stirn ein schwarz- und goldnes Gütig zeigt sie Hymen uns voraus;
Band. Bist der Freude nicht und mir verloren,
Wie sie ihn erblickt, Kommst mit mir in meines Vaters Haus.
Hebt sie, die erschrickt, Liebchen, bleibe hier!
Mit Erstaunen eine weiße Hand. Feyre gleich mit mir
Unerwartet unsern Hochzeitschmaus.
Und schon wechseln sie der Treue Zeichen;
Golden reicht sie ihm die Kette dar,
Bin ich, rief sie aus, so fremd im Hause, Und er will ihr eine Schale reichen,
Daß ich von dem Gaste nichts vernahm? Silbern, künstlich, wie nicht eine war.
Ach, so hält man mich in meiner Klause! Die ist nicht für mich;
Und nun überfällt mich hier die Scham. Doch, ich bitte dich,
Ruhe nur so fort Eine Locke gib von deinem Haar.
Auf dem Lager dort
Und ich gehe schnell, so wie ich kam. Eben schlug die dumpfe Geisterstunde
Und nun schien es ihr erst wohl zu seyn.
Bleibe, schönes Mädchen! ruft der Knabe, Gierig schlürfte sie mit blassem Munde
Rafft von seinem Lager sich geschwind:
Nun den dunkel blutgefärbten Wein; Und der Jüngling will im ersten Schrecken
Doch vom Weizenbrot, Mit des Mädchens eignem Schleierflor,
Das er freundlich bot, Mit dem Teppich die Geliebte decken;
Nahm sie nicht den kleinsten Bissen ein. Doch sie windet gleich sich selbst hervor.
Wie mit Geist’s Gewalt
Und dem Jüngling reichte sie die Schale, Hebet die Gestalt
Der, wie sie, nun hastig lüstern trank. Lang’ und langsam sich im Bett’ empor.
Liebe fordert er bei’m stillen Mahle;
Ach, sein armes Herz war liebekrank. Mutter! Mutter! spricht sie hohle Worte:
Doch sie widersteht, So mißgönnt ihr mir die schöne Nacht!
Wie er immer fleht, Ihr vertreibt mich von dem warmen Orte.
Bis er weinend auf das Bette sank. Bin ich zur Verzweiflung nur erwacht?
Ist’s euch nicht genug,
Und sie kommt und wirft sich zu ihm nieder: Daß in’s Leichentuch,
Ach, wie ungern seh’ ich dich gequält! Daß ihr früh mich in das Grab gebracht?
Aber, ach! berührst du meine Glider,
Fühlst du schaudernd, was ich dir verhehlt. Aber aus der schwerbedeckten Enge
Wie der Schnee so weiß, Treibet mich ein eigenes Gericht.
Aber kalt wie Eis, Eurer Priester summende Gesänge
Ist das Liebchen, das du dir erwählt. Und ihr Segen haben kein Gewicht;
Salz und Wasser kühlt
Heftig faßt er sie mit starken Armen Nicht, wo Jugend fühlt;
Von der Liebe Jugendkraft durchmannt: Ach! die Erde kühlt die Liebe nicht.
Hoffe doch bei mir noch zu erwarmen,
Wär’st du selbst mir aus dem Grab gesandt!
Wechselhauch und Kuß!
Liebesüberfluß! Dieser Jüngling war mir erst versprochen,
Brennst du nicht und fühlest mich Als noch Venus heitrer Tempel stand.
entbrannt? Mutter, hab ihr doch das Wort gebrochen,
Liebe schließet fester sie zusammen, Weil ein fremd, ein falsch Gelübd’ euch
Thränen mischen sich in ihre Lust; band!
Gierig saugt sie seines Mundes Flammen, Doch kein Gott erhört,