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Abbandono smodato ai piaceri
Che cos'è
La radice della parola lussuria coincide con quella
della parola lusso - che indica una esagerazione - e
quella della parola lussazione - che significa
deformazione o divisione.
Appare quindi chiaro il significato di lussuria, che
designa qualche cosa di esagerato e di parziale.
Il corpo viene oggettivato e la persona
spersonalizzata: le vesti, gli accessori, i gesti, la
musica, le luci arrivano ad assumere un'importanza
fondamentale poiché devono supplire alla
mancanza di un altro tipo di seduzione che
scaturisce da un'intesa psicologica e affettiva, oltre
che fisica.
La lussuria è quindi una conseguenza di un certo
tipo di paura: la paura del confronto con un altro
essere umano nel quale è possibile rispecchiarsi. Il
lussurioso non si vuole specchiare, non si vuole
vedere, non si vuole confrontare
Petronio Arbitrio
Petronio (14 – Cuma, 66) è stato uno scrittore latino.
Una serie di codici ci ha tramandato degli estratti di un’opera narrativa, mista di prosa e versi, intitolata
Satyricon e attribuita a un autore chiamato Petronio Arbitrio.
Oggi la stragrande maggioranza degli studiosi concorda nel collocare il Satyricon nel I secolo d.C.e nel
riconoscere nel suo autore il Petronio di cui parla Tacito.
L'opera ci è giunta, come si è detto, frammentaria e lacunosa. Originariamente, comunque, secondo le
testimonianze della tradizione manoscritta, doveva essere molto ampia, dal momento che i frammenti
restanti, suddivisi in seguito dagli studiosi in 141 capitoli, appartenevano ai libri XV e XVI.
Encolpio, il giovane protagonista, racconta le avventure alle quali è andato incontro durante un viaggio
fatto in compagnia del giovane Gìtone di cui è innamorato e dell'amico Ascilto, in una non bene precisata
località della Campania (da alcuni identificata con Pozzuoli). Dopo una discussione con il retore
Agamennone sul tema della decadenza dell'eloquenza, i tre iniziano a vivere le avventure più disparate.
Vengono anche accusati di aver offeso il dio Priapo in persona, avendo interrotto un rito in suo onore.
Costretti quindi a rimediare al sacrilegio, sono coinvolti in un'orgia purificatrice, durante la quale
subiscono estenuanti prove erotiche.
Inizia allora il racconto della "cena"a casa di Trimalchione, episodio centrale dell'opera, della quale
occupa quasi la metà. Ospiti, oltre ai tre ragazzi, sono vari personaggi del rango di Trimalchione,
liberto arricchitosi, che fa sfoggio con ostentata esagerazione delle sue ricchezze. La conversazione
fra i convenuti verte su argomenti comuni (il clima, i tempi, i giochi pubblici, l'educazione dei
figli), ma offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel
ceto sociale.
In seguito, Encolpio, allontanatosi dagli altri due compagni, incontra Eumolpo, un vecchio letterato che,
notato l'interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, gliene declama in versi il
resoconto (è la celebre Troiae halosis). I due diventano quindi compagni di viaggio, rivali in amore a
causa di Gitone e dopo una serie di avventure, che li vedono viaggiare per mare e rischiare anche la vita,
si ritrovano, insieme nella città di Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio danaroso e senza figli, ed
Encolpio e Gitone si fanno passare per i suoi servi: così essi scroccano pranzi e regali dai cacciatori di
eredità.
Nei frammenti successivi, Eumolpo recita un brano epico, in cui viene descritto il Bellum civile ("La
guerra civile") fra Cesare e Pompeo, e successivamente si legge di Encolpio che, per l'ira di Priapo,
diventato impotente, è vittima di una ricca amante che si crede disprezzata da lui e lo perseguita.
Eumolpo, invece, scrive il suo testamento dove specifica che gli eredi avranno diritto alle sue ricchezze
solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo.
Altro punto controverso fra gli studiosi è il genere entro cui si può iscrivere il Satyricon petroniano,
difficoltà, questa, già per gli autori antichi. La frammentarietà del testo, ancora una volta, non aiuta a
trovare soluzioni certe.
Pare evidente, innanzitutto, un suo legame con la satira menippea, con la quale condivide tra l'altro la
commistione di prosa e poesia; se ne distacca tuttavia per la maggiore complessità narrativa. Altri studiosi
vedono nel Satyricon soprattutto una parodia dell'Odissea omerica, con Encolpio come alter-ego mediocre
e vanesio di Ulisse. Il Satyricon fu influenzato anche dal mimo e dalla favola milesia, dalla quale prende
spunto per gli episodi macabri ed osceni (come quello della Matrona di Efeso).
L'ipotesi più suggestiva, non condivisa da tutti gli studiosi, è quella che vede nel Satyricon una grande
vicinanza con il modello del romanzo ellenistico. Con esso, in effetti, il Satyricon condivide alcuni aspetti
quali la struttura complessa, il rapporto amoroso fra i protagonisti e le disavventure che essi devono
affrontare. Tuttavia, considerando le evidenti differenze con cui gli stessi temi del romanzo ellenistico
sono trattati da Petronio, alcuni studiosi (per primo l'Heinze) hanno sostenuto la tesi di un intento
parodistico di Petronio verso un genere ben conosciuto e popolare.
Appare riduttivo, dunque, cercare di racchiudere l'incredibile varietà del Satyricon in un unico codificato
genere narrativo.
Il Satyricon è spesso considerato come il primo esempio di quello che sarebbe poi diventato, nel tempo, il
romanzo moderno. Una filiazione diretta fra il romanzo antico e il romanzo moderno è a dire il vero
insostenibile, tuttavia è innegabile che la riscoperta dei frammenti superstiti di quest'opera ebbe, dopo il
Rinascimento, un influsso sulla narrativa occidentale.
Va però aggiunto che tale influsso fu limitato dal tema del romanzo, che fra le altre cose affronta il culto
di Priapo, con descrizioni di amori e accoppiamenti sia eterosessuali che omosessuali (anzi, addirittura
pederastici). Ciò diede a lungo a quest'opera una fama (in gran parte immeritata) di dissolutezza e
peccato, che ne limitò la diffusione. Viceversa, in tempi moderni, la lettura di questo scritto quale "opera
erotica" che tratta di orge e dissolutezze (una lettura popolarizzata dal film che ne è stato tratto), può
avere giovato alla notorietà del titolo dell'opera, ma non certo alla conoscenza del suo reale contenuto.
Disinteresse per il presente e mancanza di
prospettive per il futuro …
Il termine
Il termine, nel greco classico, designa la
negligenza, l'indifferenza, la mancanza di cure e
di interesse per una cosa. Designa inoltre
l'abbattimento, lo scoraggiamento, la
prostrazione, la stanchezza, la noia e la
depressione dell'uomo di fronte alla vita.
É lo smarrimento estremo: si produce uno stato
d'animo che intacca e rischia di disorientare tutto
ciò che raggiunge.
Due conseguenze tipiche sono l'instabilità e il
disprezzo per gli impegni della propria vita.
L'uomo non padroneggia più la vita; le vicende lo
avviluppano inestricabili, ed egli non sa più
vederci chiaro. Non sa più come cavarsela in
determinate vicende della propria esistenza; e il
compito a lui affidato gli si erge davanti
insuperabile, come la parete di una montagna.
Una vita ricca e attiva,un sentire dolente
Arthur Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio del 1788 da una ricca famiglia borghese e
morì a Francoforte nel 1860. Suo padre era un bravo mercante che era riuscito ad accrescere il già
cospicuo patrimonio familiare. Questa florida condizione economica consentì al giovane
Schopenhauer di viaggiare molto e conoscere ambienti stimolanti sul piano umano e culturale. Egli
dunque ebbe modo di conoscere il cuore vivo e pulsante dell'Europa, però, questa esperienza
eccezionale non lo indirizzò, come era prevedibile,verso i traffici e i commerci, ma servì solo ad
aggravare la sua tendenza a chiudersi in se stesso e a nutrire una visione pessimistica della vita. I
temi dominanti delle sue meditazioni giovanili sono infatti quelli della morte e dell'eternità, dello
smarrimento di fronte alla grandiosa maestà della natura.
Il rifiuto totale della vita
E' in questi anni di studio e di meditazione, che egli avvertì il bisogno di far chiarezza sul proprio
sentimento di insoddisfazione esistenziale e di distacco dalle ordinarie preoccupazioni della vita.
Schopenhauer giunse a un rifiuto totale della vita. Intraprese allora anche lo studio della filosofia.
Platone lo appassionò perché rispondeva alle esigenze del suo animo, specie nel desiderio di
evadere dalla prigione del mondo sensibile per sollevarsi al mondo delle idee; e lo stesso si dica per
Kant, il filosofo che Schopenhauer ebbe sempre come punto di riferimento privilegiato. In Kant
egli trovava una lucida critica al realismo, cioè alla credenza che le cose abbiano una realtà e un
significato indipendenti dal soggetto, e in particolare l'affermazione che la mente dell'uomo avverte
il bisogno di andare oltre il mondo mutevole e incerto dei fenomeni per raggiungere la "cosa in sé" ,
vale a dire l'essenza profonda delle cose. Su questo punto tra i due non c'è accordo, infatti mentre
per Kant la "cosa in sé" è soltanto pensabile, un concetto non raggiungibile; per Schopenhauer essa
si può conquistare con il faticoso processo di chiarificazione interiore che il saggio o il filosofo
possono percorrere.
Che cos'è il mondo?
Nel 1818 Schopenhauer pubblicò il suo capolavoro, il mondo come volontà e rappresentazione,che
avrebbe dovuto diffondere la sua verità nel mondo vile e meschino della filosofia tedesca, ma che
non ebbe alcun successo.
Alla domanda <Che cos'è il mondo?> Schopenhauer risponde ponendosi da una duplice
prospettiva: da un lato la prospettiva della rappresentazione intellettuale o, meglio, della scienza; e
dall'altro quella della volontà.
I due punti di vista mettono capo a due soluzioni differenti. Secondo quella della conoscenza il
mondo è una mia rappresentazione; secondo l'altro, il mondo è volontà di vivere, un impeto cieco e
tenace che coinvolge tutti gli esseri e li condanna alla sofferenza: il volere, infatti, coincide con il
dolore perché è costituito dalla tensione continua, dalla ricerca senza sosta di un piacere che non si
potrà mai appagare completamente.
Il mondo come rappresentazione
Il capolavoro di Schopenhauer si apre con l'affermazione secondo cui << il mondo è una mia
rappresentazione>>: una verità che riguarda tutti gli esseri viventi, anche se solo l'uomo è capace di
assumerla nella sua coscienza e di pensarla. Questa è una verità certa, assoluta ed evidente, tanto
che non ha neppure bisogno di essere provata. Dire che il mondo è una mia rappresentazione
significa avere la consapevolezza che io non conosco realmente che cosa siano in sé il sole o la
terra; ma soltanto di avere un occhio che vede il sole ed una mano che sente il contatto con la terra.
Il mondo è una mia rappresentazione, sogno e illusioni espressi nella metafora
del "velo di Maya". La rappresentazione ci dà soltanto fenomeni, cioè apparenza e illusione:
qualcosa di analogo a ciò che l'antica mitologia indiana chiamava appunto "il velo di Maya", cioè
quel velo che, coprendo il volto delle cose, cela all'uomo la vera essenza del mondo.
La rappresentazione e le forme a priori della conoscenza
Schopenhauer dice molto chiaramente che la rappresentazione, cioè la conoscenza intellettuale o la
scienza, è solo un modo di guardare le cose nel loro apparire, dall'esterno, restando sempre alla
superficie della realtà, senza riuscire a capire che cosa ci sia al di là di questa parvenza. Dunque la
rappresentazione ci mostra un continuo fluire di immagini o, in termini filosofici, di fenomeni, cioè
cose che appaiono.
La realtà quindi è solo un insieme di rappresentazioni, di fenomeni e al soggetto spetta il compito di
organizzarli. Questo gli è possibile attraverso le forme spazio temporali della sensibilità e la
categoria di casualità.
Lo spazio e il tempo sono forme a priori della rappresentazione. Ogni nostra percezione le