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Introduzione Obsolescenza programmata, tesina
Il tema che ho deciso di trattare nella mia tesina di maturità riguarda una delle cause meno conosciute del consumismo: “L’obsolescenza programmata”. Questo fenomeno è a sua volta derivante dall’obsolescenza, ossia l’invecchiamento di un bene causato dal progresso, ma in questa circostanza il logoramento è prodotto artificialmente, inducendo i consumatori ad acquistare prodotti dalla durata già prestabilita. Ho reputato interessante analizzarlo poiché vedo nel consumismo un’ideologia che omologa le masse, un’incontrollata corsa alla perdita di personalità e d’identità, un costruttore di nuovi valori inebrianti, come il materialismo, uno sfruttamento degli individui e delle risorse naturali da parte dell’imprenditoria e dei detentori del benessere. Ho voluto pertanto approfondire l’argomento ricercandone la storia, le cause, le ragioni e le conseguenze, i metodi per contrastarlo ed evitarlo. Ho cercato di individuare delle correlazioni tra le materie del mio percorso di studio e l’obsolescenza programmata all'interno della mia tesina.
Per Economia Aziendale “l’ammortamento dei beni a lungo ciclo di utilizzo” considerando che questi ultimi non riescono ad arrivare al termine dell’ammortamento prefissato a causa dell'obsolescenza. Per Storia ho preso spunto dal pensiero dell’imprenditore, Bernard London, il quale sosteneva che l’unico modo per uscire dalla crisi del ’29 era ricorrere all’obsolescenza programmata. Per Inglese ho scelto il “Marketing and advertising” per spiegare in cosa consiste la pubblicità, ossia l’obsolescenza programmata psicologicamente. Per Diritto ho analizzato la proposta di legge dall’On. Luigi Lacquaniti di Sinistra Ecologia Libertà che si pone obiettivi per contrastare l'obsolescenza programmata. Per Informatica ho inserito l'argomento del Trashware, una delle soluzioni per difendersi dall'obsolescenza programmata, perché attraverso il riciclo di computer divenuti obsoleti e quindi destinati alla discarica, si diminuisce la produzione di rifiuti. Per Letteratura italiana ho collegato il tema del consumismo presente nell’opera di uno dei più controversi intellettuali del nostro tempo: Pier Paolo Pasolini, che gli agli inizi degli anni ’70, analizzava con grande lucidità le devastanti conseguenze del consumismo sulla società moderna.
Collegamenti
Obsolescenza programmata, tesina
Italiano: Pier Paolo Pasolini.
Diritto: Proposta di legge .
Storia: Crisi del '29.
Economia Aziendale: Ammortamento.
Inglese: Marketing and Advertising.
Informatica: Consumismo informatico e Trashware.
rifiuto della tradizione sia della promozione del progresso e del cambiamento e
i consumatori hanno sempre più accettato questo in ogni aspetto della propria
vita.
La qualità dei prodotti che compriamo non è sempre pari alle attese, gli
elettrodomestici si rompono, i computer si bloccano, sulle automobili bisogna
continuamente cambiare le parti usurate che in genere sono così costose da far
ritenere più conveniente l’acquisto di un nuovo modello. Ammettendo di
trovare un pezzo di ricambio e un riparatore, molto spesso è più conveniente
acquistare un prodotto nuovo anziché riparare quello vecchio. Quasi sempre i
problemi arrivano dopo la scadenza della garanzia.
Secondo alcuni studiosi, tutto questo non accade per
caso ma è il frutto di una consapevole strategia
industriale di “obsolescenza programmata”: la
chiamano così i teorici delle moderne società
industriali, dove l’equilibrio è garantito soltanto da un
frenetico sviluppo a sua volta possibile con una
continua crescita dei consumi. Il fenomeno è studiato
da anni dagli economisti. Serge Latouche, francese,
economista, filosofo e teorico della decrescita felice, ha
prodotto un saggio, nel 2013, intitolato “Usa e getta - le
follie dell’obsolescenza programmata”, in cui spiega
che non è un caso se i prodotti, specialmente quelli
elettronici come il cellulare, il televisore, il pc o la lavatrice si rompono allo
scadere della garanzia, né che la stampante si blocca dopo un determinato
numero di stampe: tutto ciò ha un nome: “obsolescenza programmata”.
Nell’economia industriale l’obsolescenza programmata è una politica volta a
definire il ciclo vitale di un prodotto in modo da renderne limitata la vita utile,
accade anche che i guasti sono in parte dovuti alla proliferazione di accessori
che, quando si guastano, bloccano completamente il funzionamento delle
macchine (come nel caso citato della batteria dell’iPod, il guasto di un
accessorio è l’occasione per spingere a un nuovo acquisto). Si tratta di una
tecnica di scadenza degli oggetti indotta arbitrariamente e intenzionalmente,
una precisa strategia economica e commerciale. Il prodotto diventa così
inservibile dopo un certo tempo, oppure semplicemente “fuori moda", in modo
da giustificare l'entrata nel mercato di un modello nuovo. L'obsolescenza
programmata che designer, progettisti e pubblicitari preferiscono definire “ciclo
di vita del prodotto”, ha dei benefici esclusivamente per il produttore perché,
per ottenere un uso continuativo del prodotto, il consumatore è obbligato ad
acquistarne uno nuovo e a gettare via quello ormai antiquato o guasto non
convenientemente riparabile. Il punto di partenza dell’obsolescenza
programmata è la dipendenza del nostro sistema produttivo dalla crescita. La
società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’accumulazione
illimitata. Che lo vogliamo o no, siamo condannati a produrre e a consumare
sempre di più.
“Con l’obsolescenza programmata, la società della crescita ha in mano l’arma
assoluta del consumismo. Si può resistere alla pubblicità, rifiutarsi di contrarre un
prestito, ma si è disarmati di fronte al deperimento tecnico dei prodotti.” (Serge
Latouche, Usa e getta - le follie dell’obsolescenza programmata)
1.2. STORIA
DELL’OBSOLESCENZA
PROGRAMMATA
Uno dei primi esempi di obsolescenza
programmata furono le lampadine.
Costruite inizialmente per durare, ben
presto le industrie si resero conto che vendevano poco e avevano bisogno di
aumentare le vendite. Stipularono, quindi, il “patto delle 1000 ore”. Il cartello
Phoebus, chiamato anche patto delle 1000 ore, fu un accordo segreto tra i
principali produttori europei e statunitensi di lampadine, costituito a Ginevra il
23 dicembre 1924 con un termine ideale per il 1955, per mantenere una
posizione di assoluto predominio nel mercato internazionale e un controllo della
produzione e vendita di lampadine. All'epoca esistevano diversi tipi non
standardizzati di lampadine, per forma, incastro, tensione, potenza e
luminosità: i produttori del cartello s’imposero uno standard tecnico, primo
caso nella storia della tecnologia, per omologare la produzione dei mercati
europei e americani; imposero un limite di 1000 ore di durata per ogni
lampadina. Il nome del cartello deriva dalla società di Ginevra “Phoebus S. A.
Compagnie Industrielle pour le Développement de l'Éclairage”. La costituzione
del cartello è considerata un importante passo nella storia dell’economia e
dell'obsolescenza programmata, poiché si è trattato del primo cartello a livello
mondiale e del primo caso in cui un gruppo di aziende decise di accorciare
deliberatamente la durata di vita di un prodotto per far aumentare le vendite e
i guadagni. Nonostante il processo intentato nel 1942 e la condanna, l’accordo
non fu mai cancellato.
Dopo la grande depressione del 1929, l'industria statunitense allargò il
concetto di “obsolescenza programmata", termine che cominciò a far capolino
all'inizio degli anni Trenta.
Bernard London, mediatore immobiliare, intorno al 1932 in un articolo
“Ending the DepressionThrough Planned Obsolescence
intitolato ”, [uscire dalla
depressione attraverso l’obsolescenza pianificata] rifletteva sulle strategie e
sulle politiche da adottare per uscire dallo stallo dei consumi in seguito alla
grande depressione del ’29 e per evitare che crisi dello stesso genere
potessero verificarsi periodicamente. London osservava che nel periodo di
prosperità anteriore alla grande crisi la gente non aspettava di sfruttare fino
all’ultima capacità residua i prodotti ma sostituiva gli oggetti anche prima che
smettessero di funzionare perché vecchi o fuori moda. Durante la successiva
depressione economica, continuavano ad utilizzare i loro vecchi prodotti per un
periodo superiore a quello stimato dagli esperti e, così facendo, non
contribuivano a aumentare gli acquisti e ad accelerare l’uscita degli Stati Uniti
dalla crisi.
“Se possiamo affondare una nave per la cui costruzione abbiamo investito milioni di
dollari col solo scopo di aumentare l’esperienza di un artificiere, allora sicuramente
possiamo permetterci di distruggere prodotti vecchi ed obsoleti con lo scopo di creare
lavoro per milioni di persone e spingere la nazione fuori dalla catastrofe nella quale si
trova attualmente”
Questo era ciò che London affermava; sosteneva che l’unica via per
rivitalizzare l’economia dopo il crollo del 1929 era incentivare i consumi e
propose di rendere obbligatoria l’obsolescenza programmata imponendo per
legge una scadenza per i prodotti di consumo. Questa legge dell’obsolescenza,
disattesa all’indomani del ’29, richiedeva un progetto ben preciso sul quale
poggiarsi e da cui trarre sostegno. Secondo tale progetto i governi avrebbero
dovuto assegnare un “tempo di vita” a ogni prodotto nel momento in cui questi
venivano realizzati e sarebbero quindi stati usati nei termini definiti e
conosciuti da tutti. Trascorso questo periodo le cose sarebbero legalmente
“morte” e distrutte in modo tale da immettere costantemente nuovi prodotti
sul mercato per sostituire quelli obsoleti. È chiaro che London pensasse
soprattutto a risolvere la piaga della disoccupazione, e il suo progetto va
interpretato come un modo per alimentare costantemente le attività delle
industrie e dunque stimolare la domanda di lavoro all’epoca in cui il settore
dell’industria era quello che assicurava la stragrande maggioranza dei posti di
lavoro. Tuttavia egli introduceva un concetto estremamente attuale che non
può non richiamare alla mente gli odierni processi di sviluppo e innovazione
delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Nel 1940 il colosso chimico DuPont de Nemours lanciò sul mercato una
nuova fibra sintetica dalla straordinaria robustezza, alla quale avevano lavorato
molti ingegneri: il nylon. All’inizio ci fu un boom per le vendite di calze da
donna in nylon, ma poi calarono in maniera vistosa poiché erano molto, forse
troppo resistenti. Gli ingegneri della fabbrica furono incaricati di modificare il
prodotto e renderlo più fragile per poter continuare a vendere, come era già
successo precedentemente con le lampadine, rendendo le calze più fragili e più
soggette a rottura. Tra ricercatori e ingegneri nacque anche il “dilemma
morale”, dopo aver passato tempo a studiare soluzioni per prolungare la durata
e resistenza dei loro prodotti, erano ora costretti da nuove leggi di mercato a
percorrere la strada opposta, inventando un modo per predeterminarne la
morte.
1.3. OBSOLESCENZA PSICOLOGICA
La forma più raffinata di obsolescenza che si sia sviluppata è, ad ogni modo,
quella indotta dalla desiderabilità e dalla moda “l’obsolescenza psicologica”,
ossia quando i produttori comprendono che i consumatori sono disposti a
spendere non solo per il miglioramento ma anche per lo stile e il design degli
oggetti, e mutano pertanto le loro strategie in modo tale da stimolare un
consumo ripetuto del prodotto rendendolo di volta in volta più desiderabile. In
questo caso di obsolescenza, il prodotto funziona ancora benissimo, non è
scaduto o scadente, ma viene inculcata nelle menti l’esigenza di cambiarlo,
rottamarlo, sostituirlo perché fuori moda. Con la pubblicità si suscitano nuovi
bisogni, pseudo bisogni, fatti percepire però come particolarmente urgenti.
Rendere le cose fuori moda è la caratteristica chiave dell’obsolescenza
psicologica.
Già nel 1923, con il lancio della Chevrolet da parte della General Motors in
concorrenza con la Ford, ci fu un inizio di obsolescenza psicologica o dinamica;
tecnicamente il prodotto non era migliore, ma tutto stava nel look. Si trattava
di manipolare il consumatore con la pubblicità per convincerlo a cambiare
modello ogni due o tre anni.
Nel 1954, un grande designer americano, Brooks Stevens, durante una
convention di operatori pubblicitari mise a fuoco perfettamente l’aspetto di
seduzione che doveva essere trasmesso al consumatore, non più obbligato a
comprare, ma indirizzato e convinto. “Nuovo” diventava automaticamente
sinonimo di “migliore”. La bellezza fu un fattore che irruppe prepotentemente
nell’industria e nel marketing e poté sprigionarsi a partire dallo sviluppo
portentoso del secondo dopoguerra. Da allora entrarono in gioco i pubblicitari
che, servendosi di ricerche, indagini e scoperte intorno ai meccanismi
psicologici che muovono all’acquisto,
stimolano i bisogni psicologicamente
tramite pubblicità, annunci televisivi e
radiofonici. I mezzi di comunicazione di
massa offrono metodi eccellenti per la
promozione pubblicitaria. Grazie ai nuovi
strumenti tecnologici, alle scoperte nel
campo del comportamento, della
psicologia cognitiva e delle neuroscienze, essi sanno cosa ha effetto su di noi
molto meglio di quanto noi stessi possiamo immaginare, mettono in luce le
paure più nascoste, i sogni e i desideri; ripercorrono le tracce che lasciamo ogni
volta che usiamo una tessera fedeltà o la carta di credito al supermercato.
Sanno cosa ci ispira, ci spaventa e cosa ci seduce e, alla fine, usano queste
informazioni per celare la verità, manipolarci mentalmente e persuaderci a
comprare. “The Ridde Persuaders - I persuasori occulti
Vance Packard, nel suo libro ” ha
per primo rivelato come i pubblicitari manipolassero i potenziali compratori con
le loro tecniche, in parte anche subliminali, per trasformare i consumatori in
esseri “voraci, spreconi, compulsivi” già nel 1957, svelando le tecniche di
massa utilizzate dall’industria pubblicitaria per manipolare e orientare le scelte
dei consumatori. Lo sforzo della pubblicità è di presentare i prodotti
dell’industria come mezzi per ottenere gli oggetti del desiderio o i loro sostituti.
La pubblicità ha come missione di farci desiderare quello che non abbiamo e di
farci disprezzare quello di cui disponiamo.
“Il sistema pubblicitario s’impadronisce delle strade, invade gli spazi collettivi, si
appropria delle città, delle piazze, dei mezzi di trasporto, delle stazioni, degli stadi,