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Sintesi
Italiano: Gabriele D'Annunzio
Filosofia: Friedrich Nietzsche
Storia: Nazismo, Fascismo
Storia dell'arte: Espressionismo
Inglese: George Orwell
Geografia astronomica: La luna
Fisica: Enrico Fermi
Estratto del documento

L’oltreuomo: “al di là del bene e del male”

L’ideologia del superuomo nasce nel ‘900 all’interno del pensiero filosofico di

Nietzsche ed è incentrata sulla convinzione che l’uomo possa sottrarsi al suo

destino ciclico affermando e definendo la propria identità. Nietzsche effettua

una vera e propria inversione dei valori tradizionali, tuttavia non bisogna

pensare che egli neghi ogni valore etico. Ciò che Nietzsche condanna è un

certo tipo di morale che egli riscontrava nel suo vecchio maestro

Schopenhauer, ma soprattutto nel cristianesimo. Nei confronti di

Schopenhauer, Nietzsche condanna un sistema morale fondato su principi quali

la compassione o l’ascesi poiché essi erano lontani dallo slancio dionisiaco

verso la vita intesa come lotta per la supremazia. In merito alla morale

cristiana Nietzsche si rifà al rapporto servo-padrone già presente in Hegel;

mentre però per Hegel il lavoro avrebbe dato al servo coscienza di sé e quindi

libertà spirituale, per Nietzsche invece il lavoro non ha alcuna funzione

liberatoria. I padroni (concezione aristocratica) rimangono chiusi nella propria

casta ed ai servi non resta che crearsi una morale da schiavi. Da questo

atteggiamento di sottomissione deriva la morale cristiana basata sulla rinuncia,

che chiama virtù tutte le debolezze tipiche dell’uomo “schiavo”, quali l’umiltà,

la mansuetudine, l’altruismo, e l’astensione dai piaceri. La nuova morale

proposta da Nietzsche, quella del superuomo determina invece l’inversione di

queste virtù esaltando volontà, voluttà, orgoglio e istinto. Le opere in cui

Nietzsche sviluppa le caratteristiche del superuomo sono “Umano, troppo

umano”, “La gaia scienza” e il lavoro incompiuto “La volontà di potenza”. In

queste opere il filosofo condanna coloro che preferiscono mescolarsi nel gregge

dei mediocri ed evitare il rischio di “vivere pericolosamente”. L’uomo ideale

invece deve decidere di essere sé stesso, vivendo la propria libertà come

volontà di potenza. Chi fa questo “infrange ogni legge e non è più uomo, ma

superuomo”. L’inversione dei valori non è completa se il posto che un tempo

occupava Dio non sarà occupato ora dal superuomo. Infatti nella “Gaia scienza”

si ritrova il passo dell’uomo folle che proclama la morte di Dio sulla piazza del

mercato. Il folle deriso dalla gente, rendendosi conto che nessuno tra loro è il

superuomo afferma: “Io sono giunto troppo presto; non è ancora arrivato il mio

tempo”. L’annuncio della morte di Dio viene anche affidato al profeta iranico

Zarathustra nella celebre opera “Così parlò Zarathustra”. In tale annuncio ci

sono motivi tipici del pensiero nicciano. Innanzitutto la critica all’immanentismo

e al naturalismo delle filosofie dell’ottocento. Infatti esse attribuendo alle

scienze un valore assoluto (scientismo e positivismo) o ricorrendo ad uno

spirito Assoluto (idealismo hegeliano) per razionalizzare il reale commettevano

l’errore di trascendere il mondo e la materia. Nietzsche invece afferma che il

superuomo deve essere assolutamente terrestre, addirittura il senso della

terra. Negando Dio dunque occorre suscitare, al posto del Dio morto, l’uomo

superiore. Così basta che il profeta si allontani dal banchetto in cui festeggia il

prossimo avvento del superuomo, perché la massa colta dall’angoscia, cominci

ad adorare un asino d’oro. Per questo motivo l’avvento dell’oltreuomo prevede

un mutamento ontologico dell’essere umano: l’uomo deve diventare più che

uomo in una palingenensi finale. Il fatto che i discepoli di Zarathustra attendino

quest’evento non deve indurre a pensare che per Nietzsche la storia abbia un

fine trascendente. Anzi la concezione prevalente è quella della vita universale

che si ripete e si ripeterà eternamente, teoria enunciata nell’”Eterno ritorno”.

Questa dottrina presuppone la concezione della Volontà intesa come forza

cieca e assoluta alla quale l’uomo non può sottrarsi. La concezione ciclica del

grande anno immagina il mondo retto da un destino immutabile, che percorre

un suo ciclo (il grande anno) al termine del quale una conflagrazione

provocherà la palingenensi e dunque il rinnovamento del cielo. La dottrina

dell’eterno ritorno determina sul piano filosofico queste conseguenze: la

negazione dell’immortalità individuale cioè scomparirà l’individuo che si

fonderà nella vita cosmica universale; il cosiddetto “amor fati” che consiste

non solo nel sopportare ciò che è necessario, ma ad amarlo. Il destino si vince

non opponendo ad esso un’inutile resistenza, ma accettando l’essenza

profonda del mondo. Si può osservare che la volontà di potenza intesa come

espressione dell’istinto vitale sia in contrasto con la dottrina dell’eterno ritorno

che rivela un meccanicismo universale a cui nessuno può sottrarsi a tal punto

da vanificare la pretesa libertà del superuomo. Il superomismo influenzò la

corrente artistica dell’Espressionismo tra fine ‘800 e inizio ‘900. Comunemente

per Espressionismo si intende l’arte tedesca del primo ‘900. In realtà

l’Espressionismo è un fenomeno europeo con due focolai distinti: il movimento

francese dei “Fauves” (belve) nato nel 1905 e il movimento tedesco “Die

Brucke” (ponte). L’origine comune è la tendenza antimpressionista come

superamento del suo carattere essenzialmente sensorio. Infatti letteralmente

“espressione” è il contrario di “impressione”. L’impressione è un moto

dall’esterno all’interno: è la realtà (oggetto) che si imprime nella coscienza

(soggetto). L’espressione è un moto inverso dall’interno all’esterno: è il

soggetto che imprime di sé l’oggetto. Sul tema dell’esistenza gli Espressionisti

sentono l’influenza dei due maggiori pensatori dell’epoca, Bergson e Nietzsche

che incidono rispettivamente sul movimento francese dei Fauves e su quello

tedesco del Die Brucke. I primi risentono del concetto espresso da Bergson

sulla vita: per il filosofo la vita non è immobile e immutabile e viene

interpretata dalla coscienza in una continua comunicazione tra oggetto e

soggetto. Un unico slancio vitale, carattere creativo determina il divenire così

dei fenomeni come del pensiero. Rispetto alla tradizione i Fauves superano la

dialettica classico romantica dando vita ad una classicità universale priva

perciò dei contenuti storici del classicismo. L’impegno dei Fauves si riversa con

piena coscienza nel presente opponendosi alla società del tempo che voleva

una netta separazione fra cultura latina e cultura germanica, divergenza che

avrebbe presto condotto alla guerra. Il gruppo dei Fauves non è omogeneo e

non ha un programma definito se non quello di opporsi al decorativismo

edonistico dell’”Art Nouveau” e all’evasione spiritualistica del simbolismo. Essi,

inoltre, rifiutavano il disegno classico e prospettico e privilegiavano l’uso di

colori puri e brillanti. Il capofila del movimento fu Henri Matisse (1869-1954)

che si formò presso il pittore simbolista Gustav Moreau. Da questo pittore

derivò il gusto per il colore e l’adozione del segno curvilineo.

Nel dipinto “La tavola imbandita” Matisse esemplifica il suo stile cromatico-

decorativo. Inizialmente l’opera fu concepita come “armonia in verde”, poi

“armonia in blu” e infine “armonia in rosso”. Nell’opera confluiscono generi

pittorici diversi quali la natura morta, la rappresentazione della figura, il

paesaggio, la scena d’interno. L’azione si svolge in una stanza in cui una donna

sistema la frutta su un piatto; la realtà viene trasfigurata attraverso la resa

bidimensionale degli oggetti ed attraverso motivi ornamentali blu sia sulla

tovaglia che sulla tappezzeria. Nel 1909 Sergej Scukin, ricco imprenditore

russo, commissionò a Matisse due grandi opere raffiguranti rispettivamente

l’allegoria della danza e quella della musica.

La danza illustra un soggetto più volte rappresentato nei secoli precedenti,

adatto ad esprimere uno stato di benessere. Basti pensare al grandioso

affresco di Ambrogio Lorenzetti che dal ‘300 adorna la sala del Consiglio dei

Nove nel palazzo pubblico a Siena.

Matisse aveva trattato il tema della danza già nella “Gioia di vivere” sul cui

sfondo si vedono alcune figure che ballano, descrivendo un piccolo girotondo.

Nel nuovo dipinto l’artista riduce a 5 le figure ed elimina completamente il

contesto del paesaggio, concentrandosi esclusivamente sul gruppo danzante

che viene così ad essere l’unico soggetto dell’opera. Le figure danzanti che si

prendono per mano formano un cerchio che, visto in prospettiva, pare come un

ovale. La posizione delle figure suggerisce un movimento orario e vivacemente

irregolare. Infatti sembra che esista un vuoto tra l’ultima figura a sinistra e la

sua compagna a destra, tuttavia per riempire il vuoto sembra che le due figure

si sforzino, l’una slanciandosi in avanti, e l’altra proiettandosi all’indietro, per

rallentare il girotondo. Proprio nell’interruzione del cerchio è concentrato il

significato profondo dell’opera. Matisse ha voluto rappresentare l’idea della vita

stessa interpretata come il prorompere inarrestabile dello slancio vitale. Anche

il fatto che l’ovale non sia perfetto, riflette la perenne variabilità e irregolarità

della vita. L’effetto suscitato è quello di una grande serenità come diceva lo

stesso autore con queste parole: ”Il mio obbiettivo è un’arte equilibrata e pura,

un’arte che non inquieti né turbi.” Interessante l’uso del colore che Matisse

impiega in una gamma limitatissima: il rosso per i corpi, il verde per il prato, il

blu per lo sfondo. I tre colori contrastano fortemente e sono privi di sfumature e

chiaroscuro, il che conferisce all’immagine un forte impatto cromatico. Lo

stesso pittore sottolineava l’importanza delle relazioni cromatiche affermando:

“Un’unica tonalità non è che colore: due tonalità sono un accordo, sono vita. I

colori devono essere collegati in un accordo, devono risultare in un armonia

simile a quella musicale.”

“La musica” (1909-10) è nella composizione molto simile alla danza: cinque

personaggi nudi dai corpi rossi su un prato verde e sullo sfondo del blu intenso

del cielo. Le figure dei musicisti non si toccano né comunicano fra loro in alcun

modo. Essi svolgono il proprio ruolo di suonatori e cantori rivolgendo la propria

attenzione fuori dal quadro. Lo spettatore si trova ad occupare la posizione di

un invisibile direttore d’orchestra. La differenza fra le due opere sta nel fatto

che la danza rappresenta l’azione, la musica invece la stasi del movimento;

nonostante ciò soprattutto guardando le due opere affiancate si ha

l’impressione che l’una non potrebbe esistere senza l’altra. Infatti le figure

danzano al suono della musica, mentre la musica si genera dal ritmo della

danza.

Il movimento tedesco “Die Brucke” di cui facevano parte Kirchner, Nolde,

Schiele, si opponeva anch’esso all’Impressionismo. Per gli esponenti di questo

movimento l’arte deve creare la realtà e per far ciò deve partire da tutto ciò

che precede l’atto artistico: in questo modo l’artista deve riflettere la propria

esperienza del mondo. I temi degli espressionisti tedeschi sono generalmente

legati alla cronaca della vita quotidiana (la strada, la gente al caffè) ma essa

viene espressa attraverso un linguaggio non convenzionale, non costruito ma

appositamente rude e impacciato. Il rifiuto delle convenzioni riflette la polemica

sociale negli espressionisti tedeschi contro il modello dell’intellettuale

borghese. La borghesia è responsabile dell’inautenticità dell’esistenza sociale,

del fallimento dell’impresa umana, della negatività della storia come teorizzava

Nietzsche scagliandosi contro il progresso e la morale. Gli espressionisti,

seguendo la linea di pensiero del filosofo criticano le norme sociali che mettono

l’individuo in una situazione di dipendenza, impedendogli di esprimersi

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