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L’idea nasce un giorno, per caso, mentre stavo approfondendo su

internet un autore studiato nel corso dell’anno, mi sono ritrovata a

leggere un piccolo racconto, solo una cinquantina di parole ma

dense di significato:

IL VILLAGGIO VICINO, di Franz Kafka.

Mio nonno soleva dire: “La vita è incredibilmente breve. Oggi, nel

ricordo, mi si accorcia a tal punto che a malapena, per esempio,

riesco a concepire come un giovanotto possa decidere di recarsi a

cavallo fino al villaggio vicino senza il timore che, a prescindere da

accidenti sfortunati, il tempo stesso di una vita normale e

1

serenamente vissuta sia di gran lunga inadeguato a tale viaggio”.

A livello critico l’importanza e la grandezza dello scrittore praghese

sono ormai fuori discussione, ma di un autore così problematico e

allusivo le interpretazioni non sono univoche. Di volta in volta le sue

opere sono state lette come una disperata negazione di ogni senso,

come parabola della solitudine dell’uomo senza Dio, come critica

dell’alienazione umana nel mondo moderno. I suoi testi sono stati

collegati ora a questa ora a quella matrice filosofica o letteraria

(l’esistenzialismo, l’espressionismo, il surrealismo).

Muoversi dal proprio villaggio, per quanto breve possa essere la

distanza che lo separa da una meta così vicina, diventa nella

visione dell’autore un’impresa che non si può compiere in una vita

intera. Lo sguardo del nonno agisce a ritroso contraendo tutta la

propria vita (lunga) e paragonandola a quella che lo attende,

finendo con l’affermare rassegnato e quasi divertito, che la vita è

talmente breve che dura meno del tempo impiegato a raggiungere

il villaggio vicino.

L’autore in pochissime parole, ci regala due immagini nitide e che

possiamo paragonare in tutta la loro semplicità: una vita

(presumibilmente 70 anni) e il tempo necessario per andare al

villaggio vicino (presumibilmente un’ora).

70 anni/60 minuti

Siamo costretti a riflettere sul senso del tempo e siamo indotti a

pensare che il tempo sia come un elastico che si espande e contrae

senza una regola precisa.

Potrebbe persino arrivare la conclusione che il nonno non avrebbe

vissuto più molto e rendesse quell’ultima ora preziosa più di una

vita intera. 3

Carpe diem dicevano i latini, cogli l’attimo. L’attimo fuggente. Fiumi

di inchiostro sono stati versati su questo concetto. Da quì nasce lo

spunto per il tema della mia tesina:

il Tempo Supremo Tiranno e il modo in cui ognuno di noi vive questa

lotta.

Da sempre, nel corso della storia, l’Uomo ha preso coscienza

dell’inesorabile scorrere del tempo, della precarietà della sua

condizione. Il vero problema col tempo è vivere la libertà del tempo

interiore, ovvero la durata qualitativa del tempo vissuto nella nostra

coscienza, le sensazioni, le passioni, le emozioni attraverso le quali,

inspiegabilmente, certi secondi sembrano durare ore e certi giorni

sembrano volar via come minuti.

Questo problema è stato uno dei temi principali affrontato dalla

Filosofia e dall’Arte ed ogni corrente di pensiero ne ha proposto

svariate interpretazioni e soluzioni.

La nuova concezione del tempo tra ‘800 e ‘900 ha tra i suoi

Bergson:

principali fondatori il filosofo francese egli mette in crisi il

paradigma positivista e non vede più la realtà sotto leggi

meccaniche e sotto le coordinate temporali della fisica, ma intende

il reale come una proiezione del soggetto e della sua coscienza.

Queste nuove idee hanno un riscontro molto importante anche in

letteratura e dall’inizio del XX secolo, con le opere di Proust, Mann,

Joyce, Virginia Woolf, per esempio, il tempo non è più soltanto la

condizione necessaria per portare a compimento un’azione, ma è il

soggetto stesso del romanzo. Si assiste dunque ad un processo di

interiorizzazione: al tempo matematico sembra sostituirsi quello

della coscienza. Nel romanzo ottocentesco il succedersi degli eventi

era narrato, in genere, in modo oggettivo e cronologico, tanto che i

fatti sembravano facilmente situarsi in un “prima” e in un “poi” ed

apparivano lineari alla coscienza del narratore. Nel romanzo

novecentesco invece, appaiono concezioni fortemente soggettive

del tempo: viene proposta una percezione soggettiva della durata, il

tempo cioè sembra dilatarsi o ridursi a seconda degli stati di

coscienza di colui che vive e racconta le esperienze. Un evento

piccolissimo, filtrato da tutto ciò che atttraversa la coscienza degli

individui in ogni istante, è in grado di dar vita a ricordi e

4

concatenazioni di idee che possono protrarsi per pagine e pagine. E’

questo il procedimento dello “Stream of Consciousness”.

In questo lavoro ho preso in considerazione, concentrandomi

soprattutto sulla loro concezione del tempo, tre rappresentanti

della letteratura europea del primo ‘900, Virginia Woolf, Proust,

Ungaretti e concludo con il testo di una canzone di un famoso

gruppo Rock inglese: i Pink Floyd. 5

Franz Kafka Franz Kafka wurde am 3. Juli 1883 als

Sohn einer wohlhabenden jϋdisch-

deutschen Kaufmannsfamilie in Prag

geboren. Diese Zugehörigkeit zu

mehreren Welten brachte in ihm ein

schmerzvolles Gefϋhl der Fremdheit

und der Isolation hervor. „Als Jude”,

sagte er, gehöre er „nicht ganz zur

christlichen Welt. Als indifferenter

Jude… nicht ganz zu den Juden. Als

deutschsprechender Jude nicht ganz zu

den böhmischen Deutschen. Als Böhme

nicht ganz zu Österreich”. Auch seinem Amt als Prokurist in einer

Arbeiterunfallversicherungsgesellschaft gehörte er nicht ganz, denn

er fϋhlte sich vor allem als Schriftsteller. Zu dem soliden

bϋrgerlichen Beruf und zu seinem Jurastudium war er von seinem

tyrannischen Vater veranlasst worden. Ihm gegenϋber fϋhlte er sich

sein ganzes Lebem lang unterlegen und schuldig. Auch in der

Familie war er „fremder als ein Fremder”. Er hatte als nirgendwo,

weder in der Familie noch in der Gesellschaft, weder im Bϋro noch

im Glauben, ein „Zuhause”, und diesen Mangel an Halt und

Ordnung empfand er als eine Schuld. Auch seine Helden sind isoliert

und leben in einer feindlichen und fremden Welt; sie streben nach

einem Ziel, das sie nie erreichen werden. Sie kämpfen vergebens

um das Gesetz, dem sie unterworfen sind; aber diese höhere

Instanz, die sich mit Ordnung, Autorität, Sinn des Lebens oder auch

Gott selbst umschreiben lassen könnte, entzieht sich ihnen, und so

sind sie zum Scheitern verurteilt. Die Isolation Kafkas und seiner

Figuren ist die Folge einer begangenen Schuld, die immer

unbekannt ist. Auch in diesem Nichtkennen und Nichtwissen liegt

ein Grund der Schuld. So läuft das Leben von Kafkas Helden wie ein

Gerichtsprozess ab, der mit der Verurteilung des Angeklagten

endet. Die Strafe wird von den Helden als etwas Notwendiges, als

die einzige Möglichkeit der Sϋhne und Erlösung aufgenommen. 6

Wie der Autor selbst sind auch seine Gestalten häufig Einzelgänger

und Junggesellen. Alle Frauenbeziehungen Kafkas – zu der Berlinerin

Felice Bauer, zu der tschechischen Schriftstellerin Milena Jesenska

und zu der polnischen Jϋdin Dora Dymant – waren problematisch

und endeten ohne Heirat. Das Junggesellentum Kafkas und seiner

Hauptfiguren ist also ein Zeichen der Unfähigkeit, sich in die

menschliche Gemainschaft einzugliedern. In Mittelpunkt von Kafkas

Welt steht die Angst des modernen Menschen, seine Hoffnungs- und

Ausweglosigkeit in einer sinnlosen Welt, die Gott verloren hat. Diese

Überzeugung des „Geworfenseins” des Menschen in das

Unbegreifbare verbindet Kafka mit dem Existenzialismus. Die Welt,

zu der die kafkaschen Helden gehören, ist eine anonyme, reale

Alltagswelt, in die aber immer wieder ungeahnte groteske

Situationen einbrechen. Das Absurde, Irreale ereignet sich also

inmitten einer Wirklichkeit, die ohne Pathos, sachlich und detailliert

beschrieben wird, so dass das Normale als das Absurde und das

Absurde als etwas ganz Normales erscheint. Kafkas surrealistische

Darstellungsweise wird „magischer Realismus” genannt. Kafkas

Gestalten sind keine Ausnahmemenschen, sondern moistens

Durchschnittstypen, die individuell psychologisch nur wenig

charakterisiert, sondern eher zu Modellen, zu Schemen reduziert

werden. Wie im Märchen tragen sie meistens keinen Namen und

bewegen sich in einer historisch und geographisch unbestimmten

Welt, in der es keinen Kontrast zwischen Gut und Böse und auch

keine Phantasie gibt. In Kafkas Werk werden auch Träume, Ängste,

Visionen dargestellt. Um diese unbewussten Vorgänge des

Seelenlebens darzustellen, greift Kafka oft zur Allegorie und zur

Parabel, die eine sehr wichtige Rolle in der jϋdischen Tradition

spielen. Der Autor behält immer Distanz zum Erzählten („personale”

Erzählhaltung) und man erlebt das Geschehen aus der Perspektive

des Helden. Seine Sprache ist klar, schmucklos, nϋchtern. Kafkas

Werk, das im expressionistischen Zeitalter erschien und

hauptsächlich aus ganz kurzen Prosatexten, Erzählungen und drei

Romanen besteht, ist keiner bestimmten Kunstrichtung

zuzuschreiben und hat zu verschiedensten Interpretationen Anlass

gegeben: philosophischen, religiösen, psychoanalytischen,

soziologischen. Viele haben in dem Prager Autor einen Vorläufer des

Surrealismus und des Existenzialismus gesehen. Es steht auf jeden

Fall fest, dass die Wirkung seines Werkes erst nach dem Zweiten

Weltkrieg begann. Kakfa starb in einem Sanatorium bei Wien am 3.

Juni 1924. 7

Der Konflikt Vater-Sohn, den Kafka schmerzlich empfunden hat und

Brief an den Vater

der in seinem dokumentiert ist, ist das Leitmotiv

Das Urteil Die Verwandlung.

der berϋhmten Erzählungen und

Die Romane

Im Mittelpunkt von den drei Romanen Kafkas steht ein einzelner,

der versucht, sich innerhalb der Institutionen mit Fragen nach dem

Lebenssinn durchzusetzen. Die Hauptperson seines ersten

Der Verschollene, Amerika

Romanfragments von Max Brod betitelt

(1911-1912 entstanden und 1927 veröffentlicht), ist ein junger

Europäer, der wegen einer Liebesaffäre nach New York geschickt

wird, wo er in Kontakt mit den Mechanismen der modernen

Der Prozess

kapitalistischen Welt kommt. (1912-1914 entstanden,

1927 veröffentlicht): Der Bankprokurist Josef K. wird eines morgens

verhaftet; trotzdem darf er weiterarbeiten und sich frei bewegen. Er

weiß nicht, welche Schuld man ihm vorwirft und von wem ihm der

Prozess gemacht wird. Umsonst versucht er, zu dem geheimen

Gericht vorzudringen. Schließlich wird das Urteil vollstreckt: zwei

schwarz gekleidete Herren holen ihn ab und erstechen ihn wie

Das Schloß

„einen Hund”. Im letzten Roman (1922 entstanden und

1927 veröffentlicht) kommt der Landvermesser K. in ein Dorf, das

zu Fϋßen eines Schlosses liegt. Er meint, er sei von dessen

Behörden berufen worden, um dort seinen Dienst aufzunehmen.

Trotz seiner Bemϋhungen und seiner Versuche, von den

Dorfbewohnern anerkannt zu werden und eine Bestätigung seines

Auftrags zu erreichen, gelingt es ihm nicht, ins Schloss

einzudringen. Dem sterbenden K. bleibt das Schloss unerreichbar. 8

Virginia Woolf Virginia Woolf was born in 1882 in

London, the third of four children. Her

father was a journalist, an editor and

a writer. Virginia was educated at

home with her sister Vanessa,

because her father did not think girls

should be allowed to go to school or

university. The Stephen family were

happy, especially because the

children were conscious of the deep

love between their parents, but with

their mother’s premature death in

1895 the atmosphere in the house

became unbearably dark and

oppressive. Virginia had her first

breakdown in this period: she became

intolerably depressed, she was terrified of people and heard what

she later was to call “those horrible voices”. Finally she recovered,

but her symptoms were to return later and to become even more

serious. After her father’s death in 1904 she had a second

breakdown and tried to commit suicide for the first time, throwing

herself from a window. However, she recovered again and started to

write for The TLS (Times Literary Supplement), and continued to do

so until her death. In 1905 the family moved to Gordon Square, in

Bloomsbury, a district of London, where Virginia’s brothers often

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