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La storia
Leggende legate al Tè e alle sue origini
Parlando del Tè si possono elencare una serie di miti provenienti dalle varie parti del mondo, dove il
suo utilizzo risale ai tempi più antichi; volendo partire da quelli minori, si può citare la leggenda del
Ti Kuan Yin, la favola del Pai Mu Tan e la più famosa leggenda sul Tè bianco.
La prima parla di un contadino molto devoto, che ogni giorno preparava una tazza di Tè per darla in
offerta alla dea Kuan Yin, la quale gli apparve in sogno una notte raccontandogli di un particolare
genere di Tè che si trovava nella fenditura di un dirupo. Lo consigliò di andarla a prendere, farla
crescere a casa sua e trarne beneficio per sé e per i suoi discendenti, gli raccomandò inoltre di non
essere egoista e di condividere con gli altri tale fortuna. Il contadino obbedì perseverando nella sua
devozione, trovò la pianta e chiamò quella nuova qualità di Tè ‘Kuan Yin’ per onorare la generosa
divinità.
La favola del Pai Mu Tan, invece, narra di un’epidemia di peste che colpì la regione Cinese del
Fujian molto tempo fa. Gli anziani di un villaggio raccontarono di una pianta in grado di curare i
malati, che cresceva sui monti vicini alla fonte di un drago; un gruppo di giovani si recò alla ricerca
della pianta, ma furono catturati dal drago che sorvegliava la fonte. Vollero partire allora tre fratelli,
due ragazzi e una ragazza, si avviò per primo il maggiore, che dopo trentasei giorni non faceva
ancora ritorno, s’incamminò dunque il secondo fratello che però non ebbe maggior successo. Dopo
quarantanove giorni, partì infine la ragazza e quando raggiunse la fonte, si rese conto che chiunque
avesse affrontato il drago era stato mutato in pietra. Non volendo fare la stessa fine, colpì il drago a
morte con delle frecce, restando nascosta nella selva. Riuscì così a raccogliere i germogli della
pianta sacra indicata, li innaffiò con l’acqua della fonte e questi divennero subito piante adulte; ella
raccolse i semi e li spremette sui compagni pietrificati, ridando loro la vita. Tornati a casa,
piantarono altri semi e le piante nacquero subito; con le loro foglie venne fatto un infuso da dare ai
malati, che guarirono senza problemi.
L’ultima leggenda minore racconta di un ufficiale dell’esercito stanco della corruzione del governo,
che partì con la madre per vivere in pace. Decise di stabilirsi sulle sponde di un lago dove
crescevano diciotto fiori di peonia, che lasciavano nell’aria un aroma inebriante. Dopo qualche
tempo la madre si ammalò e il giovane fu di nuovo costretto a viaggiare alla ricerca di cure
adeguate, purtroppo senza esito positivo; una notte gli apparve in sogno un anziano che gli
suggeriva di cucinare una carpa con un Tè nuovo per guarire la madre malata. Tornando a casa,
scoprì che anche la donna aveva fatto lo stesso sogno. Deciso a seguire il consiglio, pescò una carpa
e si mise a pensare come trovare il nuovo Tè, quando all’improvviso un tuono squarciò l’aria e le
diciotto peonie si trasformarono in piante di
Tè. Era una qualità particolare: essendo state
peonie, le piante avevano una superficie
lanuginosa bianca. Dando il cibo particolare
alla madre, ella migliorò subito e, una volta
guarita, chiese al figlio di prendersi cura di
quelle piante speciali. La donna divenne
immortale e un giorno volò via dalla terra,
divenendo la patrona del Tè del luogo.
Le leggende più famose sull’origine del Tè
sono due, secondo la provenienza, dalla Cina
oppure dall’India. Un dragone cinese 5
La leggenda Cinese racconta dell’Imperatore Shen Nung, vissuto intorno al 2737 a.C., il quale
aveva ordinato di bollire l’acqua prima di berla per motivi igienici. Un giorno, si sedette sotto una
pianta di Tè e una folata di vento fece cadere alcune foglie nell’acqua che stava bollendo; spinto
dalla curiosità, l’Imperatore assaggiò l’infuso e, trovandolo delizioso, introdusse il Tè come
bevanda in tutto il suo dominio.
La legenda Indiana, invece, imputa la scoperta del Tè al monaco Bodhidharma, che intraprese una
lunga meditazione su Buddha; dopo sette anni ebbe un cedimento e si addormentò.
Risvegliatosi bruscamente e resosi conto di quello che pensava un fallimento, con un gesto di
disperazione, si asportò le palpebre affinché non potessero più cadere nella tentazione di chiudersi.
Buddha, apprezzando il suo gesto d’amore, nel punto in cui caddero le palpebre, fece nascere delle
piante dalle foglie a forma di palpebra che potessero offrire a chi meditava l’energia per allontanare
il sonno.
Il luogo d’origine ed il nome
Nonostante tutti i racconti orali tramandati, è molto più probabile che le origini del tè siano da
imputare agli abitanti di una regione che si trovava al confine delle attuali Myanmar (ex Birmania) e
della Repubblica Popolare Cinese, poiché in quei luoghi si trovano
boschi millenari di Camelie e già all’epoca della dinastia Zhou
(1100 a.C. circa) il tè veniva venduto al popolo di etnia ‘Shan’ ai
birmani; era un tè fermentato e pressato all’interno di canne di
bambù utilizzato come verdura (e non per infusioni come al giorno
d’oggi). In cinese, sia la bevanda che la pianta erano chiamati in un
unico modo: “tcha”, con piccole variazioni dialettali (inevitabili in
un impero così esteso) a seconda della provincia. Ad esempio,
nella regione del Fujian si declinava come te e siccome gli
olandesi, primi importatori in occidente del prodotto, trafficavano
con il porto di Xiamen (in olandese Amoy) che si trova in quella
regione, trasmisero questa pronuncia in tutta Europa.
Divenne così “thee” in olandese e tedesco, “tè” in italiano, spagnolo, danese, norvegese, svedese ed
ungherese. Curiosamente, in Portogallo il tè si chiama “cha”, per il semplice motivo che i
portoghesi commerciavano con il porto di Macao, nel Canton, dove appunto il suo nome è cha.
In Gran Bretagna, la pronuncia cinese del Fujian (te) subì una leggera modifica che segnò la storia
moderna della bevanda, divenendo il famosissimo “tea”.
In Francia si chiamò “thè”, in Finlandia “tee”, in Lettonia “teja” e, per finire, in latino, che all’epoca
era la lingua ufficiale della scienza e dunque della botanica classificatoria, “thea”. Dal cantonese
“cha” la parola passò inalterata – tramite i commercianti portoghesi – al giapponese, al persiano e
all’hindi, subendo piccole variazioni in Arabia (shai), Turchia (chai)e Russia (ancora chai). 6
In Cina ed in Giappone
Secondo alcuni scritti del 347 a.C. il tè venne usato nel XII secolo a.C. per pagare dei tributi fiscali,
e pare accertato che almeno fino al III secolo d.C. si utilizzassero le foglie fresche per ottenere un
infuso curativo, ma proprio in quegli anni la bevanda iniziò ad essere utilizzata come bibita
rinfrescante e, contemporaneamente, si diffusero le pratiche di fermentazione ed essicazione.
Sempre nel III secolo, un erborista di nome Hua Tou spiegò in un trattato che questa bevanda era
utilizzabile per migliorare la concentrazione e restare svegli, grazie al potere nervino del tè, ovvero
all’ effetto stimolante che esso manifesta sul sistema nervoso eliminando il senso di stanchezza
mentale e la sonnolenza.
Gli stessi monaci se ne servivano durante le lunghe ore di meditazione in un modo alquanto
singolare: sembra che le foglioline venissero prima cotte a vapore, quindi pestate in un mortaio ed
infine aggiunte a un calderone in cui bollivano spezie e verdure (si parla addirittura di cipolle).
Nell’ 800 d.C., mentre in Europa Carlo Magno veniva incoronato imperatore, in Cina il monaco
buddista Lu Yu scriveva il Cha Ching il “Canone del tè”, un libro completo sul tè, dalla pianta,
all’acqua, al tempo di infusione, elencando tutti i metodi di preparazione antichi e moderni, dando
giusta lode ad una bevanda ormai ampiamente diffusa in tutto il Celeste Impero.
L’opera di Lu Yu fu un esempio di virtù buddiste Zen – amore per l’armonia formale, purezza
d’animo, rispetto degli altri, e fu molto apprezzata dall’imperatore che ne diffuse l’insegnamento,
facendo in modo che all’autore venisse attribuito il titolo di “Santo del tè”.
Sempre grazie ad un monaco buddista, il tè arrivò in Giappone; si tratta del monaco Eisai, che ne
introdusse l’impiego all’interno di un rito religioso. La bevanda si diffuse dalla Corte Imperiale, che
ne apprezzava il significato mistico, ai monasteri dislocati in tutto il territorio.
Il primo utilizzo non religioso a cui venne destinato furono i “tocha”, gare in cui la migliore nobiltà
antica preparava le migliori miscele da servire all’ imperatore; i vincitori ricevevano premi dall’
elevatissimo valore economico e sociale, quali preziosi abiti in seta, gioielli, o armature finemente
cesellate.
Con il tempo il significato spirituale attribuito alla bevanda venne snaturato, rendendo la pratica di
berla un semplice atto di grande eleganza formale e lusso; a ripristinare l’antico significato religioso
furono tre sacerdoti Zen: Ikku (1394-1481), Murata Shuko (1422-1502) e Sen no Rikyo – o Rikyu –
(1521-1591); fu quest’ ultimo in particolare a definire le rigide regole del cerimoniale del tè che si
osserva ancora oggi.
Questo monaco influenzò fortemente un importantissimo dignitario di corte, il generale (Shogun),
poeta e stratega Militare Tayotomi Hideyoshi: grazie a lui la cerimonia del tè, intatta del suo
originario significato religioso, si diffuse capillarmente nella cultura giapponese.
Il tè divenne così importante da essere considerato un dono supremo, tanto che i signori della guerra
usavano berne una tazza prima della battaglia. Una statua raffigurante
Lu Yu 7
Le rotte da Oriente a Occidente
Nell’ antichità il commercio tra Oriente e Occidente era possibile grazie a imponenti carovane
composte da migliaia di cammelli che portavano spezie tessuti e pietre preziose da est fino ai
mercati dell’ovest (Nineveh, Babilonia e Alessandria), da qui le merci proseguivano per nave fino a
Roma ed altri importanti centri commerciali.
Quando il tè cominciò a diffondersi nei paesi orientali alcune notizie su di esso passarono oralmente
tramite i racconti dei capo carovana, incuriosendo i mercanti veneziani, i quali si distinsero a partire
dal X secolo per le loro grandi doti di commercianti; dopo soli tre secoli detenevano il monopolio
commerciale dei porti mediterranei, ciò permise loro di raggiungere in breve tempo il pieno potere
economico e militare.
Prima però di essere caricate sui cammelli per attraversare le regioni montagnose dell’odierno
Pakistan e Afghanistan e del deserto arabico le merci venivano trasportate dai luoghi d’origine con
piccole imbarcazioni che costeggiavano il sub continente indiano.
Verso la seconda metà del XV secolo, però, i pirati cominciarono a rendere impraticabili quelle rotte
assaltando le imbarcazioni e facendo salire il prezzo delle merci all’arrivo. Per questo motivo e
anche in virtù dei miglioramenti nelle tecniche di costruzione navale e di navigazione, si rese più
conveniente il trasporto via mare; in questo modo le rotte terrestri e la mediazione economica
veneziana non erano più necessarie, causando così il declino di un impero commerciale.
La nuova rotta che collegava la Cina e l’Europa era il cosiddetto “passaggio ad est”: si salpava dai
porti sul Mar Cinese e da qui si seguiva la spinta dei forti venti da sud-ovest verso l’Oceano
Pacifico, verso l’attuale isola di Taiwan, si continuava verso le Filippine da cui poi, attraverso lo
stretto di Gillolo, il passaggio di Pitt e lo stretto di Ombai si raggiungeva l’Oceano indiano dopo
aver doppiato l’isola di Timor; a questo punto occorreva doppiare il Capo di Buona Speranza,
risalire lungo le coste dell’Africa Occidentale e puntare direttamente sui fiorenti porti di Londra,
Amsterdam, Copenhagen.
Il Mediterraneo si era ridotto al ruolo di mare interno già dalla scoperta dell’America, fu questo uno
dei principali motivi per cui il tè non si diffuse in Italia come invece avrebbe fatto il caffè