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LATINO
Ovidio – Metamorphoseon libri
Contestualizzazione dei passi
Storia di Bibli o Biblide, libro IX, v. 418-665 Nella mitologia Biblide è figlia di Mileto e
pronipote di Minosse. La madre è ora Cianea, figlia del dio-fiume Meandro, ora Idonea,
figlia del re Eurito. Biblide aveva un fratello gemello di nome Cauno, per il quale nutrì
una passione colpevole come si vedrà dalla parte selezionata. Inorridito per questo,
Cauno fuggì a Mileto, sua patria, e andò in Caria, dove fondò la città che da lui ebbe
nome. Biblide per il dolore impazzì e prese a errare per tutta l’Asia Minore. Nel
momento in cui stava per precipitarsi dall’alto di una rupe, le Ninfe, impietosite, la
trasformarono in una sorgente inesauribile come le sue lacrime. Secondo un’altra
tradizione, Cauno avrebbe concepito un amore colpevole per la sorella; per questa
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ragione sarebbe fuggito dalla casa paterna, e Biblide si sarebbe impiccata .
Sonno di Biblide
Biblide, abbandonata a un calmo riposo, spesso sogna di unire il suo corpo a quello
dell’amato fratello Cauno e ne prova vergogna. Tuttavia, quando il sogno svanisce, ella
cerca di richiamare la visione di ciò che ha sognato, perché è solo nel sogno che può
riuscire ad avere colui che ardentemente desidera senza colpevolezza.
Dummodo tale nihil uigilans committere temptem, saepe licet simili redeat sub
imagine somnus. Testis abest somno […] (Ov. Met., IX, 479-481)
«Purchè nulla di simile io cerchi di commettere da sveglia, ben mi ritorni spesso il
sonno sotto una simile visione. Non ha testimoni il sonno […]»
La realtà del sonno è talmente comune che investe il Sonno stesso: se Biblide si
abbandona ad un calmo riposo per sognare l’amato, il Sonno si addormenta su un
soffice letto attorniato da tanti sogni.
Il Sonno, libro XI, v. 592-748
Presso i Cimmeri si trova una profonda caverna, segreta dimora del sonno, dove i raggi
del sole non possono mai penetrare e dove vi abita il silenzio. L’unico mormorio che si
sente è lo scorrere dell’acqua del Lete, che invita al sonno. All’ingresso dell’antro non
vi è alcuna porta e nessun custode, ma al centro si trova un letto di ebano, soffice di
piume, su cui dorme il Sonno. Intorno a lui, imitandolo, giacciono tanti sogni.
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Appena entrò Iride , inviata da Giunone, la caverna si illuminò per i colori della sue
veste. A quel punto il Sonno si destò e le chiese il motivo della sua venuta ed ella gli
disse che era stata inviata dalla dea Giunone perché egli comandasse ai sogni di
recarsi presso Alcione, assumendo l‘aspetto del re, e creare la visione di un naufragio.
Non riuscendo a resistere al sopore che emanava il luogo, Iride fuggì volando.
Tutte le parti relative alla mitologia sono state prese da: L’universale. La grande enciclopedia
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tematica, Garzanti libri, 2003, Milano.
Nella mitologia è figlia di Tarmante ed Elettra; discende dalla stirpe di Oceano ed è sorella
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delle Arpie. Simboleggia l’arcobaleno e il tramite fra la Terra e il Cielo, tra gli dei e gli uomini,
che l’arcobaleno rende percepibile. Iride è incaricata, come Ermes, di portare messaggi degli
dei.
Collegamento lessicale
Si propone un’analisi lessicale tra i libri IX e XI in cui si riportano i termini al
nominativo, senza dare rilevanza al caso specifico latino in cui compaiono nel testo
originale.
La differenza sostanziale dei due passi consiste nel fatto che il sonno nel
libro XI è inteso come personificazione, diversamente dal libro IX in cui non è
raffigurato.
Libro Libro IX
v.480 somnus (sonno) v. 593 ignaui Somni (pigro Sonno)
Libro IX Libro XI
v. 469 placida quies (calmo riposo) v. 602 muta quies habitat (muta vi abita la
quiete) v. 623 quies rerum (riposo di ogni
cosa)
Nel v. 469, la quiete è intesa come il sonno in sé, ossia non personificato, mentre nel v.
602 è la quiete che abita nella caverna e, quindi, distinta dal Sonno. Sempre nel libro
riposo di ogni cosa.
XI, al v. 623 la quiete rappresenta proprio il Sonno,
La presentazione del sonno è distinta nei due passi proposti.
Nel v. 469 del libro IX, Biblide si abbandona ad un calmo riposo da cui il lettore può
dedurre un’accezione positiva del sonno. Ciò però non è del tutto tale in quanto al
risveglio, il contenuto del sogno disorienta la fanciulla. Nel libro XI, la concezione
del sonno è nettamente positiva: al verso 424, è definito come “Pax animi” (pace
all’ingresso dell’antro
dello spirito) e lo stesso l’ambiente in cui vive è idilliaco: “
fioriscono papaveri fecondi, erbe innumeri dalla cui ninfa attinge il sopore la Notte
[…]”.
Continuando nell’analisi delle opere ovidiane, ci soffermiamo sulla produzione elegiaca
Amores.
degli
Raccolta di elegie dedicate a Corinna, vede questa musa ispiratrice non dominare
l’animo del poeta, che infatti dichiara di amare tutte le donne belle (II, 4).
Diversamente dai precedenti poeti elegiaci -Properzio e Tibullo fra tutti-, Ovidio
“mescola” in un’unica raccolta il ricordo di più “avventure d’amore”. Il distacco
intellettuale, l’ironia, la rarità di sentimenti sinceri fanno sì che il poeta sia poco
coinvolto dal contenuto trattato a livello affettivo.
Ciò non toglie che vengano eliminati i temi propri della poesia erotica; lo stesso gioco
letterario è comunque basato su descrizioni realistiche della città di Roma con i suoi
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difetti e le sue tentazioni .
Amores
In III, 5, il poeta cerca spiegazione presso un indovino di uno strano sogno
avuto di cui non riesce a capirne il contenuto. In chiave metaforica gli animali presenti
nel sogno, una candida vacca e un toro, rappresentano il poeta stesso e la sua
fanciulla; le vicende degli animali non sono altro che atteggiamenti che ripropongono
problemi nella loro coppia, primo fra tutti l’adulterio della giovane.
Nella stessa elegia, oltre alla tematica del sogno si ricava un ulteriore aspetto del
sonno: forza che vince la possibilità propria di tutti gli esseri viventi di resistere alla
stanchezza, oltre un certo limite. Amores III, 5, 1-2
Il primo passo incontrato è il seguente:
“ Nox erat et somnus lassos submisit ocellos; / terruerunt animum talia visa meum:
[ …]”. Ex perenni fonte,
Per la descrizione dell’opera ovidiana, cfr: A. G. Rampioni, F. Piazzi, Cappelli
4
Editore, Bologna, 2004, p. 711.
“Era notte e il sonno chiuse i miei occhi stanchi; e il mio animo fu atterrito da questa
visione:[…]” ,
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in cui si evince come gli occhi stanchi del poeta fossero proprio chiusi dal sonno, entro
visione.
il quale inizia quella che il traduttore indica come una Mi sono soffermata
appositamente su questo termine perché «[…] il contenuto di un sogno è sempre
videor,
espresso in latino col verbo dell’immaginazione soggettiva ( sembrare, cfr.
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v.19)» e la situazione è comune anche al toro simbolo del poeta stesso:
Amores III, 5, 19-20
“[…]visus erat, somno vires adibente ferendi, / cornigerum terra deposuisse caput.”
“[…]mi parve che sottraendogli (al toro) il sonno la forza di sostenerlo / poggiasse
sulla terra il capo munito di corna.”
L’immagine di “sconfitta” dell’uomo nei confronti del sonno è presente anche in un
altro autore imperiale: Seneca.
Non più in ambito poetico, ma prosaico, specificatamente nella raccolta di lettere a
Lucilio, Seneca propone la propria esperienza personale di uomo che dedica la
maggior parte della notte agli studi, abbandonandosi al sonno solo quando ne è vinto.
Preso da una sorta di bisogno di evadere dai pericoli dell’ostilità imperiale e dal
otium prodesse
desiderio di risollevarsi nell’animo attraverso l’ filosofico e il (il giovare)
agli uomini, Seneca infatti nell’ultimo periodo di vita si era dedicato intensamente allo
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studio . Epistulae ad Lucilium , I, 8, 1-2
Il passo specifico è preso da:
“[…]Nullus mihi per otium dies exit; partem noctium studiis vindico; non vaco somno
sed succumbo, et oculos vigilia fatigatos cadentesque in opere detineo.”
“Nessun giorno scorre via nell’ozio; rivendico allo studio parte delle notti; non mi
lascio andare al sonno ma ne sono vinto e tengo occupati gli occhi stanchi per la
veglia e deboli sul lavoro”.
Ad un’analisi prettamente testuale si possono notare parallelismi lessicali fra il passo
Amores
appena riportato di Seneca e Ovidio, III, 5, 1-2.
oculos fatigatos ocellos lassos
Gli senecani sono in relazione infatti con gli ovidiani: ai
più “severi” occhi del primo rispondono gli “occhietti” dell’altro che nella scelta del
diminutivo, a mio parere, tenta quasi di sottolineare una debolezza nei confronti del
sonno, nella stanchezza notturna. Quest’ultima consegue anche dalle
fatigatos lassos,
caratterizzazioni, e degli occhi. Entrambe infatti richiamano l’idea di
stanchezza e spossatezza.
Conclusione:
Dopo l’analisi dei passi proposti si può concludere quindi come il sonno, e all’interno di
esso il sogno, abbiano caratterizzazioni diverse non solo da parte di differenti autori,
ma anche di uno unico, come nel caso di Ovidio. La realtà privata e personale degli
autori affrontati –il sogno di Ovidio e il sonno di Seneca- ha rappresentato invece un
piano di confronto per analogia in cui i protagonisti sono tutti accomunati da una
stanchezza tale che impedisce loro di rimanere svegli.
Amori,
Per le traduzioni dell’opera: Ovidius Publius tr. it. L.Canali, Fabbri Editori, Milano, 1985.
5 Amori, tr. it. L.Canali, p.239.
6 Parte del commento e successiva traduzione cfr. A. G. Rampioni, F. Piazzi, M. A. B. Tumscitz,
7
Novos decerpere flores, Cappelli Editore, Bologna, 2001, p.142
FILOSOFIA
Sigmund Freud nacque nel 1856 a Friburgo, in Moravia da genitori ebrei. Si trasferì con
la famiglia a Vienna e lì vi studiò medicina appassionandosi allo studio del sistema
nervoso.
Nel 1885 si recò a Parigi e lì ebbe il suo cruciale incontro con Jean-Martin Charcot,
direttore del manicomio della Salpetrière, poiché iniziò a intuire come le malattie
mentali non dovessero essere necessariamente attribuite a cause fisiche. Nell’opera
Studi sull’isteria (1895) Freud rilevò la sua scoperta di forze inconsce legate a ricordi
spiacevoli o dolorosi e diede il via all’inizio della teoria psicanalitica.
L’interpretazione dei sogni
Nel 1900 fece pubblicare la sua prima grande opera alla
quale la comunità scientifica reagì con diffidenza e ostilità ritirate a seguito della
Psicopatologia della vita quotidiana Motto di
pubblicazione di altre due opere: (1901) e
spirito e i suoi rapporti con l’inconscio (1905).
Freud sostiene che la strada principale che conduce alla conoscenza dell’inconscio
passa attraverso l’analisi dei sogni. Nuove lezioni
“Il sogno è il tentato appagamento di un desiderio” (Sigmund Freud,
introduttive alla psicoanalisi).
Infatti egli ritiene che i sogni siano “l’appagamento camuffato di un desiderio” spesso
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non confessabile o rimosso . Ciò si basa sulla distinzione dei contenuti onirici: quelli
manifesti rappresentano le scene dei sogni come vengono vissute dai protagonisti,
quelli latenti, racchiudono l’insieme delle tendenze che creano le scene dei sogni.
Questa divisione di contenuto si collega al fatto che i desideri non sono accettati dal
soggetto e quindi vengono censurati: i primi contenuti proposti sono forme
secondarie rielaborate prodotte dai desideri latenti.
Interpretare a livello psicoanalitico un sogno perciò significa procedere all’indietro nel
processo di traslazione del contenuto nascosto (latente) in quello manifesto, per
comprendere i messaggi che produce l’Es (parte oscura della psiche).
Per avvicinarsi il più possibile al senso profondo del sogno, Freud si avvale del metodo
delle associazioni libere: il soggetto esprime liberamente ciò che gli suscitano i
ricordi del sogno. Tutto deve essere messo al servizio della cura compreso quel
fenomeno detto transfert o traslazione, ossia il trasferimento, sulla persona del
medico, di stati d'animo positivi con connotazioni di stima, affetto, amore. Il tutto può
avere anche una valenza negativa ovvero quando vengono messe in gioco