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metamorfosi, egli rimane bestia da soma per lunghi mesi, si trova coinvolto in mille avventure,
sottoposto ad infinite angherie e muto testimone dei più abietti vizi umani. Nella caverna dei
briganti, Lucio ascolta la lunga e bellissima favola di "Amore e Psiche", narrata da una
vecchia ad una fanciulla rapita dai malviventi: la favola racconta appunto l'avventura di
Psiche, l'Anima, innamorata di Eros, dio del desiderio, uno dei grandi dèmoni dell'universo
platonico, la quale possiede senza saperlo, nella notte della propria coscienza, il dio che lei
ama, e che però smarrisce per curiosità, per ritrovarlo poi nel dolore di un'espiazione che le fa
attraversare tutti gli "elementi" del mondo. Sconfitti poi i briganti dal fidanzato della
fanciulla, Lucio viene liberato, finché – dopo altre peripezie – si trova nella regione di Corinto,
dove, sempre sotto forma asinina, si addormenta sulla spiaggia di Cancree e, durante una
notte di plenilunio, vede apparire in sogno la dea Iside che lo conforta, gli annuncia la fine del
supplizio e gli indica dove potrà trovare le benefiche rose. Il giorno dopo, il miracolo si compie
nel corso di una processione di fedeli della dea e Lucio, per riconoscenza, si fa iniziare ai
misteri di Iside e Osiride.
L'ultima parte del romanzo (libro XI), che si svolge in un clima di forte suggestione mistica ed
iniziatica, non ha equivalente nel testo del modello greco. E’ evidente che è un'aggiunta di A.,
al pari della celebre "favola" di Amore e Psiche, che si trova inserita verso la metà dell'opera:
centralità decisamente "programmatica", che fa della stessa quasi un modello in scala ridotta
dell’intero percorso narrativo del romanzo, offrendone la corretta decodificazione. Ci si può
chiedere se queste aggiunte non servano a spiegare l'intenzione dell'autore. In realtà l'episodio
di Iside, come quello di Amore e Psiche, ha un evidente significato religioso: indubbio nel
primo; fortemente probabile nel secondo, interpretato specificamente ora come mito filosofico
di matrice platonica, ora come un racconto di iniziazione al culto iliaco, ora – ma meno
efficacemente – come un mito cristiano. Certo è, comunque, che tutto il romanzo è carico di
rimandi simbolici all’itinerario spirituale del protagonista-autore: la vicenda di Lucio ha,
infatti, indubbiamente valore allegorica: rappresenta la caduta e la redenzione dell’uomo, di
cui l’XI libro è certamente la conclusione religiosa. Il tutto farebbe delle "Metamorfosi", così,
un vero e proprio romanzo "mistagogico".
Il tema del sogno appare nell’undicesimo libro, infatti all'improvviso l'asino si sveglia e vede
sorgere dal mare la luna. Profondamente commosso, le rivolge una preghiera, chiedendole di
potersi liberare della bestia che è in lui, oppure di morire. Poi si riaddormenta. In sogno gli
appare Iside,la dea che governa col cenno del capo le vette luminose della volta celeste, i venti
del mare, i silenzi dell’Averno. Iside,la quale afferma di essere venerata ovunque sotto
molteplici forme e con numerosi nomi, (Minerva, Venere, Diana, Proserpina, Cerere, Giunone,
Bellona, Ecate, Rammusia) gli annuncia la fine dei suoi tormenti: il giorno seguente (il 5
marzo) è la festa della dea; Lucio dovrà avvicinarsi al sacerdote e mangiare i petali delle rose
della sacra ghirlanda: all'istante ritornerà uomo. La sua vita però cambierà del tutto: egli
diventerà un adepto del culto della dea, che gli promette beatitudine eterna dopo la morte.
L'asino si risveglia: è una stupenda giornata primaverile e tutto è permeato di una strana
gioia. Durante la processione finalmente Lucio vede il sacerdote, gli si avvicina e mangia le
rose. All'istante ridiventa uomo. Il sacerdote gli spiega il senso delle sue traversìe e lo esorta
ad abbracciare la nuova fede. Lucio, commosso, segue il corteo del “navigium Isidis”. Il
giovane può finalmente rivedere i suoi, da cui era creduto morto; ma tutti i suoi desideri sono
rivolti all'iniziazione, che finalmente, dopo una lunga attesa, avrà luogo. Una seconda
iniziazione avverrà a Roma: Lucio diverrà anche adepto di Osiride. Infine vi sarà la terza e
definitiva consacrazione di Lucio, che ora scopre le sue carte e si dice non più greco, ma
originario di Madauro (la sovrapposizione con l'autore è ormai completa); il dio Osiride in
persona promette al giovane una brillante carriera come retore giudiziario e lo esorta a non
preoccuparsi delle calunnie della gente. Lucio, prima di entrare a far parte di un collegio
sacerdotale, con gesto altamente simbolico si rasa i bei riccioli biondi di cui andava tanto
fiero.
Apollonio Rodio
INTRODUZIONE
Apollonio Rodio (Alessandria d'Egitto? 295 ca. - 215 ca. a.C.), poeta epico greco. Poche sono
le notizie sulla vita di Apollonio Rodio: nato in Egitto, ad Alessandria o secondo altre fonti a
Naucrati, nei primi anni del III secolo a.C., discepolo di Callimaco (con cui però in seguito
polemizzò aspramente), fu nominato bibliotecario della biblioteca di Alessandria da Tolomeo
II Filadelfo che gli affidò anche l’educazione di suo figlio, il futuro re Tolomeo III Evèrgete.
Quando però nel 247 a.C. Tolomeo III salì al trono, Apollonio Rodio fu sostituito nella
direzione della biblioteca da Eratostene; è probabile che questa decisione sia stata presa anche
per l’intervento di Callimaco, ostile ad Apollonio Rodio e molto influente presso il nuovo re.
Apollonio abbandonò allora Alessandria e si stabilì a Rodi (da qui deriva l’appellativo di
“Rodio”) ove visse fino alla morte.
LE POLEMICHE LETTERARIE
Apollonio Rodio fu un importante esponente della letteratura erudita dell'età ellenistica:
scrisse alcuni poemetti in esametri sulle origini mitologiche di varie città (Alessandria,
Naucrati, Cnido) e alcune opere di critica letteraria, di cui non restano che frammenti. Benché
si fosse lui stesso cimentato anche nella composizione di epigrammi (l’Antologia Palatina ne
conserva uno), Apollonio nella polemica letteraria tra i sostenitori delle antiche forme
poetiche e gli innovatori alessandrini prese apertamente posizione a favore delle prime, e in
particolare del poema epico, di ampio respiro e sobriamente conforme alla tradizione omerica, in
aspra polemica col suo maestro, Callimaco, che prediligeva il carme breve (epillio) e lo stile
artificiosamente elaborato.
LE ARGONAUTICHE
Apollonio Rodio dedicò gran parte della sua vita alla composizione delle Argonautiche, un
poema epico in quattro libri (per un totale di 5835 esametri) che ebbe probabilmente due
stesure successive (una ad Alessandria, l’altra a Rodi). L’opera, che ci è giunta integralmente,
racconta il viaggio di Giasone e dei suoi compagni, gli Argonauti, in Colchide per
riconquistare il vello d’oro e nel terzo libro, forse il più originale, narra la storia d’amore fra
il protagonista e la maga Medea. Nonostante le conservatrici posizioni teoriche del suo autore,
il poema è frutto di un riuscito tentativo di conciliazione fra la tradizione e la nuova poetica
alessandrina: infatti Apollonio Rodio, adeguandosi anche ai canoni fissati da Aristotele per il
genere epico, scrisse un’opera relativamente breve (in quattro libri anziché in ventiquattro
come nei poemi omerici), selezionando un tema che fosse compiuto in sé e scegliendo un unico
protagonista intorno a cui far ruotare l’intera vicenda.Lo stile dell’opera, tuttavia, pur
presentando diverse digressioni di carattere erudito ed eziologico, risente molto del modello
omerico: la lingua è quella tradizionale dell’epica, anche se svincolata dall’uso tradizionale
della formula e con l’introduzione di vocaboli rari o di recente formazione. Le Argonautiche
ebbero un grande successo nell’antichità: nel I secolo a.C. il poeta neoterico Varrone Atacino
le tradusse in latino, e furono una fonte d’ispirazione per Virgilio nella stesura dell’Eneide (sia
per l’impianto generale dell’opera che per l’episodio dell’innamoramento di Didone). Inoltre
nel I secolo d.C. il poeta Valerio Flacco ne fece un adattamento.
La Medea
Il dissidio fra la donna come madre e la donna come amante, trova la più alta
rappresentazione nella figura mitica di Medea, che con la sua forza e la sua intensità, è stata
scelta come protagonista di una serie di tragedie sia di autori greci che di autori
latini.Cominciamo la nostra carrellata proprio dal greco e in particolare da Apollonio
Rodio.Apollonio Rodio è l’autore delle Argonautiche, un classico poema epico in quattro libri
che narra le gesta di Giasone e dei suoi compagni, diretti nella Colchide per impadronirsi del
vello d’oro.Il vello d’oro era la pelle dell’ariete che Ermes inviò a Nefele, e che in seguito Pelea
ordinò proprio all’eroe greco Giasone di conquistare.Nefele era madre di Frisso ed Elle e
sposa del re greco Atamante, che tuttavia la ripudiò per sposare Ino. Comprendendo che la
vita dei propri figli era seriamente minacciata dalla gelosia della matrigna, Nefele chiese aiuto
agli dei. Giunse dal cielo un ariete alato dal vello d’oro, che caricò i ragazzi sul dorso e li portò
in salvo volando verso est. Ma mentre attraversava lo stretto che divide Europa ed Asia, Elle
scivolò e cadde in acqua; il tratto di mare in cui annegò da lei prese il nome di Ellesponto.
L’ariete condusse Frisso al sicuro nella Colchide dove fu ben accolto dal re Eete e, per
gratitudine verso gli dei che gli avevano salvato la vita, sacrificò l’ariete a Zeus.In seguito,
Frisso affidò il prezioso vello d’oro a Eete, che lo espose in un boschetto sacro, custodito
dall’occhio vigile di un drago che non dormiva mai. Molto anni dopo, gli argonauti, guidati da
Giasone, riuscirono a impadronirsi del vello d’oro con l’aiuto della figlia di Eete,
Medea.Proprio alla figura di Medea Apollonio Rodio ha dato, nel suo poema, grande
rilievo.La nota saliente è il modo in cui l’autore ha tratteggiato la figura di un’adolescente
innamorata, stupita e disorientata di fronte al nuovo sentimento che sentiva nascerle in
seno.Medea, dal primo momento che vede Giasone, è rapita da lui; ella grida non appena lo
vede; prova una sensazione che non è ancora amore ma è indice di un sentimento a lei
sconosciuto.In seguito Apollonio indugia nel descrivere Medea che, tornata a casa, pensa e
ripensa a Giasone, a quell’uomo che le sembra il più bello di tutti, ai suoi gesti, al suo modo di
camminare, di parlare; si sente attratta verso quell’uomo e non sa ancora perché.E’ un sogno
che rivela a Medea il suo amore, o meglio è Medea che lo confessa a se stessa attraverso
l’incoscienza del sogno, arrivando addirittura ad autoconvincersi che Giasone è arrivato lì
solo per portarla via con se e farla sua sposa. Certo, perché il sogno si avveri, ella sa che
Giasone deve, comunque, portare a termine l’impresa per cui”ufficialmente” giunto in quella
città: rubare il vello d’oro. Inoltre, l’impresa è difficile e la fanciulla non può neanche
sopportare l’idea che all’uomo di cui si è innamorata possa succedere qualcosa: deve aiutarlo.
Ma aiutare Giasone significa tradire la sua gente, la sua famiglia. Pensa allora di diventare
sua complice e poi suicidarsi, ma così comunque attirerebbe il disonore su di lei e sulla sua
famiglia; infine, decide di uccidersi subito, per non compiere un’azione terribile e infamante.
Medea, però, è pur sempre una giovinetta e, subito dopo aver pensato alla morte, torna in lei,
prepotente, la vita ed ella ricorda quanto le sia cara. Tormentata da tali pensieri, Medea
indugia qualche tempo sul da farsi ed è un ritratto finemente psicologico quello che ne traccia
Apollonio: Medea dibattuta, lacerata e altalenante tra vari, discordi e impetuosi
pensieri.Inoltre, è una figura del tutto originale nell’ambito della letteratura amorosa; per la
prima volta, con Apollonio, viene rappresentato il sentimento amoroso intriso di una tale
passione che porta al delitto, quello del fratello Absirto. Infatti partita con Giasone alla volta