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Indice
Introduzione pag. 3
Gli effetti del terremoto pag. 5
I tipi di terremoto pag. 7
dalle Naturales Questiones di Seneca
Terremoto orribile accaduto in Napoli nel 1688 pag. 8
di Giacomo Antonio Lubrano
Messina pag. 9
di Umberto Saba
Al padre pag. 12
di Salvatore Quasimodo
I fenomeni sismici pag. 14
Il sismografo elettromagnetico pag. 18
Bibliografia pag. 20
In copertina: foto del terremoto dell’Irpinia del 23 Novembre 1980
Introduzione 2
Il termine terremoto (dal latino terrae motus “movimento della terra”) ha spesso evocato
immagini di rovine, sofferenze, paure; ma queste sono immagini emotive che offrono solo
una descrizione parziale del fenomeno: è difficile se non addirittura impossibile riuscire a
spiegare nei minimi dettagli avvenimenti, come quelli avvenuti in Abruzzo all'inizio di
Aprile, che lasciano ferite profonde nel cuore di ognuno. Questi eventi ci spingono a cercare
le cause principali all'origine dei terremoti che colpiscono molte zone del mondo, tra cui
anche l'Italia, al fine di elaborare modelli o previsioni su basi statistiche o deterministiche .
Il lavoro si propone di trattare l'argomento in senso cronologico: prende inizio dall'antichità
con Seneca che nelle “Naturales Questiones” dà una spiegazione di carattere per così dire
“scientifico” del fenomeno. In seguito prosegue con un'interpretazione poetica del
terremoto di Napoli del 1688 da parte di Giacomo Antonio Lubrano e con il ricordo,
attraverso due poesie, del terribile terremoto di Messina (1908): “Al padre” di Salvatore
Quasimodo, in cui il poeta, rendendo omaggio al genitore, tratta della terribile tragedia che
colpì la terra siciliana; “Messina” di Umberto Saba, un sonetto che, anche se pubblicato nel
1909, era poi sfuggito alla critica, così da non essere mai più pubblicato fino a quest'anno.
Dopo questa prima parte letteraria, l'attenzione si sposta sull'aspetto scientifico del
terremoto. Prima i terremoti sono spiegati scientificamente, cominciando dalle prime teorie
di Reid per arrivare alle conoscenze attuali.
Il lavoro, infine, si chiude con l'analisi e lo studio del fenomeno con tecniche moderne,
ovvero mediante l'uso di sismografi elettromagnetici.
Per l'approfondimento di tali argomenti ho eseguito ricerche su diversi testi scolastici e su
alcuni siti Internet, dove sono riuscito a reperire le due poesie sul terremoto di Messina;
inoltre per quanto concerne la parte relativa al sismografo elettromagnetico, ho fatto
affidamento sul materiale fornitomi gentilmente da Prof.ssa Tina Nunziata (Professoressa di
Geofisica - Dipartimento Geofisica e Vulcanologia - Università Federico II di Napoli), Prof.
Alfredo Mazzotti (Professore di Geofisica Applicata - Dipartimento di Scienze della Terra -
Università di Pisa) e Dott. Giovanni Costa (Ricercatore confermato - Docente di
sismometria -Dipartimento Scienza della Terra - Università di Trieste).
Il lavoro ha il fine di mostrare le differenze tra il passato ed il presente: appunto
comprendere i grandi cambiamenti nella concezione di questo fenomeno che oggi sappiamo
non essere un evento eccezionale, bensì ricorrente che si presenta con una sua ciclicità,
sempre attivo nel tempo: il terremoto è normalità, una normalità che spesso ci coglie di
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sorpresa e, purtroppo, impreparati.
Lucius Annaeus Seneca
Gli effetti dei terremoti
dalle Naturales Questiones – Liber VI - 1 4
Pompeios, celebrem Campaniae urbem, tutte le zone che si trovavano intorno, e in verità in
consedisse terrae motu, vexatis quae quei giorni invernali, che i nostri antenati solevano
adiacebant regionibus, audivimus, et promettere essere liberi da tale pericolo. Alle
quidem hibernis diebus, quos vacare a None di febbraio, durante il consolato di Regolo e
tali periculo maiores nostri solebant di Virginio, si verificò questo terremoto che
promittere. Nonis Februariis hic fuit devastò con enorme strage la Campania, mai
motus, Regulo et Verginio consulibus, sicura da questo male. Si devono trovare conforti
qui Campaniam, numquam securam per gli (abitanti) timorosi/impauriti e si deve
huius mali, magna strage vastavit. togliere/rimuovere il grande timore. Che cosa,
Quaerenda sunt trepidis solacia et infatti, può sembrare abbastanza sicuro per un
demendus ingens timor. Quid enim uomo, se il mondo si scuote da sé e le sue parti
satis tutum videri potest homini, si solidissime vacillano? Vi è la costernazione di
mundus ipse concutitur et partes eius tutti, quando le case sono andate in pezzi e la
solidissimae labant? Consternatio rovina ha dato il segnale. Allora ognuno si
omnium est, ubi tecta crepuerunt et precipita a capofitto e abbandona i suoi penati (la
ruina signum dedit. Tunc praeceps sua casa). Quale rifugio ci procuriamo, quale aiuto
quisque se proripit et penates suos se il mondo stesso crea rovine, se ciò che ci
deserit. Quam latebram prospicimus, difende e sostiene, sopra cui sono state poste le
quod auxilium, si orbis ipse ruinas città, si divide e vacilla/barcolla? Il porto ci libera
agitat, si hoc quod nos tuetur ac (pone in salvo) dalla tempesta; i tetti delle case
sustinet, supra quod urbes sitae sunt, respingono la violenza scatenata dei nembi e le
discedit ac titubat? A tempestate nos piogge che cadono senza fine; l'incendio non
vindicat portus; nimborum vim insegue chi fugge; durante la pestilenza si può
effusam et sine fine cadentes aquas cambiare sede (luogo in cui si abita): nessun male
tecta propellunt; fugientes non sequitur è senza rifugio. Questo male si estende per un
incendium; in pestilentia mutare sedes vastissimo spazio, inevitabile, avido, dannoso per
licet: nullum malum sine effugio est. avidum, publice noxium; non enim domos solum
Hoc malum latissime patet inevitabile, aut familias aut urbes singulas haurit, gentes totas
Abbiamo sentito dire che Pompei, regionesque submergit et modo ruinis operit,
celebre città della Campania, è modo in altam voraginem condit.
sprofondata per un terremoto, distrutte tutti senza distinzione; infatti, inghiotte non solo
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case o famiglie o singole città, e ora le copre (seppellisce) di rovine, ora le
sommerge interi popoli e regioni intere, nasconde in una profonda voragine.
Commento
In questo passo tratto dalle Naturales Questiones, Seneca descrive un terremoto che devastò
la Campania ed in particolare la zona del Golfo di Napoli, da Ercolano a Sorrento.
L'autore sottolinea la sismicità della zona colpita dall'evento e ciò gli abitanti di questa
regione l'hanno potuto constatare anche qualche decennio fa con lo spaventoso terremoto
del 23 novembre del 1980 e la successiva replica del 14 febbraio 1981: anche questi
avvenuti nei giorni invernali.
Emerge con forza l'attualità dell'evento sismico: recentemente, in seguito al sisma che si è
verificato in Abruzzo le televisioni ci hanno mostrato tante immagini di persone impaurite e
timorose che venivano confortate dai soccorritori. Ciò che sembrava sicuro a questa
popolazione di colpo è svanito; le persone, gli animali e le cose che facevano parte della
loro vita sono state travolte da questa forza della natura. La “costernatio”, che evidenzia il
filosofo nella sua opera, la ritroviamo identica dopo duemila anni: le persone sono sorprese
dall'evento e appaiono smarrite e alla ricerca di aiuto per superare una situazione di grande
difficoltà.
Un altro aspetto che viene sottolineato nel brano l'enorme devastazione che il terremoto
provoca e la dannosità per tutti senza distinzione: il sisma colpisce sempre vaste zone
seminando lutto e dolore in tutta la popolazione. Tuttavia la reazione della gente colpita,
dopo lo smarrimento iniziale, è di grande laboriosità per ricostruire, anche grazie alla
solidarietà, quanto distrutto dalla furia distruttrice.
I tipi di terremoti
dalle Naturales Questiones – Liber VI - 21
Nelle Naturales Questiones nel libro VI – 21 Seneca dà una spiegazione delle diverse
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tipologie di terremoti conosciute. Egli parla di due tipi: l'uno sussultorio (“succussio”) e
l'altro ondulatorio (“inclinatio”); inoltre ipotizza un terzo tipo che chiama “tremito della
terra” (“tremorem terrae”). Di queste tipologie illustra le cause e ritiene la scossa
ondulatoria quella più dannosa.
“Secondo Posidonio, ci sono due tipi di terremoto. Ciascuno ha un suo nome specifico: uno
è il moto sussultorio, quando la terra è scossa e si muove dal basso verso l’alto e viceversa,
l’altro è il moto ondulatorio, in cui la terra oscilla alternativamente da un lato e dall’altro,
come un’imbarcazione. Io, però, credo che ci sia anche un terzo tipo, che è stato designato
con una parola latina: infatti, non senza ragione i nostri antenati hanno parlato di un
«tremore» della terra, che è diverso dagli altri due, poiché le cose non ricevono una scossa
verticale, né oscillano lateralmente, ma vibrano, che in casi di questo genere è il movimento
più inoffensivo; così come l’oscillazione è molto più perniciosa della scossa sussultoria:
infatti, se non arriva rapidamente dalla parte opposta un moto che rimetta diritte le cose che
stanno per cadere, ne consegue inevitabilmente un crollo.”
Giacomo Antonio Lubrano
Terremoto orribile accaduto in Napoli nel 1688
Mortalità, che sogni? ove ti ascondi
se puoi perire a un alito di fato? 7
Dei miracoli tuoi il fasto andato 1
or né men scopre inceneriti i fondi .
Sozzo vapor da baratri profondi
basta ad urtar con precipizio alato
alpi di bronzo; e in polveroso fiato
distrugge tutto il Tutto a regni, a mondi.
Di ciechi spirti un’invisibil guerra
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ne assedia sempre , e cova un vacuo ignoto
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a subitanee mine in ogni terra . 4
A’ troni ancora, a’ templi è base il loto :
su le tombe si vive; e spesso atterra
le nostre eternità breve tremoto.
Note:
1. Ciò che l'uomo ha realizzato è ridotto in cenere
2. Una guerra invisibil di spirti ciechi ne (=ci) assedia sempre
3. Vacuo (vuoto) ignoto; mine da minae, arum; l'uomo è sempre assediato da forze oscure e minacciose
4. Il loto è il fango; cfr. Preludio di E. Praga (O Nemico lettor, canto …............. e il tuo loto!)
Analisi del testo
Il poeta si rivolge agli uomini con il sostantivo astratto “mortalità”, che pone l'accento sulla
fragilità degli esseri umani: essi si credono forti e potenti, pensano che le loro costruzioni
siano destinate a durare per l'eternità (“alpi di bronzo”)e invece possono essere atterrati da
un “breve tremoto”, un sozzo vapor che esce dalla profondità della terra.
Saba e il terremoto di Messina
Il Corriere di sabato 27 dicembre 2008 pubblica un articolo a firma
di Giordano Castellani, su Saba e il terremoto di Messina. L’autore
racconta che, sfogliando riviste e quotidiani del primo Novecento
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Illustrazione 1: Umberto
Saba
per un’edizione critica del “Canzoniere 1921” di Umberto Saba (pseudonimo di Umberto
Poli), scopre, nel “Piccolo” di Trieste del 12 gennaio 1909, un sonetto dal titolo “Messina”
di Umberto da Monreale (pseudonimo di U. Poli, poi, dal 1911, U. Saba), che, da allora,
non è stato mai più ripubblicato e, di esso, non v’è traccia nemmeno nella critica, se si
esclude una lettera di Saba a Giacomo Debenedetti del 1927.
Castellani giustamente ritiene che il rifiuto di Saba ad inserire il sonetto in raccolte
successive sia stato dettato dal fatto che in esso “frasi e immagini sono convenzionali, da
cartolina …” e che “il sonetto più che dal terremoto è ispirato dall’attenzione per la vita
militare”. Nel 1908 Saba, che come triestino italiano era tenuto al servizio di leva, aveva
passato quattro mesi in fanteria a Salerno. Nell'addestramento militare, accanto a contadini
analfabeti, aveva scoperto un' umanità che non conosceva. Nei Versi militari del 1908 i suoi
compagni gli appaiono come cuccioli, «giovani cani» sempre pronti al gioco, alla danza
grottesca, al lamento e al canto puerile. A questa serie di schizzi appartiene dunque
l'immagine apparentemente solo patetica del bersagliere che culla il bimbo orfano.
Messina
Io non la vidi mai, che d’essa noto biancheggiar la città, vasta aranciera.