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-Premessa-

L’argomento che ho deciso di andare a trattare è la scelta nata da un percorso di studi

fatto nell’anno scolastico precedente e dalla passione che nutro per quella branca della

biologia che è la genetica.

Questo mio interesse particolare è scaturito soprattutto da un esperienza fatta in

laboratorio riguardante un indagine genetica post-natale, a cui mi è stato possibile prender

parte grazie ad un progetto scolastico, ed ha trovato riscontro nel piano di studi affrontato

anche quest’anno dove ho potuto approfondire a livello storico ciò che più mi affascina.

Tratterò infatti di come la genetica influisca ed ha influito sull’evoluzione e sulle

caratteristiche che determinano una popolazione, e di come, nel corso della storia, l’uomo

se ne sia servito usandola anche per scopi poco nobili.

-Introduzione-

Ogni singolo organismo nasce, cresce, si riproduce e muore, ma non si evolve.

L’evoluzione infatti non è una proprietà degli organismi ma delle popolazioni,

cioè di tutti gli individui di una specie che vivono in una determinata area.

Le popolazioni sono composte di individui e il destino di ciascun individuo

determina quali delle sue caratteristiche vengano trasmesse alle generazioni

successive. L’evoluzione è quindi un fenomeno dovuto ai cambiamenti

dell’assetto genetico delle popolazioni che si realizza nell’arco di numerose

generazioni; perciò per comprendere appieno i meccanismi evolutivi, è

necessario conoscere i principi che governano la genetica delle popolazioni,

cioè quella branca della genetica che studia la frequenza, la distribuzione e

l’ereditarietà dei geni all’interno delle popolazioni.

Un osservatore qualunque potrebbe definire l’evoluzione sulla base dei

cambiamenti nell’aspetto esteriore o nel comportamento, osservabili nei

membri di una popolazione. Un genetista delle popolazioni no. Egli, in una

popolazione vede l’insieme di tutti i geni suddiviso in tanti “pacchetti”, che noi

chiamiamo individui. Qualsiasi cambiamento esteriore che noi possiamo

osservare nel singolo individuo di una popolazione può essere considerato

come l’espressione visibile di modificazioni avvenute nei geni. Il genetista delle

popolazioni, quindi, definisce l’evoluzione come un cambiamento delle

frequenze alleliche nei geni di una popolazione, che avviene nel corso delle

generazioni. - Dalla selezione naturale alla selezione razziale-

Riconoscere che l’evoluzione è un fenomeno osservabile solo a livello di

popolazione è stato uno dei maggiori meriti di Charles Darwin. Attraverso la

teoria della selezione naturale ha spiegato che affinché una popolazione sia in

equilibrio occorre che tutti gli individui abbiano le stesse capacità adattative

per sopravvivere, cioè che non siano presenti nella popolazione individui con

caratteristiche che conferiscono loro un vantaggio sugli altri. Ogni qualvolta un

individuo possieda una caratteristica che gli conferisca una “superiorità”, la

selezione naturale favorirà la moltiplicazione degli individui che ne sono

provvisti, portando cosi la popolazione ad evolversi.

Questa teoria, nel XIX e nel XX secolo, convinse un contemporaneo di Darwin,

Herbert Spencer, della possibilità di poterla applicare anche alla società umana

e al suo funzionamento. Le classi sociali più alte, avrebbero dominato su quelle

più basse, perché più ricche e agiate. Cosi come avrebbero fatto le popolazioni

più sviluppate rispetto alle altre. Non volendo, si gettò cosi una prima base

scientifica a quello che oggi è definito razzismo. Infatti, nel libro pubblicato da

Darwin, si parla chiaramente della preservazione delle razze privilegiate,

ovvero di quelle popolazioni, che rispetto ad altre, sono più avvantaggiate

politicamente, economicamente e socialmente rispetto ad altre.

Con queste affermazioni, si fece sempre più avanti il pensiero che alcune

popolazioni fossero superiori ad altre, e che dunque quelle inferiori andassero

eliminate.

Questo nuovo concetto, definito poi “igiene razziale”, trovò sostegno in molte

nazioni che consideravano la loro razza migliore di altre. Tra queste la

Germania fu una grande sostenitrice di queste nuove teorie.

- La razza “pura”-

Nel 1853, il francese De Gobinau, pubblicò un saggio sulla disuguaglianza delle

razze umane. Secondo lui la purezza di una razza derivava dalla capacità di

governare e di dominare le razze inferiori, e per rimanere pura ed evitare il

declino non si sarebbe dovuta mescolare con le altre. A suo giudizio la più pura

delle razze contemporanee era rappresentata dai tedeschi, che riteneva essere

i discendenti più puri di un popolo mitico: gli ariani. Il termine “ariano” era

comparso in quegli stessi anni nella linguistica per definire i linguaggi di origine

indoeuropea. La radice “ari” significava condottiero, nobile (da qui il termine

aristocratico) e il termine ariano prese quel significato passando a definire il

contenuto stesso del mito ariano, l’idea cioè di un popolo (quello tedesco), e di

una razza (quella ariana) dotata di capacità, di forza, di coraggio e di

indipendenza, in grado di affermarsi sugli altri popoli e sulle altre razze.

Elemento costitutivo della natura dell’ariano era l’aspirazione alla forza e alla

conquista e per questo costituiva un’aristocrazia in mondo di razze inferiori

sottomesse.

Già dall’antichità comunque, il popolo germanico era stato ammirato per la sua

forza e indipendenza. Autori latini, come ad esempio Tacito, scrissero a questo

proposito. Egli compose nel 98 d.C un operetta monografica intitolata “La

Germania”.

Il motivo ispiratore dell'opera è chiaro: Tacito, dopo la morte del tiranno

Domiziano, volle analizzare le cause della decadenza dei costumi romani, e

perciò si servì dei Germani, un popolo assai diverso, che oltretutto incuteva

timore per la sua forza ancora incontaminata da ciò che comunemente si

chiama "civiltà" e invece altro non è per Tacito che fiacchezza d'animo e

corruzione, per procedere ad un esame comparativo fra i costumi corrotti dei

Romani e quelli barbarici ma schietti di queste popolazioni. Insomma, è

presente in Tacito una specie di ammirazione per quelle genti sane e forti e

fierissime della loro indipendenza, che si serbano immuni dalla corruzione, e lo

si può ben capire dai versi che seguono, estratti dal capitolo 4:

“Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum

nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui similem gentem

extitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, quamquam in tanto

hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae,

magna corpora et tantum ad impetum valida”.

"Io stesso sono d'accordo con le opinioni di coloro che ritengono che i popoli

della Germania, non contaminati da nessuna unione con altre genti, mostrino

la loro razza pura e simile solo a se stessa. Per cui anche l'aspetto dei corpi,

sebbene in un numero tanto grande di uomini, è lo stesso per tutti: truci occhi

azzurri, capelli fulvi, corporature massicce e adatte soltanto all'attacco".

Segno di “purezza” sarebbe quindi la statura e la conformazione fisica

straordinariamente simile dei Germani.

La tesi di Tacito è poi stata ripresa nel ‘900, quando l’ideologia politica nazista

la usò per legittimare la propria validità. Infatti, in questa, trovò spunti di

propaganda soprattutto per l’ossessione della salvaguardia del sangue puro

tedesco. - “Aktion T4”-

All'inizio del XX secolo in molte nazioni, tra le quali spiccava la Germania, si

discuteva di eugenetica, una disciplina strettamente correlata al darwinismo

sociale, volta a migliorare la specie umana attraverso la selezione dei caratteri

genetici ritenuti positivi e l'eliminazione di quelli negativi. In Germania la

discussione si appoggiava su concetti di «razzismo scientifico» ed «igiene

Volk

razziale» secondo i quali il (traducibile in «comunità popolare» ed inteso

come insieme degli individui legati da caratteristiche razziali e culturali)

avrebbe dovuto sopravvivere e migliorarsi come collettività anche a discapito,

se il caso, dei diritti dell'individuo. L'idea di implementare una politica di

«igiene razziale» rappresentò un elemento centrale dell'ideologia hitleriana fin

dagli esordi. Hitler provò per tutta la vita una violenta repulsione per l'handicap

mentale e la deformità fisica, attratto com'era dai canoni di bellezza e purezza

che gli derivavano dal suo reputarsi "artista" e dal dibattito in corso in

Germania ad opera del movimento eugenetico. Nelle sue discussioni con

Philipp Bouhler e Hans Lammers, a capo rispettivamente della Cancelleria

privata del Führer e di quella del Reich, Hitler definiva gli ebrei come un virus

che doveva essere curato oppure come un cancro che doveva essere

asportato. Allo stesso modo egli vedeva i disabili come un «elemento estraneo»

al corpus razziale germanico: nella mente di Hitler e degli altri dirigenti nazisti

la necessità di «ripulire» la razza tedesca dai sub-umani era essenziale.

“Ai nostri occhi il giovane tedesco del futuro dovrà essere agile e slanciato,

vivace come un levriero, coriaceo come il cuoio e duro come l’acciaio di

Krupp.”

Con queste parole Adolf Hitler aveva ben chiari i suoi progetti, infatti subito

dopo l’ascesa al potere implementò le prime politiche di igiene razziale, e il 25

luglio 1933 venne approvata la legge sulla prevenzione della nascita di persone

affette da malattie ereditarie.

Questa legge stabiliva la sterilizzazione forzata di persone affette da una serie

di malattie ereditarie, o supposte tali, tra le quali schizofrenia, epilessia, cecità,

sordità, corea di Huntington e deficienza mentale. Inoltre la legge prevedeva la

sterilizzazione degli alcoolisti cronici. Subito dopo il varo del programma di

sterilizzazione coatta, denominato “Aktion T4” Hitler espresse il proprio favore

all'uccisione dei malati incurabili, delle «vite indegne di vita». Lo scoppio della

guerra permise così ad Hitler di realizzare il progetto che accarezzava la sua

mente già da lungo tempo. La guerra addusse anche nuove giustificazioni

all'idea di Hitler: i malati, anche se sterilizzati, continuavano a dover essere

ricoverati in appositi istituti e, di conseguenza, ad occupare spazi e risorse che

avrebbero potuto essere utilizzati per i soldati feriti e per gli sfollati delle città

bombardate, essi, infatti venivano alloggiati e nutriti a spese dello stato ed

impegnavano parte importante del tempo dei medici e del personale

infermieristico. Sfruttando questo, il Regime, organizzò tra il 1933 e il 1939, un

oculato programma propagandistico per l’opinione pubblica, dove con opuscoli,

poster e film, si mostrava il costo di mantenimento degli istituti medici preposti

alla cura dei malati incurabili e si affermava che il denaro risparmiato poteva

essere speso con più profitto per il «progresso» del popolo tedesco «sano».

Un ulteriore campo di intervento a favore dell'eugenetica fu rappresentato

dalle scuole dove gli studenti si trovarono a risolvere problemi di questo tipo:

“Un malato di mente costa circa 4 marchi al giorno, un invalido 5,5 marchi, un

delinquente 3,5 marchi. In molti casi un funzionario pubblico guadagna al

giorno 4 marchi, un impiegato appena 3,5 marchi, un operaio [...] a)

rappresenta graficamente queste cifre [...]”

La pressione sui giovani per accettare l'eugenetica si applicava anche

attraverso la potente organizzazione Hitler-Jugend («Gioventù hitleriana») che

raggruppava (l'iscrizione e la partecipazione alle attività svolte era

obbligatoria) i tedeschi dai 10 ai 18 anni di età. In un manuale formativo ad uso

dei leader della Gioventù hitleriana nel capitolo «Genetica ed igiene razziale» si

poteva leggere:

“La maggior parte di coloro con malattie e deficienze genetiche sono

completamente incapaci di sopravvivere da soli. Non possono badare a se

stessi ma devono essere presi in cura dalle istituzioni. Ciò costa allo stato

enormi somme ogni anno. Il costo di cura per una persona geneticamente

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