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Estratto del documento

Una diminuzione così drastica del valore del dollaro ha avuto due effetti

principali: una consistente perdita di capitale per gli investitori stranieri (se

prima il loro investimento di 100000 dollari valeva 1 nel 1970, nel 1979

sarebbe valso 0.2) e un drastico aumento del prezzo del petrolio.

L’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) reagì alla

svalutazione aumentando il prezzo del greggio, prima triplicandolo nel 1973 e

nuovamente nel 1979. Un simile aumento contribuì alla crescita

dell’inflazione che ancora non aveva rallentato la sua corsa. 8

I provvedimenti del governo, di una durata prevista di 90 giorni, restarono

invece in vigore per tre anni. Nel 1974 il Congresso rimosse i controlli, ad

eccezione di quello sul prezzo del petrolio. Con tempismo, Nixon viene coinvolto

nello scandalo Watergate e il paese si trovò senza una guida in un momento di

delicato equilibrio economico. L’America precipitò in una spirale di recessione e

inflazione in aumento costante, fino a toccare il 14% nel ‘79.

Il nuovo presidente cercando di mettere una pezza al disastro Nixon introdusse

una più rigida politica energetica, razionamento del carburante e nuove

imposte. Oltre alle difficoltà economiche si aggiunse alla scena un colpo di

stato in Iran, con imprigionamento di molti americani. Un brutto colpo sia

economico perché il mercato del greggio subiva una profonda trasformazione

che morale, con più di 40 americani tenuti ostaggio per un anno e mezzo.

Approfittando della delicata posizione americana i russi invasero l’Afghanistan. I

tentativi falliti del governo di risolvere la situazione fecero cadere il prestigio

dell’America agli occhi del mondo sempre più in basso. Paul Volcker salìd alla

presidenza della Federal Reserve.

Il decennio era stato impietoso verso l’America, ma mai quanto quelli a venire.

Monetarismo

Come dice il nome, il “monetarismo” è una teoria che ha il suo epicentro nella

moneta. Il suo creatore, Milton Friedman, aveva fatto lunghe ricerche sulla

era sempre stata un

storia dell’economia, e si era convinto che l’inflazione “

fenomeno monetario”: vale a dire che, se la disponibilità di moneta cresce più

che l’economia reale, allora crescono anche i prezzi. Inoltre, Friedman era

convinto che in qualsiasi sistema economico il tasso di disoccupazione fosse

definito dalla tecnologia disponibile e dalla capacità della forza lavoro. Qualsiasi

tentativo di incrementare il tasso di occupazione attraverso l’uso della leva

fiscale oltre questa soglia avrebbe avuto come unico risultato un incremento

nel tasso d’inflazione.

Secondo i monetaristi, la disponibilità monetaria è conseguenza

dell’ammontare di moneta circolante in un dato momento. In sintesi, la somma

data dalle monete, dalle banconote, dai conti correnti e via dicendo,

moltiplicata per il tasso di ricambio del circolante: in altre parole, della sua

velocità. Gli studi compiuti convinsero Friedman che storicamente la velocità

era più o meno costante: dunque la politica di un qualsiasi governo

doveva preoccuparsi solo della disponibilità di moneta. Ad esempio se la

Fed avesse aumentato la quantità di moneta circolante approssimando il tasso

di crescita del’economia, allora i prezzi sarebbero a loro volta rimasti costanti.

Fatto ancora più importante, una rigorosa politica monetaria avrebbe limitato le

ingerenze indebite del dirigismo statale e del suo apparato amministrativo.

Nei fatti, la dottrina monetarista non fu di facile applicazione, e fu

effettivamente abbandonata dopo un paio d’anni di sperimentazione. Ma i

risultati di una politica economica hanno poco a che fare con la bontà delle

ideologia. Se da una parte i keynesiani professavano la regolamentazione dei

mercati, dall’altra la religione friedmaniana ergeva a mito la mano libera del

mercato (Friedman si opponeva a qualunque forma regolatoria del mercato, 8

fossero anche misure di sicurezza come la concessione pubblica delle licenze ai

medici).

L’elezione di Ronald Reagan nel 1980 segnò la morte del liberalismo di stampo

keynesiano. L’elettorato aveva segnalato la necessità di un cambio di marcia

ideologico. Fu allora che i teorici del libero mercato provarono a vincere la loro

battaglia.

Anche se la dottrina in se non fu propriamente applicata, è importante

notare che il governo assunse una politica filo-monetarista, senza più

interferire con il mercato (le cui conseguenze sono ben chiare oggi,

ma come dicono i saggi, del senno di poi son piene le fosse).

La scuola di Chicago

La scuola di Chigaco, fondata da Milton Friedman, è diventata negli anni

Settanta e Ottanta la portavoce di una “Teoria del Tutto”. Secondo i discepoli di

Friedman, per la quasi totalità dei problemi pubblici e sociali, il sistema

di mercato, liberato da tutti i vincoli, non può che produrre risultati

ottimali. Una teoria onnivora che tratta omogeneamente argomenti diversi,

come la criminalità, il welfare, l’istruzione e la sanità. Argomenti che un tempo

non erano considerati oggetto di analisi economica.

Agli inizi degli anni Ottanta, schiere di conservatori si convertirono al credo del

libero mercato. Le ragioni furono due. La prima fu l’impennata degli

investimenti da venture capital a partire dal 1978, a seguito di una netta

riduzione della tassazione sui capital gains. La seconda fu il crollo del cartello

dell’OPEC all’inizio del 1981 quando il presidente Reagan mise fine al controllo

sui prezzi del petrolio. Eppure, a ben vedere, nessuno dei due fenomeni trovava

le sue cause nella politica monetarista.

La crescita degli investimenti era in realtà da ricercare in una legge del 73 che

obbligava le aziende ad accantonare fondi per le pensioni dei lavoratori. Presto

i fondi pensione arrivarono a mille miliardi di dollari, e i gestori dei fondi

spinsero per una maggior libertà d’azione. Nel 1979 arrivò la

deregolamentazione e i fondi pensione poterono riversare i capitali accumulati

sul mercato sotto forma di investimenti.

Quando nel 1981 Reagan abolì il controllo sul prezzo del greggio i prezzi

cominciarono a calare e in pochi anni precipitarono a valori inferiori di quelli del

1973. A tutti sembrava che la filosofia della scuola di Chicago (nessuna

regolamentazione = calo dei prezzi) funzionasse. Un calo così repentino stimolò

i settori industriali più disparati. Il rapporto tra PIL e importazione di energia era

per la prima volta in crescita grazie allo svilupparsi del settore terziario e ad

una diminuzione delle industrie pesanti. In Medio Oriente invece le previsioni di

consumo di greggio erano state falsate dalla recente recessione americana. La

guerra tra Iraq e Iran era al culmine e la necessità di mantenere un elevato

tenore di vita rendeva la produzione di greggio difficile. Gli accordi di cartello

vennero quindi meno e i prezzi continuarono a scendere.

Paul Volcker e la guerra dell’inflazione 8

Nel 1979 Carter designò Paul Volcker a capo della Federal Reserve (Fed).

Volcker non era un canditato ben visto da molti, già a capo della Fed di New

York ed esperto di economia finanziaria.

Gli era stata affidata una delle più importanti cariche al mondo, con il preciso

mandato di tagliare l’inflazione e ripristinare l’ordine nel sistema finanziario in

qualsiasi modo avesse ritenuto opportuno. Il persistere di tassi d’inflazione

elevati aveva traumatizzato gli investitori a lungo termine, che avevano

spostato i loro investimenti dai mercati azionari e obbligazionari alla

compravendita di beni durevoli come oro, oggetti d’arte e proprietà immobiliari.

Dopo pochi mesi dal suo insediamento decise tuttavia, destando grande

preoccupazione, di mostrare la sua risolutezza nella lotta all’inflazione

adottando una politica tipicamente monetarista. Il cambio di strategia della Fed

fu annunciato pubblicamente durante una conferenza stampa ed ebbe l’effetto

desiderato di un vero e proprio shock.

Non fu tanto la politica monetarista a battere l’inflazione quanto Volcker stesso.

Usò da subito il pugno di ferro con tutti gli strumenti a sua disposizione: tassi di

interesse, offerta di moneta e capacità di persuasione. Malgrado gli sforzi la

situazione non sembrava migliorare, anzi nel 1982 il PIL era diminuito del 1.9%.

Gli americani reagirono stoicamente a questa situazione, accettando la politica

federale e facendo del loro meglio per superare il momento di recessione. A

metà del 1982 l’inflazione cominciò a scendere e il PIL a risalire. 8

1980-1990

Il decennio dal 1980 al 1990 è stato segnato da due principali eventi, il boom

dei leveraged buyout e la crisi delle casse di risparmio, che mostrarono sia la

forza sia la debolezza della deregolamentazione del libero mercato.

Leveraged Buyout

Il boom degli LBO durò dal 1983 al 1989. Per circa quattro anni gli LBO furono

portati ad esempio del potere autorigenerante dei mercati. I giganti

vecchi e inefficienti dell’economia americana, che avevano fallito miseramente

nella competizione internazionale, furono acquisisti, fatti a pezzi e rivoluzionati

così da riposizionare il business: fu fatta piazza pulita del vecchio management

e tutti gli asset non pertinenti al nuovo corso furono smembrati dal core

business.

In quegli anni furono centinaia i casi di LBO, molti dei quali “amichevoli”,

spesso portati avanti da manager di secondo o terzo livello frustati dalla scarsa

attitudine al cambiamento mostrata dai loro capi.

I mercati azionari, prima comatosi, fiorirono a nuova vita. Intorno al 1986 il

valore medio dei cosiddetti multipli P/E (il prezzo delle azioni diviso per l’utile) 8

era triplicato. In base a tutti i parametri storici, il prezzo delle azioni era

eccessivamente gonfiato. La situazione avrebbe dovuto spingere i “pezzi

grossi” a dichiarare la fine della festa e gli investitori assennati a selezionare di

più i propri investimenti.

Invece i mercati impazzirono: i ritorni sui primi investimenti furono così

spettacolari che i grandi investitori, come fondi pensione e fondi di dotazione,

non vedevano l’ora di entrare in gioco. I nuovi fondi spuntavano come funghi. A

differenza di altri settori, ad esempio quello metallurgico, i mercati finanziari

promettevano ritorni rapidi e di gran lunga superiori, attraendo operatori con

pochi scrupoli che investivano denaro normalmente preso in prestito dalle

banche.

Il costante afflusso di capitali alla ricerca di nuovi affari rese il sistema sempre

più complicato, con obbligazioni che continuavano a impilarsi una sul’altra. Tra

gli strumenti finanziari più in voga c’erano i PIK, obbligazioni che

prevedevano il “pagamento in natura” (payment-in-kind): se si saltava

una rata di pagamento si dava al creditore il controvalore in azioni. A Wall

Street si scherzava sulla “spirale della morte”: serie ripetuti di mancati

pagamenti si traducevano in un numero sempre maggiore di PIK, in una spirale

senza fine.

Quello che sarebbe stato ribattezzato il “decennio dell’aridità” durò dal 1986 al

1989. Ai primi segni di isteria il sistema finanziario crollò in pochi mesi.

Nell’estate del 1989 una spettacolare guerra al rialzo per l’acquisizione della

United Airlines si concluse con nulla di fatto quando le banche rifiutarono i

finanziamenti così come una lunga serie di altri accordi e contratti

divenne carta straccia.

The Savings and Loans’ Crisis

The second financial crisis, the S&L’s crisis was just a plain waste of

money, a warning that an authority to keep the markets in check was needed.

The S&Ls were small banks which used local savings to create mortages, often

with a fixed interest rate. Due to high inflation during the Seventies the rates

had reached values up to 20%.

After a law that allowed self dealing activities was created, the banks started

to lend themselves money to buy houses, terrains and open new

businesses.

This kind of scam was often used in Texas, where the government found 132

S&Ls in 1988, all of them using money that did not exist.

Many prestigious legal firms and multinational banks were included in the

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