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Durante questo anno scolastico è stata promossa un'iniziativa che mi ha permesso di conoscere meglio e di prendere coscienza di concetti e situazioni attuali (crisi economica globale) che una volta uscita definitivamente dall’ambito “scuola”, quale palestra di vita, inizierà a toccarmi ancor di più.
L’iniziativa che ha rapito la mia attenzione, portandomi ad un’intensa riflessione e ad approfondirne l’informazione, è stata la rappresentazione teatrale intitolata: “Pop Economy – Ovvero da dove allegramente vien la crisi e dove va”.
POP ECONOMY è una conferenza spettacolo di Alberto Pagliarino, dottore di ricerca al Dams di Torino, e Nadia Lambiase esponente di Banca Etica e ideatrice dello spettacolo. Questa conferenza spettacolo mi ha permesso di sviluppare la mia tesina di maturità.
La rappresentazione teatrale racconta della crisi globale sviluppatasi agli inizi del 2008, delineando i relativi fatti storici, i personaggi, e i meccanismi di un sistema insostenibile che sta conducendo il pianeta ad un vero tracollo globale; che impoverisce molti e arricchisce pochi. La locandina, che sostituisce il volto di Margaret Thatcher a quello di Marilyn Monroe nel celebre manifesto di Andy Warhol, vuole essere la demitizzazione di quella “deregulation” sfrenata che ha causato grosse problematiche alla moderna economia mondiale.
Gli autori hanno realizzato un vero e proprio quadro storico per avere ben chiaro le origini e le cause di tale fenomeno; una ricostruzione cronologica che parte dalla bolla dei titoli tecnologici degli anni Novanta, per poi passare al grande buco nero del sistema bancario americano del 2008, ai mutui subprime, e infine alla fragilità del sistema finanziario europeo (Islanda, Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo, Italia).
POP ECONOMY è la storia di tante persone comuni come Jack, il tipico padre di famiglia della middle-class americana, che intraprende uno stile di vita alquanto sobrio, senza sprechi, sostenibile, ma che ben presto verrà risucchiato dal mercato globale e dal governo delle banche nel vortice del consumismo promosso dall’attuale società.
Si tratta dunque di una conferenza che intende far riflettere su un uso più responsabile del denaro adottando uno stile di vita più sostenibile. E’ stato allarmante venire a conoscenza che i 13600 miliardi di dollari spesi dai governi per risanare i debiti delle banche corrispondono alla cifra che coprirebbe l’intero fabbisogno mondiale di cibo, acqua e cure mediche per i prossimi 150 anni.
Proprio grazie a questa iniziativa ho deciso di volermi documentare e informare maggiormente sulla crisi di tipo economico-finanziario che stiamo vivendo, mettendo insieme i vari pezzi del puzzle e magari riflettere e conoscere realtà che promuovono un’ economia di tipo alternativo, rinunciando a un’economia di consumo per aderire a un economia partecipativa. Quindi l'obiettivo della mia tesina è quello di descrivere la crisi mondiale attuale, partendo dalla conferenza Pop Economy, effettuando dei collegamenti con le varie materie di studio.
Economia - Il sistema bancario italiano.
Geografia economica - La liberalizzazione dei mercati.
Francese - La banque.
Inglese - Microcredit.
Italiano - Svevo e la crisi dell'uomo moderno.
Storia - Il fascismo.
INTRODUZIONE
Durante questo anno scolastico è stata promossa una iniziativa che mi ha permesso di conoscere meglio e di prendere
coscienza di concetti e situazioni attuali (crisi economica globale) che una volta uscita definitivamente dall’ambito “scuola”,
quale palestra di vita, inizierà a toccarmi ancor di più.
L’iniziativa che ha rapito la mia attenzione, portandomi ad un’intensa riflessione e ad approfondirne l’ informazione, è stata la
rappresentazione teatrale intitolata: “POP ECONOMY – Ovvero da dove allegramente vien la crisi e dove va”.
POP ECONOMY è una conferenza spettacolo di Alberto Pagliarino, dottore di
ricerca al Dams di Torino, e Nadia Lambiase esponente di Banca Etica e
ideatrice dello spettacolo.
La rappresentazione teatrale racconta della Crisi Globale sviluppatasi agli inizi
del 2008, delineando i relativi fatti storici, i personaggi, e i meccanismi di un
sistema insostenibile che sta conducendo il pianeta ad un vero tracollo globale;
che impoverisce molti e arricchisce pochi.
La locandina, che sostituisce il volto di Margaret Thatcher a quello di Marilyn
Monroe nel celebre manifesto di Andy Warhol, vuole essere la demitizzazione di
quella “deregulation” sfrenata che ha causato grosse problematiche alla moderna
economia mondiale.
Gli autori hanno realizzato un vero e proprio quadro storico per avere ben chiaro
le origini e le cause di tale fenomeno; una ricostruzione cronologica che parte
dalla bolla dei titoli tecnologici degli anni ’90, per poi passare al grande buco nero
del sistema bancario americano del 2008, ai mutui subprime, e infine alla
fragilità del sistema finanziario europeo (Islanda, Irlanda, Grecia, Spagna,
Portogallo, Italia).
POP ECONOMY è la storia di tante persone comuni come Jack, il tipico padre di famiglia della middle-class americana, che
intraprende uno stile di vita alquanto sobrio, senza sprechi, sostenibile, ma che ben presto verrà risucchiato dal mercato
globale e dal governo delle banche nel vortice del consumismo promosso dall’attuale società. 1
Si tratta dunque di una conferenza che intende far riflettere su un uso più responsabile del denaro adottando uno stile di vita
più sostenibile.
E’ stato allarmante venire a conoscenza che i 13600 miliardi di dollari spesi dai governi per risanare i debiti delle banche
corrispondono alla cifra che coprirebbe l’intero fabbisogno mondiale di cibo, acqua e cure mediche per i prossimi 150 anni.
Proprio grazie a questa iniziativa ho deciso di volermi documentare e informare maggiormente sulla crisi di tipo economico-
finanziario che stiamo vivendo, mettendo insieme i vari pezzi del puzzle e magari riflettere e conoscere realtà che promuovono
un’ economia di tipo alternativo, rinunciando a un’economia di consumo per aderire a un economia partecipativa.
CRISI ECONOMICA MONDIALE
LE ORIGINI
La crisi economica mondiale ha avuto inizio nel 2008 in seguito ad una crisi di natura finanziaria (scoppiata alla fine dell’anno
2007) negli Stati Uniti con la crisi dei mutui subprime.
Spinti dal celebre motto della presidenza Bush “Una casa a tutte le famiglie
americane” molte famiglie della classe media, agli inizi del 2000, decisero di comprare
una casa con tassi d’interesse bassi e rate dei mutui sopportabili. Il prezzo delle case
era in continua crescita e ciò spingeva ad indebitarsi con le banche per acquistare
una casa che, nell’arco di 10-15 anni, sarebbe sicuramente aumentata di valore.
Le banche, dal canto loro, alimentavano il generale clima di ottimismo offrendo mutui
pari al 100% del valore dell’immobile (rispetto al normale 50-60%), sia prime (cioè
prestiti erogati in favore di soggetti con una storia creditizia e delle garanzie
sufficientemente affidabili) che subprime (prestiti o mutui erogati a clienti definiti “ad
alto rischio”).
Per definire un “mutuo subprime” il sistema americano si basa su un punteggio di credito che
classifica tutti i debitori in una scala compresa tra 300 e 850 punti. Negli Stati Uniti tutti coloro
che hanno un punteggio di credito inferiore a 620 sono definiti dei debitori subprime che
presentano le seguenti peculiarità:
- due o più pagamenti effettuati oltre 30 giorni dopo la scadenza nell’anno precedente la
richiesta del prestito; 2
- l’insolvenza di un mutuo negli ultimi due anni;
- la dichiarazione di bancarotta negli ultimi cinque.
Nel giugno del 2007 la “Corte dei conti” degli Stati Uniti, ha dichiarato che fra il 2001 e il
2005 la quota percentuale sulle erogazioni dei nuovi mutui residenziali dei clienti che si
rivolgevano alle Agenzie federali per la casa era scesa dal 19 al 6 per cento. Una
massa di clienti che nel tempo
era migrata verso le offerte degli operatori privati del settore dei mutui subprime che,
nello stesso periodo, avevano registrato una crescita proprio del 13 per cento.
Con la corsa agli investimenti s’innesca la spirale speculativa: tutti comprano e i tassi
d’interesse richiesti da chi presta denaro crescono. Quando però ci si rende conto che
la pressione è diventata eccessiva si inizia a vendere, si ribaltano le aspettative e tutto
ciò fa crollare i mercati. Se nessun agente esterno interviene, istituzioni finanziarie e imprese incominciano a fallire, spostando
gli effetti della crisi dalle Borse alle tasche della popolazione.
Alla crisi finanziaria segue il fallimento della Lehman Brothers il 15 settembre 2008: questa bancarotta non fu la causa
principale della crisi, ma il momento in cui divenne chiaro, lampante e noto a chiunque, che la crisi avrebbe raggiunto
proporzioni globali.
La società Lehman Brothers venne fondata nel 1850 da Henry Lehman, un emigrato tedesco di origine ebraica e i suoi
discendenti ne mantennero la gestione fino al 1969. Dal 1984 al 1994, il controllo della banca venne assunto dall’ American
Express. Quando riacquistò l’indipendenza, sotto la guida di Richard Fuld (amministratore delegato), Lehman divenne in breve
una delle più importanti e spregiudicate banche d’affari mondiali.
La prestigiosa banca americana si occupava di offrire consulenza ad altre società, aiutandole nel collocamento di azioni o di
obbligazioni in borsa e investendo il proprio denaro e il denaro altrui.
La crisi che portò al fallimento di Lehman fu causata da tre fattori legati
tra loro: le politiche monetarie della FED (la banca centrale americana), la
deregolamentazione di Wall Street e le scelte di Fuld.
Tutte le banche centrali del mondo hanno la missione fondamentale di
mantenere sotto controllo l’inflazione, obiettivo perseguito tramite le
cosiddette politiche monetarie che regolano i tassi di interesse con cui
prestano soldi alle banche. Più questi tassi sono bassi, più le banche
chiedono soldi a prestito e più denaro circola nel sistema. La difficoltà
consiste nel trovare il tasso giusto per aumentare il denaro in circolo
3
senza però causare inflazione. Esiste una formula matematica chiamata Taylor Rule, che serve a calcolare in un dato
momento quale tasso d’interesse deve applicare una banca centrale.
Applicata dalla metà degli anni ’80 per circa vent’anni, la Taylor Rule fu abbandonata in seguito alla bolla economica delle dot-
com (titoli tecnologici) e alla necessità di ricostruzione seguita agli attentati dell’11 settembre 2001. La risposta della FED a
questi due eventi fu di abbassare i tassi di interesse sotto il livello suggerito dalla Taylor Rule, inondando il mercato di dollari.
Quando i tassi di interesse fissati da una banca centrale sono bassi, significa che “gira” molto denaro: quindi è più facile
ottenere prestiti e anche i tassi di interessi praticati ai clienti delle banche si abbassano. Così, per anni, è stato relativamente
difficile per le banche ottenere guadagni interessanti.
Il secondo fattore fu la deregolamentazione di Wall Street (avvenuta negli anni 2000) che permise
alle banche di fare cose molto più rischiose e di indebitarsi molto più di quanto potessero fare prima. I
tassi bassi e i magri ritorni economici che causavano, le incentivarono ad essere sempre più
spericolate. Da qui nasce la bolla dei mutui subprime.
Molti mutui erogati significava molte case comprate e molte case comprate significava aumento
costante del valore delle case (per la legge della domanda e dell’offerta). Quando la FED decise di
alzare di nuovo i tassi, le rate di tutti i mutui a tasso variabile aumentarono, molti americani non furono
in grado di pagarli, le case cominciarono ad essere vendute e il mercato immobiliare crollò.
Lehman Bank, come le altre banche d’affari, non erogava mutui, ma andava dalle piccole società
finanziarie e dalle banche di provincia e comprava i mutui che queste società avevano emesso. Le
piccole finanziarie così ottenevano nuovi liquidi con cui fare nuovi prestiti, mentre Lehman e le altre
banche d’affari usavano quei mutui come garanzie per costruire complicati titoli derivati.
Il problema era che valutare correttamente quei titoli era spesso
impossibile. L’ingegneria finanziaria aveva impacchettato, spezzettato e
impacchettato di nuovo i mutui iniziali in titoli derivati (che non a caso
venivano chiamati “salsicce”) estremamente complicati. Sui libri contabili
quei titoli avevano un valore, ma nessuno sapeva a che valore
sarebbero stati comprati se fossero stati messi sul mercato. La prima
banca a cadere a causa di questo clima di sfiducia fu la più piccola delle
prime cinque: Bear Stearns. Venne acquisita per due dollari ad azione
da Morgan Stanley e il governo americano si fece avanti, garantendo i
debiti della banca.
L’attenzione si spostò sulla seconda banca nella lista: Lehman Brothers.
Tutti sapevano che Lehman aveva i libri contabili pieni di titoli tossici, ma 4
dopo il “salvataggio” di Bear Sterns pensare di salvare anche Lehman era politicamente impraticabile: per i democratici
salvare un’altra banca voleva dire salvare gente ricchissima con i soldi dei contribuenti, per i repubblicani il salvataggio degli
istituti finanziari era un’intollerabile intromissione dello stato nei meccanismi dell’economia.
Ma senza una garanzia del governo, nessuna banca era disposta a comprarsi Lehman. Bank of America si fece avanti con
un’offerta, ma alla fine, dopo qualche giorno di trattative, scelse invece di aquistare Merril Lynch. L’ultima speranza per
Lehman era Barclays, una banca inglese, ma anche questa chiedeva delle
garanzie.
Privo di garanzie, il consiglio di amministrazione il 15 SETTEMBRE 2008
votò all’unanimità, compreso Richard Fuld (Direttore e Amministratore
Delegato), l’avvio della procedura fallimentare annunciando debiti bancari
per US$ 613 miliardi, debiti obbligazionari per US$ 155 miliardi e attività per
un valore di US$ 639 miliardi.
La bancarotta di Lehman Brother, oltre a mandare a picco le borse ha avuto
gravi ripercussioni in campo occupazionale, negli Stati Uniti sono stati
licenziati 25000 suoi dipendenti e in Europa 6000.
La crisi sarebbe potuta rimanere confinata agli Stati Uniti, ma
sfortunatamente le banche e i creditori di questi prestiti avevano venduto i
debiti ad investitori stranieri e ad istituti bancari di tutto il mondo sotto forma
di pacchetti finanziari incomprensibili ai più.
Così il fallimento si ripercuote sugli istituti di credito che hanno prestato
denaro alle banche fallite, innescando l’effetto domino.
Tra gli altri fattori della crisi sono da considerare:
- gli alti prezzi delle materie prime (petrolio in primis),
- una crisi alimentare mondiale,
- un'elevata inflazione globale,
- crisi creditizia con conseguente crollo di fiducia dei mercati borsistici. 5
L'anno 2009 ha poi visto una crisi economica generalizzata, pesanti recessioni e vertiginosi crolli di PIL in numerosi paesi del
mondo e in special modo nel mondo occidentale.
Tra il 2010 e il 2011 si è conosciuto l'allargamento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi (in larga
misura gravati dalle spese affrontate nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto ai paesi dell'eurozona che in alcuni casi