Anteprima
Vedrai una selezione di 11 pagine su 46
Sette Peccati Capitali Pag. 1 Sette Peccati Capitali Pag. 2
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 6
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 11
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 16
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 21
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 26
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 31
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 36
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 41
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Sette Peccati Capitali Pag. 46
1 su 46
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

ne 

Abbandono smodato ai piaceri

Che cos'è

La radice della parola lussuria coincide con quella

della parola lusso - che indica una esagerazione - e

quella della parola lussazione - che significa

deformazione o divisione.

Appare quindi chiaro il significato di lussuria, che

designa qualche cosa di esagerato e di parziale.

Il corpo viene oggettivato e la persona

spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la

musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza

fondamentale poiché devono supplire alla

mancanza di un altro tipo di seduzione che

scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre

che fisica.

La lussuria è quindi una conseguenza di un certo

tipo di paura: la paura del confronto con un altro

essere umano nel quale è possibile rispecchiarsi. Il

lussurioso non si vuole specchiare, non si vuole

vedere, non si vuole confrontare

Petronio Arbitrio

Petronio (14 – Cuma, 66) è stato uno scrittore latino.

Una serie di codici ci ha tramandato degli estratti di un’opera narrativa, mista di prosa e versi, intitolata

Satyricon e attribuita a un autore chiamato Petronio Arbitrio.

Oggi la stragrande maggioranza degli studiosi concorda nel collocare il Satyricon nel I secolo d.C.e nel

riconoscere nel suo autore il Petronio di cui parla Tacito.

L'opera ci è giunta, come si è detto, frammentaria e lacunosa. Originariamente, comunque, secondo le

testimonianze della tradizione manoscritta, doveva essere molto ampia, dal momento che i frammenti

restanti, suddivisi in seguito dagli studiosi in 141 capitoli, appartenevano ai libri XV e XVI.

Encolpio, il giovane protagonista, racconta le avventure alle quali è andato incontro durante un viaggio

fatto in compagnia del giovane Gìtone di cui è innamorato e dell'amico Ascilto, in una non bene precisata

località della Campania (da alcuni identificata con Pozzuoli). Dopo una discussione con il retore

Agamennone sul tema della decadenza dell'eloquenza, i tre iniziano a vivere le avventure più disparate.

Vengono anche accusati di aver offeso il dio Priapo in persona, avendo interrotto un rito in suo onore.

Costretti quindi a rimediare al sacrilegio, sono coinvolti in un'orgia purificatrice, durante la quale

subiscono estenuanti prove erotiche.

Inizia allora il racconto della "cena"a casa di Trimalchione, episodio centrale dell'opera, della quale

occupa quasi la metà. Ospiti, oltre ai tre ragazzi, sono vari personaggi del rango di Trimalchione,

liberto arricchitosi, che fa sfoggio con ostentata esagerazione delle sue ricchezze. La conversazione

fra i convenuti verte su argomenti comuni (il clima, i tempi, i giochi pubblici, l'educazione dei

figli), ma offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel

ceto sociale.

In seguito, Encolpio, allontanatosi dagli altri due compagni, incontra Eumolpo, un vecchio letterato che,

notato l'interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, gliene declama in versi il

resoconto (è la celebre Troiae halosis). I due diventano quindi compagni di viaggio, rivali in amore a

causa di Gitone e dopo una serie di avventure, che li vedono viaggiare per mare e rischiare anche la vita,

si ritrovano, insieme nella città di Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed

Encolpio e Gitone si fanno passare per i suoi servi: così essi scroccano pranzi e regali dai cacciatori di

eredità.

Nei frammenti successivi, Eumolpo recita un brano epico, in cui viene descritto il Bellum civile ("La

guerra civile") fra Cesare e Pompeo, e successivamente si legge di Encolpio che, per l'ira di Priapo,

diventato impotente, è vittima di una ricca amante che si crede disprezzata da lui e lo perseguita.

Eumolpo, invece, scrive il suo testamento dove specifica che gli eredi avranno diritto alle sue ricchezze

solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo.

Altro punto controverso fra gli studiosi è il genere entro cui si può iscrivere il Satyricon petroniano,

difficoltà, questa, già per gli autori antichi. La frammentarietà del testo, ancora una volta, non aiuta a

trovare soluzioni certe.

Pare evidente, innanzitutto, un suo legame con la satira menippea, con la quale condivide tra l'altro la

commistione di prosa e poesia; se ne distacca tuttavia per la maggiore complessità narrativa. Altri studiosi

vedono nel Satyricon soprattutto una parodia dell'Odissea omerica, con Encolpio come alter-ego mediocre

e vanesio di Ulisse. Il Satyricon fu influenzato anche dal mimo e dalla favola milesia, dalla quale prende

spunto per gli episodi macabri ed osceni (come quello della Matrona di Efeso).

L'ipotesi più suggestiva, non condivisa da tutti gli studiosi, è quella che vede nel Satyricon una grande

vicinanza con il modello del romanzo ellenistico. Con esso, in effetti, il Satyricon condivide alcuni aspetti

quali la struttura complessa, il rapporto amoroso fra i protagonisti e le disavventure che essi devono

affrontare. Tuttavia, considerando le evidenti differenze con cui gli stessi temi del romanzo ellenistico

sono trattati da Petronio, alcuni studiosi (per primo l'Heinze) hanno sostenuto la tesi di un intento

parodistico di Petronio verso un genere ben conosciuto e popolare.

Appare riduttivo, dunque, cercare di racchiudere l'incredibile varietà del Satyricon in un unico codificato

genere narrativo.

Il Satyricon è spesso considerato come il primo esempio di quello che sarebbe poi diventato, nel tempo, il

romanzo moderno. Una filiazione diretta fra il romanzo antico e il romanzo moderno è a dire il vero

insostenibile, tuttavia è innegabile che la riscoperta dei frammenti superstiti di quest'opera ebbe, dopo il

Rinascimento, un influsso sulla narrativa occidentale.

Va però aggiunto che tale influsso fu limitato dal tema del romanzo, che fra le altre cose affronta il culto

di Priapo, con descrizioni di amori e accoppiamenti sia eterosessuali che omosessuali (anzi, addirittura

pederastici). Ciò diede a lungo a quest'opera una fama (in gran parte immeritata) di dissolutezza e

peccato, che ne limitò la diffusione. Viceversa, in tempi moderni, la lettura di questo scritto quale "opera

erotica" che tratta di orge e dissolutezze (una lettura popolarizzata dal film che ne è stato tratto), può

avere giovato alla notorietà del titolo dell'opera, ma non certo alla conoscenza del suo reale contenuto.

Disinteresse per il presente e mancanza di

prospettive per il futuro …

Il termine

Il termine, nel greco classico, designa la

negligenza, l'indifferenza, la mancanza di cure e

di interesse per una cosa. Designa inoltre

l'abbattimento, lo scoraggiamento, la

prostrazione, la stanchezza, la noia e la

depressione dell'uomo di fronte alla vita.

É lo smarrimento estremo: si produce uno stato

d'animo che intacca e rischia di disorientare tutto

ciò che raggiunge.

Due conseguenze tipiche sono l'instabilità e il

disprezzo per gli impegni della propria vita.

L'uomo non padroneggia più la vita; le vicende lo

avviluppano inestricabili, ed egli non sa più

vederci chiaro. Non sa più come cavarsela in

determinate vicende della propria esistenza; e il

compito a lui affidato gli si erge davanti

insuperabile, come la parete di una montagna.

Una vita ricca e attiva,un sentire dolente

Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio del 1788 da una ricca famiglia borghese e

morì a Francoforte nel 1860. Suo padre era un bravo mercante che era riuscito ad accrescere il già

cospicuo patrimonio familiare. Questa florida condizione economica consentì al giovane

Schopenhauer di viaggiare molto e conoscere ambienti stimolanti sul piano umano e culturale. Egli

dunque ebbe modo di conoscere il cuore vivo e pulsante dell'Europa, però, questa esperienza

eccezionale non lo indirizzò, come era prevedibile,verso i traffici e i commerci, ma servì solo ad

aggravare la sua tendenza a chiudersi in se stesso e a nutrire una visione pessimistica della vita. I

temi dominanti delle sue meditazioni giovanili sono infatti quelli della morte e dell'eternità, dello

smarrimento di fronte alla grandiosa maestà della natura.

Il rifiuto totale della vita

E' in questi anni di studio e di meditazione, che egli avvertì il bisogno di far chiarezza sul proprio

sentimento di insoddisfazione esistenziale e di distacco dalle ordinarie preoccupazioni della vita.

Schopenhauer giunse a un rifiuto totale della vita. Intraprese allora anche lo studio della filosofia.

Platone lo appassionò perché rispondeva alle esigenze del suo animo, specie nel desiderio di

evadere dalla prigione del mondo sensibile per sollevarsi al mondo delle idee; e lo stesso si dica per

Kant, il filosofo che Schopenhauer ebbe sempre come punto di riferimento privilegiato. In Kant

egli trovava una lucida critica al realismo, cioè alla credenza che le cose abbiano una realtà e un

significato indipendenti dal soggetto, e in particolare l'affermazione che la mente dell'uomo avverte

il bisogno di andare oltre il mondo mutevole e incerto dei fenomeni per raggiungere la "cosa in sé" ,

vale a dire l'essenza profonda delle cose. Su questo punto tra i due non c'è accordo, infatti mentre

per Kant la "cosa in sé" è soltanto pensabile, un concetto non raggiungibile; per Schopenhauer essa

si può conquistare con il faticoso processo di chiarificazione interiore che il saggio o il filosofo

possono percorrere.

Che cos'è il mondo?

Nel 1818 Schopenhauer pubblicò il suo capolavoro, il mondo come volontà e rappresentazione,che

avrebbe dovuto diffondere la sua verità nel mondo vile e meschino della filosofia tedesca, ma che

non ebbe alcun successo.

Alla domanda <Che cos'è il mondo?> Schopenhauer risponde ponendosi da una duplice

prospettiva: da un lato la prospettiva della rappresentazione intellettuale o, meglio, della scienza; e

dall'altro quella della volontà.

I due punti di vista mettono capo a due soluzioni differenti. Secondo quella della conoscenza il

mondo è una mia rappresentazione; secondo l'altro, il mondo è volontà di vivere, un impeto cieco e

tenace che coinvolge tutti gli esseri e li condanna alla sofferenza: il volere, infatti, coincide con il

dolore perché è costituito dalla tensione continua, dalla ricerca senza sosta di un piacere che non si

potrà mai appagare completamente.

Il mondo come rappresentazione

Il capolavoro di Schopenhauer si apre con l'affermazione secondo cui << il mondo è una mia

rappresentazione>>: una verità che riguarda tutti gli esseri viventi, anche se solo l'uomo è capace di

assumerla nella sua coscienza e di pensarla. Questa è una verità certa, assoluta ed evidente, tanto

che non ha neppure bisogno di essere provata. Dire che il mondo è una mia rappresentazione

significa avere la consapevolezza che io non conosco realmente che cosa siano in sé il sole o la

terra; ma soltanto di avere un occhio che vede il sole ed una mano che sente il contatto con la terra.

Il mondo è una mia rappresentazione, sogno e illusioni espressi nella metafora

del "velo di Maya". La rappresentazione ci dà soltanto fenomeni, cioè apparenza e illusione:

qualcosa di analogo a ciò che l'antica mitologia indiana chiamava appunto "il velo di Maya", cioè

quel velo che, coprendo il volto delle cose, cela all'uomo la vera essenza del mondo.

La rappresentazione e le forme a priori della conoscenza

Schopenhauer dice molto chiaramente che la rappresentazione, cioè la conoscenza intellettuale o la

scienza, è solo un modo di guardare le cose nel loro apparire, dall'esterno, restando sempre alla

superficie della realtà, senza riuscire a capire che cosa ci sia al di là di questa parvenza. Dunque la

rappresentazione ci mostra un continuo fluire di immagini o, in termini filosofici, di fenomeni, cioè

cose che appaiono.

La realtà quindi è solo un insieme di rappresentazioni, di fenomeni e al soggetto spetta il compito di

organizzarli. Questo gli è possibile attraverso le forme spazio temporali della sensibilità e la

categoria di casualità.

Lo spazio e il tempo sono forme a priori della rappresentazione. Ogni nostra percezione le

Dettagli
46 pagine
2701 download