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SPLEEN, NOIA, TEDIO

Spleen, noia, tedio, sono tre espressioni che indicano un’unica condizione

interiore, che è quella di inadeguatezza, di incapacità alla vita, di estraneità.

Sentirsi separati fa cogliere con maggiore sensibilità la vanità della realtà e

spesso questo è il destino dell’artista: percorrere i tempi, guardare oltre, ma

essere trattato da reietto, costretto a vivere ai margini della società.

(LXVIII Zibaldone,

“La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani ”

Leopardi)

" Veramente per la noia non credo che si debba intendere altro che il desiderio puro della felicità

(...)Il qual desiderio non è mai soddisfatto. Sicché la vita umana è intessuta parte di dolore e parte

di noia; dall'una delle quali passioni non ha riposo se non cadendo nell'altra."

( Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare, 1824, Leopardi)

Per Baudelaire la noia si trasforma in paralizzante: “Spleen è senso di devitalizzante

prigionia, coscienza di uno stato di esilio permanente. È delirio, panico, soffocamento

claustrofobico, la presenza totale della disperazione che si impossessa definitivamente dell’anima

dilacerata piantandovi la propria insegna di morte.”

(Testi ed intertesi del Novecento, Fratelli Conti Editori)

Spleen

Quando come un coperchio il cielo pesa

grave e basso ; sull'anima gemente

in preda a lunghi affanni, e quando versa

su noi, dell'orizzonte tutto il giro

abbracciando, una luce nera e triste

più delle notti; e quando si è mutata

la terra in una cella umida,; dove

se ne va su pei muri la Speranza

sbattendo la sua timida ala, come

un pipistrello; che la testa picchia

su fradici soffitti; e quando imita

la pioggia, nel mostrare le sue strisce

infinite, le sbarre di una vasta

prigione, e quando un popolo silente

di infami ragni tende le sue reti

in fondo ai cervelli nostri, a un tratto

furiosamente scattano campane,

lanciando verso il cielo un urlo atroce

come spiriti erranti, senza patria,

che si mettano a gemere ostinati.

E lunghi funerali lentamente

senza tamburi sfilano né musica

dentro l'anima: vinta, la Speranza

piange, e l'atroce Angoscia sul mio cranio

pianta, despota, il suo vessillo nero. “I Fiori Del Male”

“Poco fa nell’ attraversare il Boulevard, in gran fretta, mentre saltellavo nel fango tra quel caos

dove la morte giunge al galoppo da tutti i lati allo stesso istante, la mia aureola, per un brusco

movimento, è scivolata dalla mia testa, giù dal capo nel fango della strada.

Non ebbi coraggio di raccattarla, e mi parve meno spiacevole perdere le insegne che rompermi le

(Lo Spleen Di Parigi, Baudelaire)

ossa.”

Baudelaire perde per le strade di Parigi la sua aureola, immerso nella

travolgente confusione della città moderna. Il poeta si sente un escluso.

Punto di partenza dell’indagine che opera Pirandello nelle sue opere è proprio il

disprezzo per quel vorticoso incedere verso il progresso di cui è prigioniero

l’uomo moderno, privato di tutti i valori etici di riferimento e che provoca

un’inquietudine e un senso di estraneità che lacerano l’integrità psichica

dell’individuo.

Nel mondo classico, il ritiro dall’impegno civile, “l’otium literarium”, la vita

meditativa dedita allo studio e alla ricerca, era ritenuto un privilegio

dell’intellettuale. Petronio, il quale visse un’esistenza destinata al culto dell’ozio

indolente, rappresenta più di ogni altro, l’ideale di intellettuale totalmente

dedito al perfezionamento della propria cultura e della propria persona. Inoltre,

per quanto riguarda il romanzo che egli presumibilmente scrisse, il Satyricon,

riflette il senso di angoscia, estraneità e paralisi che avverte l’intellettuale, in

un universo ormai degradato, in cui le certezze sono illusorie e inafferrabili. Il

continuo errare del protagonista Encolpio, si configura come un’inutile ricerca

di punti fermi.

Lo spleen inteso come angoscia riflette invece il pensiero filosofico di

Kierkegaard, il quale dedicò a questo devastante sentimento, una delle sue

opere più importanti, “Il concetto dell’angoscia”.

John Keats reagisce alla sofferenza che domina la realtà, rifugiandosi nell’opera

d’arte, ideale di bellezza senza tempo e verità, come egli stesso afferma nei

versi finale di “Ode on a Grecian Urn”:

“Beauty is truth, truth beauty, - that is all “Bellezza è verità,verità è bellezza, - questo solo

Ye know on earth, and all ye need to know” Sulla Terra sapete, ed è quanto basta”

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