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La critica fascista non esaltava le opere di Pirandello, anche perché queste non erano in linea con
gli ideali fascisti. Parecchi lavori furono ancora accusati dalla stampa di regime di disfattismo
anche dopo il Nobel, e Pirandello finì anch'egli tra i "controllati speciali" dell'OVRA (L'OVRA è stata
la polizia segreta dell'Italia fascista).
La disgregazione dell'io.
L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la teoria
della disgregazione dell'io.
Questa nuova concezione si inserisce in quel contesto culturale di inizio
'900 nel quale il crollo dei valori e delle certezze aveva portato ad una
profonda crisi dell'individuo che si trovava sottoposto a forze "disgreganti".
In un articolo del 1900 scrisse:
« Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro,
i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova
personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte,
indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche
coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. [...] Talché veramente può
dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo
individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altre
individualità, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto. »
Ciascuno vede la realtà secondo le proprie idee e i propri sentimenti, in un modo diverso da quello
degli altri. Tra realtà e apparenza ci sono due distinte dimensioni:
1) la dimensione della realtà oggettiva, che è esterna agli individui e che apparentemente è uguale
e valida per tutti, perché presenta per ognuno le stesse caratteristiche fisiche ma è inafferrabile e
non riconoscibile: ciò che resta nell'anima dell'individuo è la sua disintegrazione in tante piccole
parti quante sono le possibilità concrete dell'individuo di vederla.
2) la dimensione della realtà soggettiva, che è la particolare visione che coglie l'individuo solo negli
aspetti che sono maggiormente propri al particolare momento che sta vivendo e alla sua
condizione sociale, in base ai quali riceve dalla realtà certe impressioni, certe sensazioni che sono
assolutamente personali e non possono essere provate da tutti gli altri individui. Quindi ci sono
tante dimensioni quanti sono gli individui e quanti sono i momenti della vita dell'individuo.
Per i personaggi pirandelliani non esiste, quindi, una realtà oggettiva, ma una realtà soggettiva,
che, a contatto con la realtà degli altri, si disintegra.
L'uomo deve adeguarsi alle convenzioni imposte dalla società, egli assume quindi una maschera, o
per propria volontà o perché così è visto e giudicato. Questa maschera è l'aspetto esteriore
dell'individuo. Siccome il personaggio è condannato a recitare sempre la stessa parte, non ha
nessuna possibilità di mutare la propria maschera, si verifica così la disintegrazione fisica e
spirituale dei personaggi che si può riassumere nella teoria della triplicità esistenziale:
come il personaggio vede se stesso;
come il personaggio è visto dagli altri;
come il personaggio crede di essere visto dagli altri.
Quando il personaggio scopre di essere calato in una maschera, determinata da un atto accaduto
una sola volta e di essere riconosciuto attraverso quell'atto e identificato in esso, cade in una
condizione angosciosa senza fine, perché si rende conto che:
la realtà di un momento è destinata a cambiare nel momento successivo
la realtà è un'illusione perché non si identifica in nessuna delle forme che gli altri gli
hanno dato.
La perdita dell`identità, secondo Pirandello, porta irrimediabilmente alla follia, la cui ricetta è: dire
sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi e delle maniere,
delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porterà presto all'isolamento da
parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia.
Nella società l'unico modo per evitare l'isolamento è il mantenimento della maschera: quando un
personaggio cerca di liberarsene con un diverso comportamento viene considerato preso dalla
follia che scatena in tutti il riso perché non è comprensibile; per questo viene allontanato, rifiutato
e considerato un elemento di disturbo della società, non trovando più posto negli schemi e
convenzioni di essa.
Solo la follia permette al personaggio la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può
scoprire se stessi. Ma questi sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili, perché il legame
con le norme della società è troppo forte.
Concetto di maschera.
Nella poetica pirandelliana la “maschera” è sinonimo di “forma”. È l’aspetto
esteriore che l’individuo-persona assume all’interno della società. La maschera
è determinata dalle convenzioni sociali, dall’ipocrisia, che è alla base dei
rapporti umani.
Gli uomini nascono liberi ma il caso interviene nella loro vita precludendo ogni
loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene
assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi.
Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe
manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma
per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro.
L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando -
consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una
moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.
Secondo Pirandello per fuggire da questa realtà esistono tre possibilità: il suicidio, la pazzia (qui
emerge l’elemento autobiografico che si ricollega alla pazzia della moglie) e infine il vedersi vivere,
che è un po’ come morire (la vita non la vivo ma la vedo dal di fuori).
L’illusione nella quale sono costretti a vivere i personaggi pirandelliani viene scardinata da una
riflessione, che scompone ogni impianto preconcetto fin nei suoi aspetti più nascosti e che i
personaggi stessi rimuovono dalla propria coscienza. Più rigida è la maschera, più il personaggio
si allontana dalla verità, dalla realtà e dalla normalità.
Uno, nessuno e centomila.
-Che fai?- mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
-Niente,- le risposi,- mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo
dolorino. Mia moglie sorrise e disse:
-Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato una coda:
-Mi pende? A me? Il naso?
E mia moglie placidamente:
-Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.
Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto
decente, come insieme tutte le altri parti della mia persona. Per cui m’era stato facile ammettere e
sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di
sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta
improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.
Questo l’incipit della storia.
Scritto e pubblicato nel 1926 è l’ultimo romanzo di Pirandello.
Il protagonista di questa vicenda, Vitangelo Moscarda, è una persona ordinaria, che ha ereditato
da giovane la banca del padre e vive di rendita affidando a due fidi collaboratori la gestione
dell’impresa. Un giorno, tuttavia, dalla banale constatazione che il naso che egli crede di avere è
diverso da quello che sua moglie gli riconosce, parte per un viaggio dentro e fuori di sé che lo
conduce ad una riflessione sull’intera esistenza e infine alla follia. Inizia a scoprire che le persone
intorno a lui hanno un’immagine della sua persona completamente diversa da quella che lui ha di
sé. Egli è quindi uno per sé, ma centomila per gli altri: quindi egli è nessuno. La realtà non è
oggettiva, ma si perde in un vortice di relativismo.
Il protagonista arriverà quindi alla follia, che non è considerata in modo negativo, ma è
considerata come un momento in cui, sospesi tutti i comportamenti prima automatici, la facoltà
percettiva riesce ad allargarsi e vedere il mondo con “altri occhi”, perché finalmente libera dalle
regole consuete.
L’opera finisce con la presentazione della “vera vita”, finalmente libera dalle costrizioni, capace di
rinascere in ogni attimo. Vitangelo Moscarda conclude che per uscire dalla prigione in cui la vita
rinchiude, non basta cambiare nome, ma bisogna rifiutare ogni nome, inteso come la
rappresentazione della forma di una cosa, la sua parte statica. Proprio perché la vita non è
statica, il nome rappresenta la morte. Dunque, l’unico modo per vivere in ogni istante è vivere
attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso.
In conclusione: per Pirandello l’uomo non è una sola persona ma si suddivide in tante
persone (frammentazione dell’io).
La sua teoria su questa frammentazione dell’IO è di ispirazione freudiana (anche se non
ha mai letto Freud) in quanto anche Freud parla di più personalità in continuo conflitto
tra loro. ----------------------------------------
FILOSOFIA
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Sigmund
FREUD
(1856-1939)
La vita.
Sigmund Freud nasce a Freiberg, in Moravia. La sua famiglia, di origini ebraiche, si trasferisce
qualche anno dopo a Vienna. Si laurea in medicina nel 1881 e si specializza in neurologia. In
seguito, grazie a una borsa di studio, è a Parigi presso una delle scuole di neuropatologia tra le
più rinomate.
Nel 1886 si sposa con Martha Bernays, da cui ebbe sei figli. Nel 1895, tornato a Vienna, pubblica
Studi sull'isteria
assieme a Josef Breuer gli che segnano l'inizio della scoperta della psicoanalisi.
L’episodio più importante che portò alla nascita della psicoanalisi è la celebre guarigione di una
paziente, Anna O, colpita da isteria. dei sogni,
Nel 1900 Freud pubblica l'Interpretazione il testo che segna ufficialmente la nascita
della psicoanalisi. La nuova teoria faticherà a imporsi e troverà non poca resistenza in ogni
campo, sopprattutto a causa dei risvolti rivoluzionari legati alla scoperta della sessualità infantile.
Nel 1908 si tiene il primo congresso della Società Psicoanalitica Internazionale, al quale
partecipano anche Jung e Adler, successivamente allontanatisi dalla linea di Freud e fondatori di
teorie proprie ed autonome.
Nel 1933, a Berlino, il regime nazista brucerà, tra gli altri, anche i libri di Freud. Malgrado la sua
ritrosia nel lasciare Vienna, partirà con la famiglia per Londra nel 1938, dove morirà un anno
dopo.
Gli studi sull’isteria.
I risultati dei primi studi di Freud, condotti con la collaborazione del medico viennese J. Breuer,
Studi sull'isteria.
furono presentati in forma definitiva nel 1895, con il titolo In questo trattato i
sintomi isterici venivano presentati come manifestazioni di energia psichica non scaricata, in
relazione a un trauma psichico completamente dimenticato (o, in termini psicoanalitici,
“rimosso”). Attraverso l'induzione di uno stato ipnotico, diventava possibile recuperare il ricordo
del trauma e scaricare, attraverso il “metodo catartico”, le emozioni a esso associate e causa dei
sintomi. Lo stesso anno, però, segnò la rottura tra Freud e Breuer a causa della differente
posizione che avevano riguardo: - all’eziologia sessuale delle nevrosi, - al metodo ipnotico - al
mancato riconoscimento da parte di Breuer dei “meccanismi transferali”.
Freud andava convincendosi che l’origine dei sintomi isterici fosse di natura sessuale e, più
precisamente, che risiedesse in traumi sessuali conseguiti nella prima infanzia. In un secondo