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L P (1867-1936)
UIGI IRANDELLO
Nel saggio su “L’Umorismo”(1908) Luigi Pirandello chiarisce la sua poetica: la prima parte è storica, perché
dedicata all'esame delle varie forme assunte dall'umorismo nel corso del tempo, e all’analisi dell’opera di vari
umoristi italiani e stranieri.
Nella seconda parte, di carattere teorico, Pirandello distingue due stadi dell'osservazione del reale, che egli
definisce "avvertimento del contrario" e "sentimento del contrario". Pirandello definisce "comico" "l'avvertimento
del contrario"; esso nasce dal contrasto tra l’apparenza e la realtà e provoca il riso. Ma se riusciamo a passare
dall'avvertimento del contrario al " sentimento del contrario ", se riusciamo cioè a riflettere oltre l'apparenza per
guardare nell'interiorità della persona, che produce la situazione umoristica, allora il riso si trasforma in pietà.
Nell’umorismo c’è quindi il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento
per le debolezze altrui che sono anche le proprie, esso risulta perciò essere meno spietato del comico che
giudica in maniera immediata.
Comicità Umorismo
È assente la riflessione Nasce dalla riflessione
↓ ↓
Avvertimento del contrario Sentimento del contrario
↓ ↓
Riso Pietà e compassione
Riflettendo sulla realtà, possiamo coglierne il lato molteplice e contraddittorio: da un lato si evidenzia il ridicolo di
una persona o di un fatto, dall’altro si individua il fondo dolente, di umana sofferenza che lascia il posto alla
pietà. Celebre è l'esempio della "vecchia signora", goffamente imbellettata e vestita di abiti giovanili, che
suscita il riso del lettore, il quale avverte in lei "il contrario" di come si dovrebbe acconciare una vecchia signora.
Ma se egli riflette sul perché ella inganni così pietosamente se stessa, nel tentativo magari di trattenere un
marito più giovane di lei, ecco che perverrà al "sentimento del contrario" ed il riso cederà il posto alla pietà. Di
qui la sua "poetica dell’umorismo": l'umorista scava più in profondità dello scrittore comico e di quello tragico
perché, intervenendo con la riflessione, smaschera le menzogne delle convenzioni sociali e gli autoinganni della
nostra coscienza.
L'umorismo si attua in due tempi e implica la scomposizione della realtà per cogliere i mille aspetti dai quali essa è
costituita e che si nascondono dietro le "forme", ovvero dietro i concetti e gli ideali a cui l'uomo vorrebbe restare
coerente. Compito dell’umorismo dunque è quello di ricercare le cause vere di ogni comportamento - al di là delle
finzioni sociali, della "maschera" che ciascuno di noi si impone - e quindi di rilevare gli elementi paradossali della 3
vita, di farci osservare noi stessi, di "farci sentire vivere" nel momento in cui viviamo, smontando le costruzioni
illusorie e liberandoci da quei formalismi e da quelle convenzioni che ci tengono prigionieri. Tuttavia l'interiorità
dell'uomo non si manifesta mai tutta insieme, e quello che si coglie e si crede sia il tutto, è solo una parte:
l'individuo può avere di sé soltanto una conoscenza relativa, ma nonostante ciò quando riesce ad abbandonare il
suo ruolo, a infrangere la barriera delle convenzioni e a togliersi la "maschera", viene crudelmente alla luce tutta
l'inconsistenza della vita, la sua mancanza di senso e di scopo, e l'essere umano si rivela per quello che è: falso,
inutile, infelice.
La critica che Pirandello muove alle illusioni dell'uomo è lucida e definitiva, la sua esigenza di verità può apparire
crudele, ma proprio perché mette a nudo la sofferenza dei suoi simili, l'autore dimostra una partecipazione
accorata, una sincera pietà per i suoi personaggi, nei quali "vita" e "forma" sono in continuo contrasto e che messi
improvvisamente di fronte alla scoperta della frantumazione della loro identità e alla crisi di quelle certezze che la
"forma" sembrava loro garantire rivelano di avere un viso " misto di riso e di pianto".
Il fu Mattia Pascal
Lo scrittore siciliano applica per la prima volta nel romanzo "Il fu Mattia Pascal", la poetica dell'umorismo, nel
senso che egli non si accontenta della semplice narrazione degli avvenimenti, ma sente l'esigenza di riflettere e
di produrre meccanismi di riflessione anche nel lettore. Fra tutte le sue opere narrative essa è quasi sicuramente
la più importante, inaugurando la letteratura novecentesca e rompendo definitamene con gli schemi tradizionali:
la narrativa diventa sempre più analisi interiore, tentativo di evidenziare l’angoscia esistenziale,
l’incomunicabilità, la solitudine dell’uomo per il quale “nulla è certo, tutto è relativo”. La sofferenza dell’uomo si
manifesta per eccellenza nella “trappola” costituita dalla famiglia e dalle misere condizioni economiche dei
personaggi di Pirandello, i quali tentano la ribellione e l’evasione dal grigiore della vita e dalle convenzioni
sociali che impongono loro di recitare una parte ( la forma ); ma per l’autore, da questa trappola non c’è una vera
via d’uscita: il suo pessimismo nei confronti della società è assoluto e non propone alternative.
Da qui nascono le situazioni incoerenti, assurde, paradossali, grottesche, comico-tragiche .
Così, nel “Fu Mattia Pascal”, l’impossibilità di vivere in una “forma sociale” e l’impossibilità di fuggirne
generano una situazione comica e nello stesso tempo tragica: la nuova identità, inventata, gli impedisce di rifarsi
una vita, e quando Mattia decide di tornare alla vecchia identità, nessuno lo vuole più riconoscere e rimane
confinato nella sua condizione di “morto vivente”. 4
Uno, nessuno e centomila
Così nel romanzo “Uno, nessuno e centomila” si può constatare che l’uomo si crede "
uno " ( univoca ed irrepetibile personalità ) ed é invece fatto di "centomila" vane forme,
le molteplici immagini secondo cui gli altri lo vedono. Questo equivale ad essere
"nessuno" per se stessi. La vera personalità dell’individuo resta soffocata sul nascere
da una “maschera” che gli altri impongono dall’esterno ed in base alla quale egli vive.
La vicenda prende le mosse da un fatto apparentemente insignificante ( il naso del
protagonista Vitangelo Moscarda pende a destra). Egli non si era mai accorto di
questo fatto apparentemente insignificante, che però lo sconvolge e gli fa commettere 5
ogni sorta di stranezze, in quanto scopre che l’immagine che si è creato di sé non corrisponde a quella che gli
altri hanno di lui.
Ma mentre Mattia Pascal vuole costruirsi una nuova identità, Moscarda vuole distruggere le identità illusorie
che gli sono attribuite, e non ne cerca un’altra, anzi, estraniandosi totalmente dalla vita sociale, si rifugia in uno
ospizio per poveri. Se prima la consapevolezza di non essere “nessuno” gli procurava angoscia, ora rifiuta ogni
identità personale, addirittura il proprio nome, e si abbandona gioiosamente al continuo divenire della vita, senza
più fissarsi in alcuna forma, rinascendo nuovo in ogni istante e identificandosi di volta in volta nelle cose che lo
circondano, alberi, vento, nuvole. In questo romanzo, la condizione negativa dovuta alla mancanza d’identità, si
trasforma in una condizione positiva, apparentemente gioiosa, anche se s’intuisce la solitudine amara insita
nella volontaria esclusione dal mondo di Vitangelo Moscarda.
Sei Personaggi in cerca d’autore
In quest’opera teatrale si può rilevare come il gesto ricorrente è rappresentato dal ridere; in tutte le sue varianti,
dal sorriso alla risata allo sghignazzo, esso è adottato da tutti i personaggi, in special modo dalla figliastra e dagli
attori. Le didascalie segnalano i moti psicologici che dettano il ridere: dall’imbarazzo al rifiuto, passando per le
vie intermedie del compiacimento e dell’intesa. Grazie a questo espediente Pirandello riesce ad accentuare la
posizione tragica dell’uomo che nel mondo moderno non ha altra strada se non quella di ridere della tragedia.
Il riferimento alla poetica dell’umorismo come passaggio dall’avvertimento del contrario al sentimento del
contrario è nei due casi evidente: quando la realtà mostra il suo lato difforme e ridicolo occorre un atto riflessivo
per restituire a tale lato la dignità, per convertire la risata dalla semplice percezione del difforme al superiore
livello, frutto di riflessione, della compassione.
Nei Sei Personaggi però il ridere acquista nuove sfumature, fino ad essere l’equivalente espressivo di quello che
nello spazio è il paravento e nel piano verbale la metafora, il parlar figurato, il silenzio. Il riso è qui segno di
censura, è quel gesto che l’uomo compie per allentare da se l’immagine perturbante e per convivere con essa
senza tuttavia cancellarla né ammetterla. Di questo tipo è lo sghignazzo degli attori all’uscita di Madama Pace.
Ma anche quando la megera parla il suo spagnolo “gli Attori scoppieranno a ridere fragorosamente”, e la
Figliastra, ridendo anche lei, chiamerà “buffissimo” un tal modo di parlare. E il Capocomico: “Ma no! Ma anzi!
parli così!parli così, signora! Effetto sicuro! Non si può dar di meglio anzi, per rompere un po’ comicamente la
crudezza della situazione”.
Tutti i momenti in cui emerge l’invalicabile differenza tra Personaggi e Attori sono punteggiati da una risata.
Quando il Capocomico obietta che la Madre non può essere “vedova” se il Padre (cioè il legittimo marito) è vivo,
“gli Attori scaricheranno tutto il loro sbalordimento in una fragorosa risata”. E il Padre implorerà: “(ferito, con
aspro risentimento) non ridano! Non ridano così, per carità!”. L’atto del ridere è nel dramma tanto ricorrente da 6
rappresentare un’altra forma di linguaggio, quello di un intero gruppo o società, che si difende così da ciò che
disturba e inquieta.
Dunque, le risate sottolineano i momenti forti dello svolgimento per indicare mancanza di reciprocità e mancanza
di “senso universale” nel dramma dei sei. Ride la Figliastra quando vede il suo dramma rappresentato dagli
Attori; ridono gli Attori quando tratterranno la Madre che si scaglia su Madama Pace strappandole la parrucca;
ridono gli Attori nella seconda parte, durante il dialogo, che non capiscono, tra il Padre e il Capocomico: ride
tragicamente la Figliastra quando uscirà dal teatro per sancire la fine – provvisoria – della rappresentazione.
I S (1861-1928)
TALO VEVO
L'ironia oggettiva della realtà: " la vita non è né bella né brutta, ma è originale"- La coscienza di Zeno
La prima forma di ironia che il romanzo di Svevo produce è quella oggettiva, cioè legata allo sviluppo
imprevedibilmente originale degli eventi. Non si tratta solo di
curiosa casualità della sorte, di bizzarria del caso, di
imponderabilità: se così fosse mancherebbe la possibilità al
personaggio narratore di mettere in evidenza lo scarto tra
aspettative, progetti d'azione e loro inevitabile fallimento.
L'inettitudine di Zeno, che si manifesta attraverso scelte
d'azione improvvide ed apparentemente perdenti, viene
quasi inspiegabilmente, ripagata dalla realtà, che lo ricambia
con risposte accomodanti ed addirittura gratificanti, a lungo
termine.
La realtà quindi corregge il mancato raggiungimento di
obiettivi che si rivelerebbero sostanzialmente falsi.
L'ambizione naturale a cogliere la vita nelle sue forme più appetibili e seducenti ( quali la bellezza di Ada Malfenti
o il successo in società di Guido Spaier ) si vanifica definitivamente per uno scherzo del caso.
Durante una seduta spiritica la vicinanza di Augusta, la meno bella delle sorelle Malfenti, spinge Zeno a
dichiarare il suo amore alla ragazza, credendo però di essere in presenza della bella Ada. L'errore che potrebbe
apparire tragico ed imbarazzante invece conduce Zeno a compiere una scelta matrimoniale, che via via si
rivelerà positiva.
Questo almeno nelle dichiarazioni del personaggio, che giura di avere trovato in Augusta una compagna ideale,