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Studentessa: Furlan Roberta
Classe VA Igea INDICE
Mappa degli argomenti ……………………………………………………………………. 2
Introduzione ……………………………………………………………………………….. 3
Il “Miracolo italiano” e adesione al Mercato Unico Europeo ……………………………... 4
Lo “Small Business Act”: una corsia preferenziale per l’Europa …………………………. 6
Exporter depuis son bureau ………………………………………………………………... 9
Italo Calvino “L’avventura di due sposi” …………………………………………………. 10
Bibliografia ………………………………………………………………………………... 12
INTRODUZIONE 2
Il tema dello sviluppo locale, in relazione alla riflessione sui processi di globalizzazione ed
europeizzazione, ha acquisito nell’ultimo ventennio una crescente rilevanza. Questi due macro-
processi hanno messo in luce quanto il potenziale economico, sociale e culturale dei sistemi locali
sia rilevante per la stabilità e la sostenibilità dello sviluppo nel contesto globale e in particolare dei
sistemi di produzione locale, realtà che caratterizza l’intero territorio europeo, seppur con forti
differenze interne.
Inizialmente le imprese hanno affrontato la sfida della globalizzazione dei mercati,
dell’integrazione delle economia e dell’accentuarsi della concorrenza tra le aziende contando su una
risorsa fondamentale, ossia la loro capacità di auto-organizzazione e applicando una gestione
tradizionale basata prevalentemente sulle doti personali dell’imprenditore.
La competizione ora non può più attuarsi tra singole imprese ma tra sistemi locali; ciò significa la
necessità di attivare risorse locali che siano in grado di costruire un sistema coeso al suo interno e
competitivo verso l’esterno, evitando chiusure localistiche.
Si è così consolidata in Italia, come nel resto dell’Europa, una realtà economico-geografica dei
cosiddetti DISTRETTI INDUSTRIALI. Si tratta di aree situate in una o più province contigue in
cui, per tradizione, sono sorte piccole e medie aziende operanti nello stesso settore merceologico,
spesso organizzate tra loro in modo da dividersi le fasi di un medesimo processo produttivo.
Ciascuna di esse può in questo modo specializzarsi nell’esecuzione di una sola fase del ciclo
produttivo.
Un caso specifico di sistema produttivo locale molto vicino a noi è quello dei calzaturifici della
Riviera del Brenta, che si estende in un’area compresa tra le province di Venezia e Padova. Esso
trae origine dal 1200 anche se ha avuto il suo pieno sviluppo verso la fine del XIX secolo. Solo nel
secondo dopoguerra la produzione del distretto decolla; parliamo poi di vero e proprio boom tra il
1951 e il 1971. Sarà nel 1969 che la produzione subirà una prima flessione nelle vendite, dettate
dalla crescente concorrenza con altri distretti italiani, ma anche paesi europei e extraeuropei. E’
proprio in quegli anni che vengono attuate le prime politiche di destinazione, sempre più rivolte
all’export e alla commercializzazione internazionale dei propri prodotti.
Il “miracolo italiano” e adesione al Mercato Unico Europeo 3
Gli anni 1951-1971 non furono gli anni di sviluppo soltanto per quanto riguarda le realtà
economiche dei distretti industriali, ma furono un periodo d’oro per il commercio internazionale e
per l’economia italiana in generale.
Nel periodo 1958-63, quello in cui lo sviluppo fu più intenso, il Prodotto Interno Lordo italiano
crebbe ad un tasso medio annuo molto elevato, così come il tasso di crescita degli investimenti e si
diffuse, anche presso i ceti popolari, un benessere prima sconosciuto alla maggioranza della
popolazione.
L’aumento del reddito si tradusse infatti nella diffusione di nuovi stili di vita e di consumo: la
televisione e le automobili furono i prodotti che più di ogni altro caratterizzarono questa nuova
epoca di consumi nel nostro Paese.
Ma quali condizioni resero possibile il “miracolo italiano”?
Alcuni fattori dello sviluppo furono interni, altri furono di carattere esogeno, cioè esterno.
Tra i fattori endogeni vanno segnalati in primo luogo:
L’intervento dello Stato che fu importante soprattutto per l’opera della promozione delle materie
prime necessarie alla produzione industriale; lo Stato riuscì insomma a garantire alle imprese
prodotti di base a basso costo, che potenziarono le capacità competitive del sistema industriale
italiano sui mercati internazionali.
Una importante fonte di risorsa era, inoltre, costituita dalle rimesse degli emigrati; è importante
ricordare che in questo periodo l’Italia era ancora un Paese di forte emigrazione e nei primi anni
Cinquanta l’emigrazione favorì il drenaggio di risparmi e capitali verso l’Italia, stimolando così la
domanda interna.
Un ulteriore fondamentale fattore di promozione della crescita dell’economia italiana di questi
anni fu rappresentato da un’eccezionale disponibilità di manodopera a basso costo poiché l’elevato
tasso di disoccupazione degli anni precedenti aveva indotto la forza lavoro (prevalentemente
giovane) ad adattarsi anche alle più dure condizioni lavorative pur di riuscire a mantenere un posto
sicuro.
Condizione determinante del “miracolo economico” fu l’aggancio dell’economia italiana a un
mercato internazionale in fase di espansione. Nel 1957 infatti l’Italia aderì alla CEE grazie alla
quale il nostro Paese riuscì ad inserirsi pienamente e definitivamente all’interno della rete degli
scambi internazionali con effetti fortemente percepibili già nell’immediato. L’impatto dell’adesione
alla CEE e quindi il superamento del tradizionale orientamento protezionistico della politica
economica italiana risalente alle scelte della Sinistra storica e di Crispi e consolidatosi nel ventennio
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fascista, provocherà importanti mutamenti poichè l’abbattimento dei dazi doganali stimolò
enormemente la produzione rivolta all’esportazione.
Nel secondo dopoguerra la convinta partecipazione all’Europa era infatti -ed è ancor oggi- percepita
dall’opinione pubblica italiana come un fattore di modernizzazione del Paese, di garanzia di
sviluppo democratico e di benessere economico.
L’integrazione europea, al di là del suo significato economico, è vista da molti nel nostro Paese
come una opportunità per bilanciare la forza americana e come uno strumento idoneo a far valere
anche sul piano politico presso gli Stati Uniti, interessi europei e italiani. Infatti la dipendenza dagli
USA, giudicata inevitabile e necessaria per ragioni economiche e politiche, non venne mai accettata
senza riserve. Fu così che a partire dalla metà degli anni Cinquanta, con il completamento della
ricostruzione dell’Europa post bellica, presero piede le prime ipotesi di integrazione tra i diversi
Paesi europei con l’obiettivo di assicurare al vecchio continente più autonomia e maggiore forza
economica e politica.
La prima pietra dell’edificio europeo fu gettata nel 1951 con la costituzione della Ceca (Comunità
Europea del Carbone e dell’Acciaio), che unì Belgio, Francia, Germania federale, Olanda,
Lussemburgo e Italia allo scopo di sviluppare e regolamentare la produzione in questi settori.
Nel 1957, con il Trattato di Roma, gli stessi Paesi diedero vita alla Comunità Economica Europea, il
quale scopo fu quello di creare un mercato comune tra gli Stati membri e di assicurare quindi la
libera circolazione delle merci, dei servizi e delle persone.
Per oltre vent’anni la Comunità Europea è rimasta limitata ai sei Paesi che l’avevano fondata, ma a
partire dagli anni ’70 si avviò un processo di espansione che coinvolse tutti i principali Paesi
dell’Europa occidentale (attualmente ne fanno parte 27 Paesi europei).
La comunità inoltre non si è solo allargata a nuovi Paesi, ma ha anche raggiunto un’unione più
stretta tra gli Stati membri, mediante la conclusione di cinque importanti trattati che hanno
profondamente modificato il trattato istitutivo del 1957. Ricordiamo: il Trattato di Lussemburgo
(1986) ha disposto la creazione del mercato unico a partire dal 1993; il Trattato di Maastricht
(1992) ha istituito l’Unione Europea e ha fissato le tappe per l’adozione della moneta unica; i
Trattati di Nizza e Amsterdam (1997 e 2001) hanno ampliato le competenze dell’Unione Europea;
il Trattato di Lisbona (2007) ha operato una modifica complessiva delle regole dell’Unione.
Lo “Small Business Act” : una corsia preferenziale per le imprese 5
Abbiamo già detto che l’Unione Europea è un’organizzazione sovranazionale (ossia al di sopra
delle singole nazioni) di cui fanno attualmente parte 27 Stati europei.
Vorrei soffermarmi in particolar modo su alcune politiche comuni attuate dall’Ue al fine di
sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese.
Fin dalla sua origine l’obiettivo principale della Comunità europea fu quello di creare un mercato
comune europeo, al di là dei confini tra gli Stati, un unico grande mercato inteso come uno spazio
senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali. Ciò ha comportato non solo l’abolizione dei controlli fisici, ma soprattutto
l’eliminazione di tutte quelle barriere legali che tendono ad ostacolare la libertà di circolazione tra i
Paesi.
Compito dell’Unione è anche quello di attuare misure dirette a correggere gli squilibri che esistono
tra diverse regioni europee, a favorire lo sviluppo delle regioni più povere e a rafforzare la
competitività tra le varie regioni.
In relazione al problema riguardante la difficoltà economiche delle imprese in seguito alla
globalizzazione dei mercati, possiamo dire che le imprese e le industrie europee non possono
permettersi di restare inattive di fronte alle sfide dell’innovazione e della globalizzazione. La
politica dell’UE per le imprese promuove la competitività e la creazione di occupazione, riservando
una particolare attenzione alle esigenze del settore manifatturiero e delle piccole medie imprese,
elementi centrali dell’economia europea dal momento che il settore manifatturiero rappresenta tre
quarti delle esportazioni dell’UE, e che le PMI rappresentano il 99% di tutte le imprese dell’Unione
(di qui la parola d’ordine scelta dalla Commissione nella sua politica per le imprese: “pensare prima
in piccolo”).
Capiamo bene quindi l’importanza di tutelare una realtà economica di così tale peso per l’equilibrio
dell’Unione.
L’obiettivo principale della politica dell’UE per le imprese è creare le condizioni ottimali per gli
investimenti, per la competitività e l’innovazione affinchè i settori di importanza strategica possano
prosperare grazie a tecnologie d’avanguardia.
Esistono programmi e finanziamenti speciali per promuovere l’imprenditorialità e le competenze,
migliorare l’accesso ai mercati da parte delle PMI e rafforzare il loro potenziale di crescita.
In generale tali politiche intendono migliorare la competitività del sistema industriale europeo, e
quindi, indirettamente, aumentare il livello di occupazione, migliorando il grado di coesione sociale.
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A questo scopo la Commissione lanciò nel 2007 l’idea di una “Small Business Act” per l’Europa
(una corsia preferenziale per l’impresa).
Approvata nel giugno 2008, la legge “Small Business Act” (SBA) sulle piccole e medie imprese,
mira a creare condizioni favorevoli alla crescita e alla competitività sostenibili delle imprese
europee stesse: le politiche comunitarie e nazionali devono tenere maggiormente conto del
contributo delle PMI alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro.
Lo “Small Business Act” si basa su una serie di principi destinati a guidare la formulazione delle
politiche comunitarie e nazionali:
Sviluppo di un ambiente favorevole all’imprenditorialità al fine di agevolare la creazione di