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sono la ragione delle numerose e frequenti
sommosse popolari. I ceti poveri dei Lepini e
della Ciociaria incendiano e bruciano le Case
Comunali, espressione diretta dei privilegi,
arroganza e violenza della classe dominante.
Si creano nuove tensioni tra le classi povere del
Mezzogiorno in cerca di riscatto alla notizia delle
grandi vittorie operaie conseguite nei centri del
Nord. L’ECCIDIO
L’eccidio di Roccagorga, avvenuto il 6 Gennaio 1913, destò un profondo dolore in tutto il
Paese. Uscì fuori dai confini della cronaca locale fino a diventare il simbolo della protesta
contro la violenta politica di repressione del governo Giolitti.
Sulla “Piazza Vittorio” sotto i colpi di moschetto di 50 soldati al comando del tenente
Gregori caddero 7 persone tra cui il piccolo Carlo di solo 5 anni.
L’ECCIDIO DI STATO
L’Avanti, il Messaggero, la Tribuna, il Giornale d’Italia ed il Mattino, con i loro articoli
portarono la sanguinosa repressione all’attenzione della cronaca nazionale. Il quotidiano
socialista, diretto da Benito Mussolini, il giorno dopo la sparatoria titolava così la prima
pagina: “ Eccidio di Stato. Al grido di “Savoia” la truppa scarica 300 colpi di fucile contro
donne inermi ed innocenti bambini. La protesta proletaria contro gli assassini di Stato”.
Il Messaggero di Roma così scriveva: “Una giornata di conflitti sanguinosi. Morti e feriti a
Roccagorga durante un tumulto violento. I contadini in Municipio”.
Appena conosciuta la notizia dell’eccidio, Mussolini brandisce fuorioso la penna e lancia il
suo terribile “j’accuse” : “Assassinio di Stato”, “La politica della strage”: “Noi non
consiglieremo né longanimità, né generosità alle folle. Nessuna violenza è più legittima da
quella che viene dal basso”. Ancora: “Ma come, allora, nell’Italia che noi sogniamo grande
maestra di civilità, si fucilano vecchi inermi, le donne gravide, i bambini perduti ? E quando
gli arabi di Roccagorga chiedono fogne, medici, l’acqua, la luce, il Governo, che non ha
più milioni, manda i Carabinieri ed annega nel sangue la civile, la santa, la umana protesta
del popolo”.
Nell’edizione dell’Avanti del 7 Gennaio, sotto il titolo “Giornata di reazione a Roccagorga”,
il cronista scrive: “Si ha notizia da Roccagorga, piccolo paese della Ciociaria, vicino
Frosinone, di un nuovo conflitto avvenuto verso mezzogiorno fra le forze di polizia e i
dimostranti. Nel paese regnava da tempo una viva agitazione per il modo anormale di
come funziona il servizio sanitario. Il paese è senza medici e manca di ogni rudimentale
organizzazione sanitaria. Manca l’acqua, la luce, le fogne ed è per di più oberato di balzelli
fiscali”.
Per le autorità è troppo e Benito Mussolini è denunciato per istigazione alla violenza.
Finisce di nuovo in tribunale, ma invece di rimangiarsi le sparate, alza il tiro: “Se domani
un altro eccidio si verificasse, io non scriverei con l’inchiostro, ma col sangue”. Lo
assolvono. LE REAZIONI DELL’OPINIONE PUBBLICA NAZIONALE
L’Avanti di Milano scatena il tutto il Paese una violenta campagna che colpisce al cuore il
governo Giolitti. Al contrario, la stampa governativa, accusa i contadini organizzati nella
“Società Agricola Savoia” come responsabili dell’eccidio, scagionando il sindaco il cavalier
Vincenzo Rossi, familiarmente “Sor Cencio”, oculato e fedele amministratore dei beni della
casa Doria, ma poco interessato a risolvere i problemi amministrativi.
I giornali di tendenza liberale, addirittura accusano la popolazione di aver sparato sulla
truppa, provocando le reazione di quest’ultima. La tesi è sostenuta dai cronisti de la
Tribuna, del Messaggero e del Giornale d’Italia. Una versione di Stato che poi non ha retto
alle prove emerse durante il processo alla Corte d’Assise di Milano.
L’eccidio, consumato a Roccagorga, trova ampia risonanza nell’opinione pubblica del
Paese. Alla manifestazione di protesta organizzata la sera del 9 Gennaio a Milano dalle
forze sindacali intervengono gli onorevoli Treves, Rigola, Filippo Corridoni e, come
direttore dell’Avanti, Benito Mussolini.
QUEL GIORNO: ROCCAGORGA VI GENNAIO 1913
La piazza VI Gennaio è decisamente bella. Testimone e palcoscenico di passione politica
e vita democratica, di amori che nascono e muoiono, di ozi estivi dopo la scuola e del
tipico modo di passeggiare avanti-indietro di noi rocchigiani. C’è troppa differenza di età
tra Lei e me; 97 anni sono decisamente tanti. Lei ha cambiato nome, si chiamava Piazza
Vittorio, io no, mi chiamo sempre Claudio ed ho 19 anni e prossimo agli Esami di Maturità.
Solo adesso comincio meglio a comprendere cosa ha rappresentato questa piazza per la
comunità di Roccagorga e dei suoi abitanti.
E’ stata testimone e protagonista di morti, feriti, perseguitati, umiliati, condannati,
disprezzati e colpevoli di aver sfidato il potere.
Hanno pagato con il sangue il tentativo di riscatto dalle misere condizioni di vita che
dipendevano dai proprietari terrieri, per lo più principi delle casate romane.
Quel giorno, VI Gennaio 1913 verso mezzogiorno, si conclude una
vicenda feudale e per i contadini di Roccagorga
nasce una possibilità di lotta, libertà ed
emancipazione. Dell’eccidio e
dei suoi morti se
ne parlava davanti al
camino
nei lunghi e
freddi inverni.
Il
nonno raccontava questa storia al mio nonno che l’affidava al mio papà. Si sentivano eredi
diretti di quelle donne e di quegli uomini che osarono sfidare il potere del principe, del suo
amministratore, del sindaco, dei preti suoi complici e della sua corte.
L’affermarsi a Roccagorga di una classe intellettuale ha permesso la ricostruzione
dell’evento, elemento fondante dell’identità dei rocchigiani. A distanza di quasi 100 anni
l’eccidio del VI gennaio conserva e rivela elementi di assoluta modernità.
Benito Mussolini, battagliero direttore del quotidiano socialista l’Avanti, non appena
conosciuta la notizia, in due articoli di fondo introduce i termini di “Assassinio di Stato” e
“Politica della strage”.
Oggi si direbbe che il processo di Frosinone fu un processo farsa. Sul banco degli imputati
finirono contadini e braccianti poveri responsabili di lancio di sassi e resistenza a pubblici
ufficiali. Non bisogna meravigliarsi. Il processo avviene secondo le regole del tempo
applicate da magistrati che membri della classe dominante non erano certo favorevoli ai
contadini.
Lo Stato si mobilitava in favore del Principe, del suo tenutario e contro i contadini. Non
procede contro i responsabili dei morti e dei ferimenti, ma accusa le vittime.
Il tribunale di Frosinone va oltre. la sentenza accoglie un luogo comune secondo il quale i
contadini e quelli di Roccagorga in particolare sarebbero facilmente influenzabili dai leader
politici.
La verità è che i contadini e i braccianti poveri di alcune aree dell’Italia centrale, del
meridione e delle isole erano di fatto completamente esclusi dalla vita politica e per la
volontà di partecipare avevano pagato un prezzo altissimo.
Ben altra è la dipendenza al potere televisivo; ben altra è l’obbedienza a chi è proprietario
dell’immenso potere mediatico dell’Italia dei nostri giorni.
La sentenza del tribunale di Frosinone, però, in riferimento al sindaco Rossi sottolinea “la
evidente incompatibilità della sua funzione con quella di amministratore del principe Doria,
proprietario di oltre la metà del territorio di Roccagorga, e perciò in un possibile e facile
conflitto nella sua duplice rappresentanza”.
Il 13 settembre del 1913, dopo 9 mesi dai fatti di Roccagorga, il tribunale di Frosinone
nell’emettere sentenza di condanna contro i contadini parla per la prima volta del “conflitto
d’interesse”.
Voglio considerare questo mio lavoro un atto doveroso di giustizia nei confronti di uomini,
donne e bambini uccisi in questa bella piazza, già piazza Vittorio Emanuele.
EMIGRAZIONE
Fino alla metà degli anni settanta dell’Ottocento, il fenomeno migratorio non aveva
assunto una consistenza massiccia ed interessava prevalentemente le regioni
settentrionali. L’emigrazione riguardava per lo più i maschi adulti, utilizzati
prevalentemente in lavori stagionali nei Paesi dell’Europe centrale ed occidentale.
Successivamente il fenomeno si estese anche alle regioni meridionali dell’Italia colpite dal
nuovo e pesante regime fiscale. La debolezza del capitalismo nelle campagne fu il fattore
che maggiormente influì sull’emigrazione che assume le caratteristiche di esodo di massa
permanente e transoceanico (TAB.1).
NUMERO DI EMIGRANTI 1876 - 1914
1876 108.771
1887 215.665
1896 307.482
1900 352.782
1901 533.245
1905 726.331
1906 787.977
1908 486.674
1910 651.475
1911 533.844
1912 711.446
1913 872.598
1914 479.152
Si riportano le regioni principalmente interessate dal fenomeno (TAB 2).
EMIGRANTI SU 10.000 ABITANTI NELLE PRINCIPALI REGIONI
1876 - 1886 1887 - 1900 1901 - 1909
PIEMONTE 96 85 162
LOMBARDIA 53 53 113
VENETO 134 324 298
TOSCANA 40 57 117
ABRUZZO 31 102 337
CAMPANIA 34 96 222
BASILICATA 108 184 305
CALABRIA 44 115 308
SICILIA 7 44 210
Tra il 1876 e il 1913 emigrarono 6.032.453
persone in Paesi europei e 7.370.036 in Paesi
transoceanici.
A questo esodo le regioni meridionali e le
isole contribuirono con 5.257.814
persone.
Negli anni successivi l’emigrazione
transoceanica fu sempre superiore a
quella diretta verso i Paesi europei.
Il fenomeno migratorio si accentuò
negli ultimi anni dell‘800 per l’aumento
della pressione demografica e la grave
crisi che coinvolse l’intera economia
nazionale.
Gli esponenti del mondo agrario erano
preoccupati per le dimensioni assunte
dal fenomeno migratorio. La
diminuzione della manodopera agricola
danneggiava gli agrari che
disponevano di minore forza-lavoro da
retribuire a prezzo irrisorio.
L’esodo prevalentemente meridionale e
transoceanico era l’unica alternativa
alla miseria e alla impossibile ribellione alla volontà di Giolitti di scoraggiare la violenza
anche con l’impiego dell’esercito per l’ordine pubblico.
Nei primi anni del Novecento, l’Argentina e il Brasile rappresentavano le terre nelle quali
diventa possibile il riscatto dalla miseria.
I Monti Lepini e la Ciociaria contribuirono al fenomeno migratorio sostenuto dalla miseria
contadina diretta conseguenza dell’assetto agrario di tipo feudale.
Nel ventennio 1900 - 1920, 413 cittadini di Roccagorga lasciarono la loro terra d’origine
per inseguire il “mito dell’America”.
Dopo viaggi interminabili in condizioni disumane, spesso vittime di frodi e angherie,
raggiungevano gli Stati Uniti, l’Argentina, il Brasile. Gli immigrati provenienti da
Roccagorga e dai Monti Lepini contribuire a formare la fiumana umana povera e
analfabeta che rinnegava l’origine contadina per trasformarsi in muratori, manovali,
artigiani.
L’enorme possibilità di lavoro offerta da società in rapida espansione, consentiva agli
emigranti cospicue rimesse di denaro in patria. Le rimesse contribuirono a migliorare le
condizioni di vita delle popolazioni dell’Italia centrale e meridionale.
Avversata dai ceti agrari del Sud, l’emigrazione contribuì alla “svolta imperialistica”
dell’Italia del 1911. Il famoso discorso di Pascoli sulla “grande proletaria” che si era mossa
venne utilizzato a giustificare l’inutilità della guerra di Libia.
GIOVANNI VERGA
Indiscutibile punto fermo del
secondo Ottocento,
romanziere e novelliere, a
Giovanni Verga si deve
l’affermazione del verismo in
Italia.
Figlio di possidenti
catanesi, dove era nato nel
Settembre 1840, iniziò a scrivere
da giovanissimo. A 21 anni
pubblicò il suo primo romanzo, “I
carbonari della montagna”. Dopo
aver rifiutato di aver continuare
gli studi in legge, prestò per
quattro anni servizio nella
Guarda Nazionale.
La sua formazione
avviene a Firenze in cui si reca
frequentemente a partire dal
Maggio 1865 fino al 1872. Nel
capoluogo toscano conosce
e frequenta Francesco
Dall’Ongaro, Giovanni Prati,
Aleardo Aleardi, Michele Amati,
poeti tardoromantici e
storici che contribuirono alla
maturazione del romanziere
siciliano.