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Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia
È la poesia che meglio evidenzia il pessimismo cosmico di Leopardi. Fa parte dei “grandi idilli”.
Lo spunto di ispirazione del canto venne offerto a Leopardi dai racconti sulle abitudini dei pastori
nomadi dell’Asia, da parte di un barone russo che era stato in quelle terre.
TRAMA
Leopardi immagina il dialogo tra un pastore e la luna, avente per argomento le domande esistenziali
dell’uomo. La condizione dell’umanità, fatta di fatiche e dolore, viene dapprima avvicinata alla vita
del pastore (che si ripete sempre uguale e senza sosta, come il tragitto lunare), poi viene ribadita con
l’immagine del “vecchiarel bianco, infermo, mezzo vestito e scalzo…” che dopo tanto andare “senza
posa o ristoro”, dopo “tanto affaticar” giunge “all’ abisso orrido ed immenso” della morte, in cui
precipitano tutti gli uomini.
In realtà, fin dalla nascita l’uomo ha a che fare con la morte (“è rischio di morte il nascimento”) e il
primo compito dei genitori verso il neonato è proprio quello di prenderlo a “consolar di essere nato”.
Leopardi identificandosi nell’ immagine del pastore pone quelle che sono le sue domande esistenziali
alla luna: “se la vita è sventura perché da noi si dura?......ecc”.
Gli interrogativi del pastore però sono destinati a non aver risposta e questo gli da modo di pensare
che se fosse come la sua “greggia”, ignara della sua condizione esistenziale sarebbe più felice.
Ma subito corregge questo pensiero con la grave constatazione che la sofferenza è una condizione
universale: “forse in qual forma, in quale stato che sia […] è funesto a chi nasce il dì natale”. 21
La quiete dopo la tempesta
Questa poesia insieme a “il sabato del villaggio” è stata scritta a Recanati nel
1829, in un periodo non facile x il poeta, avvilito delle difficoltà economiche e
da una salute cagionevole (le due poesie sono state scritte a pochi giorni di
distanza l’una dall’altra).
La poesia offre (insieme al “sabato del villaggio”) un quadretto di vita del borgo
(riferimento a Recanati); presa come spunto per riflettere sulla condizione
umana e denunciare un’illusoria felicità(esempi di poesia sentimentale)
TRAMA
Leopardi descrive un ambiente che ritorna in vita dopo un temporale (metafora
dell’affanno della vita): gli uccelli tornano a cantare, gli artigiani al loro lavoro
quotidiano, ogni cosa ritorna alla normalità e ogni cuore si rallegra. Ma è una
felicità di breve durata. Leopardi, ricorda che “ogni piacere è figlio dell’affanno“,
in quanto nasce da un dolore che si attenua. Quindi la vera normalità non è la
condizione di quiete e tranquillità ma quella della sofferenza e del dolore. Gli
intensi momenti di partecipazione alla vita non sono che brevi interruzioni di
una realtà fatta di dolore e affanno. Alla fine, solo la morte fa cessare per
sempre ogni dolore 22
Il sabato del villaggio
Questa poesia insieme a “la quiete dopo la tempesta” è stata scritta a Recanati nel 1829, in un periodo
non facile x il poeta, avvilito delle difficoltà economiche e da una salute cagionevole (le due poesie
sono state scritte a pochi giorni di distanza l’una dall’altra).
La poesia offre (insieme a “la quiete dopo la tempesta”) un quadretto di vita del borgo (riferimento a
Recanati); presa come spunto per riflettere sulla condizione umana e denunciare un’illusoria felicità
(esempi di poesia sentimentale)
TRAMA
La poesia si apre con animate scene di vita recanatesi nelle quali sembra cogliersi il palpito stesso della
vita. Leopardi fa vedere tutta l’attesa (illusoria) di una vita che offre speranze e attrattive.
Anche se poi la natura è una matrigna ingannatrice e riserva ai suoi figli sofferenze continue in un
progressivo scivolare verso la morte.
Nella seconda parte della poesia c’è la riflessione su come l’unica possibilità di felicità, in realtà, non
sta mai in qualcosa che è già, ma in qualcosa che deve venire, in qualcosa che si aspetta, si attende (la
vigilia della festa).
La felicità più che nel presente o nel futuro in sé ( che costituirà lo stesso motivo di noia e tristezza
appena si compirà) sta nella speranza del futuro.
Il sabato, rappresentando l’attesa piena di speranza del giorno di festa, simboleggia la fanciullezza è
l’adolescenza che sono le età più belle proprio perché caratterizzate dalla speranza, sogni, illusioni e
progetti per il futuro. 23
Il passero solitario
La data di composizione di questa poesia è incerta (tra il 1828 ed il 1830) .
Essa fa parte dei “Grandi idilli”, scritti durante il soggiorno recanatese.
I motivi dominanti sono quello della solitudine e il rimpianto della giovinezza perduta.
TRAMA
La primavera brilla nell’aria; la natura risplende e gli uccelli fanno festa.
Solo, fra loro, un passero canta sulla cima del campanile e diffonde il suo verso fino al
tramonto.
Restando in disparte, il passero solitario sembra l’unico a non godere della gioia comune.
Questa scena fa pensare a Leopardi la propria condizione: a Recanati è giorno di festa e
mentre i giovani del luogo vestiti a festa, passeggiano allegramente per le strade del
borgo, il poeta sembra l’unico a non interessarsi ai divertimenti e agli amori e preferisce
starsene come il “solingo augelin”.
Il passero solitario però asseconda la sua natura e non si pentirà, un domani del suo
modo di essere, mentre il poeta si rende conto che un giorno si volterà indietro a
rimpiangere quella sua giovinezza perduta. 24
Il vago e l’indefinito delle
immaginazioni fanciullesche
TEMATICA
Per Leopardi la poesia nasce dalla fantasia e
dall’immaginazione, quindi ha i caratteri della spontaneità
e dell’originalità. Essa non si può collocare entro schemi
precisi ma si colloca nella dimensione del vago e
dell’infinito.
Le parole vaghe ed indefinite sono le poetiche per
eccellenza(per esempio “notte”, ”notturno”, “lontan0”,
“antico”…) sono parole poetiche perché destano idee di
vago e di indefinito. Per leopardi gli antiche erano più
poetici perché dotati di più immaginazione, mentre l’uomo
contemporaneo, con l’avvento della ragione ha interrotto
questi sentimenti tipici dell’età fanciullesca e giovanile (che
si possono recuperare solo attraverso le rimembranze). 25
Giovanni Verga
Nacque a Catania (da una famiglia di proprietari terrieri) nel 1840 e vi morì
nel 1922
Fu l’esponente più importante del verismo italiano
A soli 17 anni scrisse il suo primo romanzo storico (“amore e patria”) anche se
il suo precettore gli sconsiglia di pubblicarlo perché pieno di scorrettezze.
Si iscrisse alla facoltà di legge a Catania ma lasciò gli studi per scrivere il suo
secondo romanzo storico (“i carbonari della montagna”) che pubblicò
Nel 1865 Verga si trasferì a Firenze, cuore della vita politica e intellettuale
italiana
Per Verga significò uscire da un ambiente provinciale per inserirsi in uno più
stimolante culturalmente
A Firenze ha la possibilità di conoscere importanti intellettuali e questo ispirò
la sua produzione
Verga ebbe una svolta in campo letterario: abbandonò il genere del romanzo
storico per quello del romanzo psicologico sentimentale (tra questi romanzi
“fiorentini”, i più importanti sono “storia di una capinera” e “una peccatrice” )
Da Firenze Verga si trasferì a Milano, dove ebbe modo do frequentare
importanti ambienti letterali e di stabilire contatti con intellettuali
influenzati dal Naturalismo Francese Il pensiero
Al periodo milanese appartengono i romanzi (del genere sentimentale
psicologico) “Eva”, “Tigre reale”, e “Eros” (anche se “Eva” si può considerare 1
romanzo “fiorentino” perché risente del soggiorno toscano nell’ispirazione e Le opere
nei contenuti, infatti Verga l’aveva cominciato a scrivere a Firenze)
Pagina Successiva 26
Giovanni Verga
I romanzi milanesi sono storie di passione travolgenti dagli esiti
drammatici; i personaggi già appaiono come dei “vinti”, dei
predestinati alla sconfitta: soni vinti dalla passione ma anche da un
meccanismo sociale rigido e ipocrita.
Il 1874 segna l’anno di svolta verista dello scrittore . La prima novella
verista è “Nedda”, scritta proprio in quest’anno: è una novella
rusticana ambientata nelle terre contadine della Sicilia.
Alla produzione verista dello scrittore appartengono anche “vita dei
campi” , “novelle rusticane” , “I Malavoglia” e “Mastro don
Gesualdo” (il secondo di una raccolta di opere che doveva chiamarsi
“Ciclo dei Vinti” e che rimase incompiuta).
Verga scrisse molto anche per il teatro, portando sul palcoscenico il
contenuto di molte sue novelle. Riscosse un gran successo
soprattutto con l’atto unico di “cavalleria Rusticana” in cui recitò
anche Eleonora Duse nel ruolo di protagonista.
Nel 1893 Verga si ritirò definitivamente a Catania, chiudendosi
sempre più in se stesso e scrivendo sempre meno, limitandosi a Il pensiero
ritoccare le sue opere migliori per nuove edizioni.
Morì a Catania nella sua casa nel 1922 in seguito ad una trombosi
celebrale Le opere
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Il Pensiero
IL VERISMO
Osservazione e descrizione della realtà così com’è, aderenza al vero, espressi formalmente con l’impersonalità della narrazione. Lo scrittore
scompare dietro le vicende dei personaggi, la mano dell’autore nel racconto rimane invisibile, c’è oggettività assoluta nella narrazione e non
c’è traccia alcuna di soggettivismo.
SCONFITTA DEI SINGOLI
I personaggi di Verga appaiono come dei vinti dalla vita, sono degli sconfitti (alle loro passioni, dalle società e dallo stesso progresso)
PESSIMISMO
La condizione umana individuale è destinata all’infelicità. Nonostante il progresso migliori le condizioni generali dell’umanità esso comporta
sempre, sul piano individuale, la sconfitta dei singoli tanto che i vincitori di oggi saranno inevitabilmente i vinti di domani. la “fiumana del
progresso” travolge quindi tutti gli individui
LOTTA PER LA VITA
Nonostante i personaggi di verga siano destinati ad una inevitabile sconfitta, essi non rinunciano a lottare per la loro soporavvivenza. Verga
non crede n una possibilità di riscatto nel destino degli individui, dato da una provvidenza o dal progresso, nonostante questo i suoi
personaggi non perdono mai la loro dignità personale di lottare per la vita.
IL MITO DEL FOCOLARE DOMESTICO
La famiglia rappresenta l’unica forza per i deboli, l’unica sicurezza in mezzo alle tempeste della vita.
MITO DELLA ROBA(denuncia contro l’accumulazione)
L’accumulazione materialistica, tipica dei proprietari terrieri e della borghesia capitalistica, fa avvilire ogni affetto e sentimento, smarrire la
propria umanità e diventare cinici ed egoisti (esempio Mazzarò) 28
Le opere LA ROBA
ROSSO MALPELO
29
La roba
È tratta da “Novelle rusticane”, una raccolta di 12 novelle pubblicata nel 1883
Uno dei temi ricorrenti in molte di queste novelle è il mito della “roba”.
TRAMA
Il protagonista di questa novella è Mazzarò, un uomo di umili origini che lavorando sodo
era riuscito ad accumulare tante proprietà e a diventare molto ricco.
Questa nuova condizione di ricchezza però lo aveva reso cinico e avido, tanto che, pure
avendo le tasche piene, risparmiava fino all’ultimo spicciolo.
Mazzarò, ormai vecchio, sentiva avvicinarsi i giorni della fine e questo lo rendeva
arrabbiato con la vita perché avrebbe dovuto lasciare tutta la sua “roba”.
Ciò che scatenò di più la sua rabbia fu la visione di un suo operaio, curvo sotto il peso del
suo lavoro, mezzo nudo ed affamato, che Mazzarò invidiò solo per la giovane età. Prese
quindi a lanciargli il bastone gridando: “guardate chi a giorni lunghi, costui che non ha
niente”.