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Il teatro nasce dal
rito e dalla festa
Uno dei più grandi studiosi italiani afferma:” gli storici sono d’accordo nel ricercare i presidenti del
teatro in quella cosa estremamente seria per tutti i popoli, e specie per i più antichi, che è il rito:
religioso o civile, di festa o di guerra o di morte”
Pensiamo ad un popolo primitivo. Vivere è assai duro: la selvaggina scarsa, le inondazioni vogliono
spesso dire morte. Si può fare per poco per questi disastri ma si può cercare di scongiurarli.
Immaginiamo la scena: poco prima della caccia un uomo coperto da pelli di bisonte e con una
maschera corre pensando che forse i bisonti si lasceranno attirare verso quel luogo e saranno
cacciati facilmente.
E se non piove e i racconti si seccano? Una vivace danza della pioggia convincerà il cielo troppo
chiaro a mandare nuvole nero e acquazzoni:
all’inizio lo stregone, che ha sulla faccia la maschera di un dio, terrorizza la gente che assiste alle
sue danze. Tutti sono convinti che sia lui diventato veramente quel dio. Ma poi gli spettatori
capiscono che la maschera può essere messa e tolta, che quei gesti, quelle danze possono essere
ripetute come un gioco, in periodi fisi dell’anno.
Capiscono che questi uomini infilati in pelli secchi di animali, con la faccia coperta da piume, da
maschere o da pitture fingono di essere qualcuno o qualcos’altro.
Sono li per rappresentare: ecco che fanno già teatro.
Gli uomini che celebrano un rito fanno la stessa cosa che fanno i bambini quando giocano o gli
attori quando recitano: trasformano la realtà o meglio, rappresentano un’altra realtà, cioè fanno
teatro. Filosofia
“Proprio in questo, nel cogliere l’esistenza della vita, la
tragedia e l’arte in generale divengono la giustificazione
estetica della vita.” F.Nietzsche (La nascita della tragedia)
Nietzsche e la
nascita della tragedia
Friedrich Wilhelm Nietzsche: Tra i maggiori filosofi occidentali di ogni tempo, Nietzsche ebbe
un'influenza articolata e controversa sul pensiero filosofico e
politico del Novecento. La sua filosofia è considerata da alcuni
uno spartiacque della filosofia contemporanea verso un nuovo
tipo di pensiero, ed è comunque oggetto di divergenti
interpretazioni. In ogni caso si tratta di un pensatore unico nel
suo genere, sì da giustificare l'enorme influenza da lui esercitata
sul pensiero posteriore. Coerentemente ai suoi assunti, diede
grande rilievo al mito, alla poesia e alla musica, cimentandosi in
gioventù anche come poeta e compositore attività in cui, peraltro,
a parere della critica, non attinse risultati paragonabili agli esiti
della sua speculazione filosofica.
Nietzsche si occupa della tragedia greca nel suo primo
libro pubblicato nel 1872, ”La nascita della tragedia”.
La sua ricerca parte dall'individuazione delle due
componenti tipiche di ogni arte: apollineo e dionisiaco.
Apollo è il dio dell'equilibrio, della misura; Dioniso è il
dio della sfrenatezza, dell'estasi. L'apollineo è di
conseguenza la parte razionale, il dionisiaco quella
istintiva ed emotiva, di ogni opera d'arte. L'arte apollinea per eccellenza è la scultura,
quella dionisiaca la musica. La tragedia è la perfetta sintesi di entrambe.
Nietzsche si sofferma sulla tragedia attica per questo: crede che dall'equilibrio della
componente apollinea e dionisiaca nasca per l'uomo una situazione di serenità e di
armonia. Nietzsche ritrova questa armonia negli antichi greci e non nell'uomo
moderno, per questo si interroga su come ebbe origine la tragedia e sul perché essa
cessò il suo splendore nell'arco di circa un secolo.
Si domanda innanzitutto a che scopo gli antichi greci crearono
gli Dei olimpici, e afferma che in essi ogni uomo vedeva rispecchiato il mondo
perfetto, quello a cui aspirava ma che non poteva vivere, oppresso dalla tragicità
dell'esistenza che ,
avvertiva sempre più concretamente. Gli Dei permettevano all'uomo di vivere e di
sopportare la sua esistenza, coprendo con il loro gusto della misura ogni suo accenno
di eccesso e sfrenatezza. Era l'epoca dell'apollineo, l'epoca Omerica, che sarebbe
stata superata dall’arrivo di Dionisio.
Dalla lirica di Archiloco si sviluppa il gusto del dionisiaco e prende forma la tragedia
attica, che trae la sua origine dalle schiere invasate dei cultori di Dioniso, mossi da
impulsi ancestrali, che, con le loro danze e i loro canti, si riconciliano con la natura in
festa. La tragedia nasce dai cori ditirambici: coloro che li intonavano distruggevano
la propria soggettività e sprofondavano nella natura universale, di cui la musica è
specchio. Quando l'uomo sprofonda definitivamente in questa dimensione dionisiaca
interviene Apollo, la componente razionale.
“Dapprima egli è divenuto, come artista dionisiaco, assolutamente una cosa sola con
l’uno originario, col suo dolore e la sua contraddizione e genera l’esemplare di questo
come musica[…], ma in seguito, sotto l’influsso apollineo del sogno, questa musica
gli ridiventa visibile come un’immagine di sogno simbolica.”
F.Nietzsche, La nascita della tragedia
L’uomo ha perso se stesso ed il terrore che ne deriva è troppo forte per essere tollerato: interviene
allora la visione apollinea, che permette alla soggettività di riapparire come illusione. La visione
apollinea è una visione salvifica senza la quale l’uomo non potrebbe tollerare d'esistere.
“ Proprio in questo, nel cogliere l’essenza della vita, la tragedia e l’arte in generale
divengono la giustificazione estetica della vita. In altre parole l’esperienza che lo
spettatore vive durante la tragedia rende la vita possibile e degna di essere vissuta.
L’uomo attraverso la tragedia si riappropria delle sue passino contrastanti e realizza
che gioia e dolore sono entrambi necessari, sono entrambi presenti nella vita. Impara
a godere tanto dell’uno quanto dell’altra. Egli apprende la natura tragica della vita.”
F.Nietzsche, La nascita della tragedia
La tragedia greca è la perfetta sintesi di apollineo e dionisiaco. Il coro, formato da
una massa di invasati, costituisce la componente dionisiaca. Lo spettatore, però, vede
questa dimensione irrazionale sotto forma di “sogni” del coro: è come se il coro
immaginasse la vicenda e gli spettatori assistessero a questa illusione apollinea, che
è una sorta di specchio in cui si riflette l'ebrezza dionisiaca del coro. Nella tragedia
greca i personaggi appaiono come una visione plasticamente reale, nitidamente
disegnata, ma che nasconde il panico profondo dell’ebbrezza di Dioniso, il flusso
continuo della vita che si impone con potenza irresistibile. La serena natura apollinea
si riflette quindi nella visione plastica realizzata dalle arti figurative e l’esperienza
dionisiaca, al contrario, trova la sua esaltazione nell’ebbrezza della musica.
“Oh come diversamente mi parlò Dionisio? Oh come mi era lontano allora proprio
tutto questo rassegnazionismo.”
F.Nietzsche, La nascita della tragedia
Nietzsche supera il pensiero schopenhaueriano: l'uomo non deve fuggire dal mondo,
non deve isolarsi e soprattutto non deve cercare di annientare i suoi istinti, ovvero la
“volontà”. L'uomo deve piuttosto vivere secondo la sua natura, assecondando questi
istinti proprio come fa con la ragione. L'uomo, per sopportare la vita, non deve
allontanarsi da essa, ma avvicinarsi a quello che davvero è per sua natura. Lo
seppero fare gli antichi greci, con la creazione del teatro e della tragedia greca; non
ci riesce l'uomo moderno, ingabbiato dalla razionalità che ebbe il sopravvento dall'età
socratica in poi. Italiano
Luigi
Pirandello (1867-1927)
“…chi ha la ventura di nascere personaggio vivo può
ridersi anche della morte. Non muore più!”
L.Pirandello (Sei personaggi in cerca d’autore
Biografia
Luigi Pirandello nasce il 28/06/1867 in una villa di campagna detta “caos”, vicino a Girgenti(dal
1927 diventa Agrigento), dove la madre si è rifugiata per sfuggire a un’epidemia di colera.
Studia a Palermo e a Roma prima di trasferirsi a Bonn, dove si laurea nel 1891.
Tornata a Roma l’anno seguente viene introdotto dal verista luigi Capuana negli ambienti letterari e
giornalistici della capitale dove si trasferisce con la moglie, Maria Antonietta Portulana sposata nel
1894.
Dal 1897 insegna all’istituto superiore di magistero. la nascita di tre figli
, la perdita di tutti i suoi averi investiti in una miniera, poi fallita, l’inizio progressivo della malattia
mentale della moglie, lo costringono ad un lavoro frenetico.
Nel 1924 aderisce al partito nazionale fascista
Nel 1925 fonda una propria compagnia teatrale(il teatro d’arte di Roma) con la qual mette in scena
le opere da lui scritte sia in Italia che all’estero.
L’incontro con la nuova artista Marta Abba , teneramente amata, segna una tappa importante per
Pirandello che la promuove al ruolo di primadonna nella rappresentazione delle sue opere teatrali.
Il riconoscimento del suo grande merito giunge nel 1929 con la nomina ad Accademico d’Italia e
nel 1934 con la sensazione del Premio Nobel.
Pirandello muore di polmonite il 10 dicembre 1936 a Roma.
Furono rispettate le sue ultime volontà, per un funerale povero, nudo e solitario, dettate su un
foglietto risalente a quasi vent’anni prima.
“Bruciatemi. E il mio corpo appena arso sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere,
vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata
in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui.”
La scoperta del
teatro
Sin dal 1886 a Palermo, si impone in Pirandello la vocazione teatrale.
A lungo ha alleggiato una legenda sul drammaturgo Luigi Pirandello ed era questa, che la fin fine,
fosse un drammaturgo malgré lui un drammaturgo quasi per sbaglio, arrivato al teatro tardi, versò i
cinquant’anni dopo una vita passata a scrivere novelle e romanzi( e anche poesie). Tutto insomma,
tranne che teatro.
Questa legenda che circola ancora un po’ oggi, non ha più ragione di essere.
Leggendo le lettere da lui scritte tra i venti e trent’anni si scopre che Pirandello è particolarmente
interessato alle scene teatrali.
Le sue lettere riportano informazioni preziose su i copioni che sta scrivendo, che ha scritto perché
pensa di far rappresentare agli attori dell’epoca.
Del 30 novembre 1886 è una lettera che parla di una commedia “uccelli dell’alto”, che
richiama”Ciascuno a modo suo”.” Figurati che nel rimo atto costringo i spettatori a fare da attori
nella mia commedia, e trasporto l’azione del palcoscenico all’orchestra”.
Siamo a Roma nel 1887 e continua l’educazione teatrale del giovane Pirandello, in una lettera del
27 novembre dice” il mio unico divertimento quando ho i quattrini, e il teatro drammatico e
nient’altro”.
Oppure “vado spesso a teatro emi diverto e me la rido a vedere la scena italiana caduta tanto in
basso….il tetro sempre poco affollato per simili rappresentazioni, che sono le sue buone,
resterebbero vuoto”.
È già evidente, in questo Pirandello giovane, come poi sarà nel Pirandello vecchio, nel Pirandello
capocomico, la scelta di un teatro d’arte, di un repertorio non commerciale.
Si intravede la polemica nei confronti di un pubblico esigui dove ci sono rappresentazioni di valore.
Pirandello scrive vari copioni, “Uccelli dell’alto” “Commedia volgare” “Fatti che or son parole”
“La gente allegra ” “Le popolane” che comunque non trovano rappresentazioni.
Siamo nel 1829 e Pirandello scrive” non basta lottar contro l’indifferenza e la non curanza del
pubblico, bisogna anche lottare contro l’ignoranza dei comici. Ah! Che bestie mie cari! Non intendo
nulla, proprio nulla, e se vedeste, che presunzione! Sono peggio dei critici, peggio! Povera arte e
povero me”.
Avevamo già visto gli sbuffi nei confronti del pubblico; qui per la prima volta anche gli autori
diventano bersaglia del giovane Pirandello.
Nel giro di una dozzina d’anni- dal 1886 al 1897- Pirandello ha accumulato la bellezza dei ben 15
testi, per lo più perduti o bruciati.