Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
La seguente tesina di maturità ha come obiettivo quello di descrivere il tema della New Economy nel mondo, effettuando dei collegamenti interdisciplinari con i seguenti argomenti: la poetica di Giuseppe Ungaretti, la poesia Veglia, la crisi del 1929 e il New Deal.
Capitolo Secondo:
Uno sguardo sul Mondo, La Crisi del ’29 e il New Deal
STORIA
Come in Ungaretti rimase un’impronta indelebile lasciata dalla Guerra, altre cose
stavano succedendo negli Stati uniti in quel periodo. Nel corso della storia, la Borsa di
New York è sempre stata un punto di riferimento per tutte le altre Borse, siano esse di
qualsiasi città, tanto che ancora oggi, quando bisogna esprimere un giudizio
sull’andamento di un determinato titolo, o studiare un particolare effetto economico, ci
si rapporta ad essa. C’è da dire però, che intorno agli anni ’30 è stata travolta da un
periodo di enorme crisi economica, che proprio in quegli anni divampava negli Stati
Uniti, denominato “Grande Depressione”.
Voglio adesso far riaffiorare gli avvenimenti principali di questa crisi, tracciando un
breve excursus storico in proposito.
Negli anni che intercorrono tra il 1920 e il 1929 gli Stati Uniti attraversano un periodo
di grande prosperità. Nel novembre 1920, anno nel quale le donne ottengono il diritto
di voto, le elezioni per la presidenza degli Stati Uniti inaugurano un’era di
isolazionismo che durerà circa un ventennio. Il programma del nuovo presidente,
Warren G. Harding, un repubblicano promosse lo sviluppo produttivo interno, lasciando
ampio spazio di azione alle imprese senza interferenze statali, difendendo il mercato
interno con le alte tariffe doganali e limitando l’emigrazione. Il successore di Harding è
Calvin Coolidge, che si attiene fondamentalmente alle stesse linee di condotta. Il
periodo di prosperità iniziata sembra non dover subire arresti; nel 1928 viene eletto
alla presidenza un altro repubblicano Herbert C. Hoover. Al culmine di un periodo di
prosperità, in un giorno del 1929, giovedì 24 ottobre (che sarà ricordato come il
”giovedì nero”) alla Borsa di Wall Street, a NeW York, si registra un calo vistoso del
valore dei titoli delle più importanti imprese americane; sono svendute quasi 13
milioni di azioni. La frana sembra arrestarsi il giorno successivo, ma poi riprende,
devastante più che mai, martedì 29 (il “martedì nero”), il più disastroso di tutta la
storia finanziaria degli Stati Uniti: sono scambiati, a prezzi sempre più cedenti, 33
milioni di titoli. Gli sforzi dei banchieri e degli agenti di cambio sono del tutto inefficaci,
di fronte alla dimensione della catastrofe. Gli Stati Uniti, in meno di una settimana,
sono diventati, da nazione prospera, un paese alle soglie della povertà ed in preda al
panico. La crisi, che continua con effetti devastanti, sino al 1932, provoca un crollo
della produzione mondiale di circa il 50%. Le cause di un crollo così rapido ed
inaspettato sono sicuramente da ricercarsi in un insieme di elementi divenuti
ingovernabili, poiché sommati nelle errate proporzioni a determinati fattori
dell’economia americana. Per comprenderle si deve esaminare la situazione
dell’economia degli Stati Uniti negli anni tra 1925 e il1929. In quegli anni le industrie
prosperano, producono un gran numero di oggetti e di beni da vendere, ma hanno
sempre più bisogno di denaro per aumentare le quantità prodotte, e chiedono ed
ottengono prestiti, soprattutto dall’Europa. I compratori, dal canto loro acquistano
molti oggetti, ma soprattutto a rate, visto che la maggior parte degli operai e degli
impiegati hanno ancora bassi salari, e non dispongono quindi di molto denaro liquido.
In questa situazione, improvvisamente, si susseguono due avvenimenti inaspettati:
- la Banca di Inghilterra limita il flusso di sterline verso gli Stati Uniti facendo mancare
così di colpo forti finanziamenti alle industrie americane.
- I consumatori americani, nella grande maggioranza
non ricchi, si trovano impossibilitati a comprare altri
beni, perché già indebitati con le rate; le fabbriche
continuano a produrre, ma gran parte delle merci
restano invendute.
Il crollo di Borsa dell’ottobre 1929, che pare all’origine
della catastrofe soltanto un evento destinato a
concludersi, e il movimento rivelatore di uno stato di
latente dissenso, di uno sbilancio acutissimo tra
domanda e offerta; esso nasce da accentuati movimenti
speculativi, trainati da un’euforia che porta ad un irreale
gonfiamento di mercato. Gli anni tra 1930 e il 1940
sono dedicati ad una sorta di <<ricostruzione>>;
l’uomo assunto a simbolo di questo decennio e che si
preoccuperà di risollevare il paese dalla crisi, è F. D.
Roosevelt, eletto presidente degli Stati Uniti nel 1932,
che vara proprio in quegli anni, il grandioso programma politico ed economico noto
come New Deal. La politica e sociale di Roosevelt, se per un verso si propone di
rilanciare i consumi e gli investimenti, dall’altro cerca di mettere fine a quelle
situazioni di privilegio e di disordine che, per lo meno in parte, sono state l’origine
della crisi. L’obiettivo primo che il programma del New Deal si pone è quello di
stimolare il rialzo dei prezzi, ridare fiducia agli investimenti, mettere in grado i
consumatori di avere un certo potere di acquisto e a disposizione una crescente massa
monetaria.
Questi i provvedimenti più significativi:
- Si proibiscono il tesoreggiamento e l’esportazione dell’oro;
- Svalutazione del dollaro, per incoraggiare le esportazioni e, quindi, far crescere la
produzione interna;
- Si opera un rialzo generalizzato dei salari e si finanziano importanti lavori pubblici.
Il programma e l’azione di Roosevelt raggiungono successi non trascurabili, nel senso
che, nel 1939 gli Stati Uniti sono quasi ritornati a buoni livelli produttivi; ma le
conseguenze della grande crisi non sono definitivamente superate; la disoccupazione
nel 1937 rimane ancora una vera piaga.
Capitolo Terzo:
Gli effetti della Crisi del ’29 e il Bilancio
SCIENZE DELLE FINANZE
Il bilancio dello Stato, le sue teorie e quelle dell‘attività finanziaria
In seguito alla grande crisi economica del 1929 si afferma la teoria della finanza
funzionale sulla base delle teorie keynesiane ed in particolare di quella del
moltiplicatore. Prima della crisi era prevalente un’altra concezione del ruolo dello Stato
nell’economia basata sulla teoria della finanza neutrale. Queste teorie sono entrambe
molto importanti in quanto hanno contribuito alla formulazione di due importanti
concezioni del bilancio dello stato: quella del pareggio (finanza neutrale) e quella del
bilancio funzionale (finanza funzionale). Secondo la teoria della finanza neutrale ,
l’attività finanziaria dello Stato deve incidere il meno possibile sull’economia del
paese, lo Stato deve quindi prestare pochi ed essenziali servizi e richiedere ai cittadini
meno tributi possibili. Si tratta di una concezione legata allo stato ottocentesco,
definito con molteplici accezioni: “stato gendarme” in quanto prestava solo servizi di
ordine pubblico, difesa e pochi altri; stato del lasseiz faire, secondo l’espressione di un
economista fisiocratico, Jean-Claude-
Marie-Vincent de Gournay , il quale affermava “lasseiz faire, lasseiz passer que le
monde va de lui mème” proprio per sottolineare che lo stato non doveva intralciare
l’economia; stato liberista, nel senso che l’economia doveva essere libera di
funzionare secondo i meccanismi naturali del mercato; stato non interventista.
Secondo la teoria della finanza funzionale invece, quando il mercato non riesce a
funzionare a causa dei cosiddetti fallimenti del mercato (monopoli, esternalità, beni
pubblici, crisi economiche) è lo Stato che deve riuscire ad intervenire con la politica di
bilancio e/o monetaria per raggiungere determinati obiettivi, che Kaldor sintetizza nel
c.d. quadrato magico: la crescita del PIL, la piena occupazione dei fattori produttivi, il
contenimento dell’inflazione con la relativa stabilità dei prezzi, e infine l’equilibrio nella
bilancia dei pagamenti.
Esternalità: effetti positivi o negativi collegati allo svolgimento di un‘attività economica
La teoria della finanza funzionale entra in crisi negli anni ’70 a causa dell’eccessivo
intervento dello Stato nell’economia. Tale crisi è il risultato dalla distorsione della
teoria keynesiana del deficit spending, secondo la quale il bilancio dello stato può
essere in deficit se il disavanzo è utilizzato per finanziare spese per investimenti. In
realtà, il deficit fu utilizzato per sostenere spese per consumi. La finanza funzionale
prevede
l’intervento dello Stato come soggetto in grado di pilotare il sistema capitalista,
provvedendo ad eliminare squilibri settoriali e territoriali, perseguendo una politica di
piena occupazione, attuando “politiche redistributive”. Il meccanismo della finanza
funzionale si basa sul moltiplicatore Keynesiano
Y = 1 G
(1 – c’)
Nella quale:
Y = reddito nazionale
G = government expediture (spesa pubblica)
C’ = propensione marginale al consumo
Come detto precedentemente, le due teorie sull’attività finanziaria hanno contribuito
alla formulazione di altre teorie in materia di bilancio. Prima di elencarle ed esporle,
sarebbe meglio introdurre il concetto di bilancio dello Stato illustrando le sue
caratteristiche, i suoi principi, le sue funzioni e classificazioni.
Il bilancio dello Stato è quel documento politico ed economico in cui vengono elencate
le entrate e le spese pubbliche dell’amministrazione statale inerenti a un determinato
arco di tempo, che può essere l’anno finanziario (coincidente con l’anno solare e
chiamato bilancio annuale) o un periodo di più anni, venendo a parlare così di bilancio
pluriennale. Il bilancio può essere preventivo (o di previsione), se contiene le entrate
che si prevede di riscuotere e le spese che si prevede di pagare nell’anno successivo a
quello in cui esso viene redatto, o consuntivo, se in esso vengono contabilizzate le
entrate e le spese effettivamente incassate e pagate lungo l’anno finanziario appena
concluso; viene chiamato anche rendiconto, è approvato dalle Camere dopo che la
Corte dei Conti ha effettuato la parificazione e consente ad esse di verificare che il
Governo abbia svolto la sua attività finanziaria secondo le loro direttive. Prende il
nome di esercizio finanziario l’insieme delle operazioni contabili, ovvero le riscossioni
delle entrate e dei pagamenti delle spese che coincidono con l’anno civile (1° gennaio
– 31 dicembre). Può verificarsi però che non tutte le operazioni inserite nel bilancio di
previsione vengano effettuate entro la chiusura dell’anno finanziario, per cui le entrate
accertate ma non ancora riscosse e le spese impegnate ma non ancora pagate entro
tale termine costituiranno i residui attivi e passivi da iscrivere rispettivamente nelle
entrate e nelle spese del bilancio preventivo dell’anno successivo.
In relazione al suo contenuto il bilancio può essere di competenza e di cassa, quello di
competenza ha valore giuridico e prende in considerazione le entrate accertate e non
ancora riscosse e le spese impegnate e non ancora pagate, mentre quello di cassa fa
riferimento solo alle entrate materialmente riscosse e le spese materialmente pagate.
Il bilancio di competenza svolge un controllo sulla gestione finanziaria da parte delle
Camere che possono valutare la sua politica economico – finanziaria, mentre quello di
cassa fornisce una descrizione dei movimenti finanziari (spese e entrate) di ogni
gestione. Le regole che devono essere seguite per la redazione e l’approvazione del
bilancio sono il principio di:
Universalità, in base al quale devono essere iscritte in bilancio tutte le voci delle
entrate e delle spese;
Integrità, il quale stabilisce che le entrate e le spese devono essere iscritte al lordo di
quelle spese che possono comportare la loro riscossione e il loro pagamento. Le
compensazioni non sono ammesse proprio per valutare la consistenza delle operazioni
attive e passive;
Unità, che vieta di collegare specifiche entrate con specifiche voci di spesa. Non è
ammesso vincolare la destinazione di determinati fondi al finanziamento di una data
spesa anziché di un'altra e non devono esistere tributi di scopo, cioè tributi introdotti
per far fronte a determinate spese;