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problema del significato dell’indagine scientifica: l’obiettivo principale era rendere più rigoroso il
metodo scientifico, affermando la necessità che una teoria rendesse conto dei dati sperimentali e al
contempo imponendo di non addentrarsi in congetture o asserzioni non direttamente verificabili,
affinché non si sfociasse illegittimamente in campi poco seri. Tale linea di pensiero ha dato origine
attorno al 1920 al “positivismo logico”, nato nel cosiddetto circolo di Vienna ad opera di Moritz Schlick
e che poté vantare tra i suoi massimi ispiratori Mach, Russell e Wittgenstein. L’assunzione positivista
venne da loro arricchita – sulla base dei rilevanti sviluppi dei sistemi logici formali ottenuti in quegli
anni - dalla necessità del rigore logico assoluto nell’argomentare. I veri cardini della conoscenza
divennero la verificabilità e la deducibilità logica da premesse verificabili, vale a dire le tautologie. In
tale ottica le asserzioni metafisiche, etiche, estetiche e teologiche, non possedendo tali caratteristiche,
non presentano alcun senso dal punto di vista della conoscenza, ma hanno unicamente un significato
emotivo. Il solo compito della filosofia fu ridotto all’analisi delle sue affermazioni - linguistiche, non
fattuali - alla luce dei principi della logica. All’interno di tale orizzonte si inseriscono le ricerche di
Bertrand Russell, il quale, dopo essersi reso noto con i suoi Principia Mathematica, si dedica allo
studio dei meccanismi di funzionamento del linguaggio; i risultati da lui raggiunti lo hanno reso
meritorio del riconoscimento di “padre” della filosofia analitica: presupposto basilare di tale corrente è
che la filosofia è essenzialmente analisi del linguaggio e dei suoi usi quotidiani, scientifici e filosofici,
tanto che l’analisi filosofica può “curare” linguaggio e filosofia; è dunque possibile spostarsi dall’analisi
del linguaggio a quella della mente.
Le antinomie di Russell e la crisi del logicismo
Cenni biografici sull’autore
Bertrand Arthur William Russell (Fig. 1), nasce in Galles nel 1872 da una famiglia aristocratica. Dopo aver
studiato filosofia e logica a Cambridge, ottiene numerosi incarichi presso le più
prestigiose università del mondo e nel 1927 fonda con la seconda moglie la scuola
sperimentale di Beacon Hill. Durante questi anni egli si dedica anche alla
pubblicazione di opere teoriche e testi divulgativi di fisica, etica ed educazione: negli
anni 1910-1913 egli si dedica, assieme a Alfred Whitehead, alla sistematizzazione
delle basi della matematica a partire da un insieme definito di assiomi e di regole
logiche, nell’intento di risolvere alcune antinomie emerse dalla teoria logica esposta
nei Principi di Matematica (1903). Nel 1950 verrà insignito del Premio Nobel per la
Letteratura. Alla sua morte, sopraggiunta nel 1970, egli era universalmente
considerato un profeta della vita creativa e razionale, oltre che una delle voci più Figura 1: Bertrand Russell
autorevoli nel campo della morale e dell’etica, in seguito alla sua presa di posizioni
contro le armi nucleari e la guerra in Vietnam.
Il paradosso di Russell
Il logicismo russelliano si caratterizza per la sua impostazione realistica e per l’identificazione con la
matematica, dal momento che la logica viene assunta come guida o disciplina intrinseca della stessa. La
logica consiste di tre parti:
Il calcolo delle proposizioni, che studia le relazioni di implicazione materiale tra le proposizioni.
o Un’implicazione materiale è vera se (almeno) la conclusione è vera; essa contrasta con la comune
nozione che si ha del ragionamento deduttivo, inteso come una connessione intrinseca delle
proposizioni che lo costituiscono: le proposizioni false implicano tutte le proposizioni, mentre le
proposizioni vere sono implicate da tutte le proposizioni; inoltre tra due proposizioni qualsiasi ce ne
sarà sempre una che implica l’altra
Il calcolo delle classi, ove viene distinta la “classe” dal “concetto-classe” o “predicato” con cui essa
o viene definita: così gli “uomini” sono una classe, mentre l’”uomo” è un concetto-classe. Dei due aspetti
da sempre considerati dalla logica, l’estensione e l’intensione, il primo, cui appartiene la classe, è
ritenuto il più importante. La matematica simbolica, pur non potendo prescindere completamente dai
concetti-classe e dall’intensione, ricorre in massima parte alla forma estensionale.
Il calcolo delle relazioni si fonda sull’idea che il ragionamento matematico discuta prevalentemente di
o tale argomento. Esso si distingue nettamente dalla vecchia logica, la quale considerava una sola
forma di proposizione, ovvero quella che risulta da un soggetto e da un predicato, ed era fondata sul
presupposto metafisico che non esistano in realtà altro che cose e loro qualità. La nuova logica
prende a suo fondamento le proposizioni che indicano una relazione e nega che le relazioni si
possano ridurre a qualità di una cosa. Nella teoria generale delle relazioni si identificano matematica e
logica: su questa base e utilizzando il principio dell’induzione matematica , Russell riesce a realizzare
completamente la riduzione della matematica alla logica.
Non trascorse molto tempo, tuttavia, che lo stesso Russell si rese conto che la sua teoria delle classi celava
una contraddizione: la classe di tutte le classi che non contengono se stesse come elemento contiene o non
contiene se stessa come elemento? Se essa contiene se stessa, conterrà una classe che contiene se stessa
come elemento e perciò non sarà “la classe delle classi che non contengono se stesse come elementi”; se
essa non contiene se stessa, rientrerà proprio fra le classi che non contengono se stesse come elementi e
dovrà pertanto contenere se stessa.
Il problema fu esposto dallo stesso Russell anche in modo intuitivo, formulando il cosiddetto “paradosso del
barbiere”: si dividano le persone di un villaggio fra quelle che si radono da sole, e quelle che vanno invece dal
barbiere. Chi raderebbe un barbiere che rade tutte e sole le persone che non radono se stesse?
Tale antinomia scaturisce dal suo essere autoreferenziale o riflessiva: ciò significa che, quando si considera
una totalità di x, la totalità stessa sia inclusa fra gli x e sia un altro x.
Per rispondere al problema Russell elaborò la “teoria dei tipi”, secondo la quale si devono distinguere concetti
di tipo “zero” - i concetti individuali, cioè i nomi propri -, concetti di tipo “uno” – le proprietà di determinati
individui -, concetti di tipo due – proprietà di proprietà – e così via. Egli fornì dunque la regola cui attenersi per
evitare l’antinomia: un concetto non può mai fungere da predicato in una proposizione il cui soggetto si di tipo
uguale o maggiore del concetto stesso.
Dopo Russell, la trattazione delle antinomie è rimasta al centro degli interessi dei logici contemporanei;
secondo quanto ha proposto Ramsey, ne sono distinguibili due tipi:
Le antinomie logiche, esemplificate dal paradosso di Russell e non facenti riferimento alla verità o
o falsità delle espressioni; per poterle risolvere, è sufficiente applicare la teoria dei tipi
Le antinomie sintattiche (altrimenti dette semantiche o epistemologiche), esemplificate dal paradosso
o del mentitore; esse vengono superate applicando la distinzione dei livelli di linguaggio proposta da
Tarski, la quale consente di ritenere che una data proposizione possa considerarsi vera ad un certo
livello e falsa ad un altro
Pur riuscendo a superare questa ed altre aporie insite nei Principia Mathematica, il progetto di Russell e
Whitehead naufragherà miseramente di fronte ai teoremi di incompletezza elaborati da Kurt Gödel, il quale nel
1931 dimostrò che un sistema matematico sufficientemente espressivo e non contraddittorio non può
esprimere la propria verità; in altre parole, un enunciato relativo alla non-contraddittorietà di un qualsivoglia
sistema logico o matematico è, all’interno del sistema stesso, indecidibile, in quanto non può essere
dimostrato né come vero, né come falso, facendo riferimento alle proposizioni del sistema. In base a tale
dimostrazione, la fondazione dei sistemi formali si rivelò essere, di fatto, impossibile. Se Gödel rifiutò l’ipotesi
di fondare sul più semplice il più complesso – vale a dire sull’aritmetica elementare l’intera matematica -, non
escluse altre forme di giustificazione: la scienza va considerata come un insieme di teorie reciprocamente
correlate in un processo circolare, non come un albero che trae nutrimento dalle radici della logica.
Interessante, a tal proposito, è l’implicazione che la teoria di Gödel ha sul piano metafisico-esistenziale, messa
in luce da Hofstadter: quando tentiamo di immaginare la nostra non esistenza, dobbiamo tentare di uscire da
noi stessi, rappresentandoci in qualcun altro. È illusorio, tuttavia, credere che si possa introdurre dentro di noi
una visione di noi stessi presa da un punto di vista esterno.
Il gatto di Schrödinger mette in fuga il topo della fisica classica
Cenni biografici sull’autore
Erwin Schrödinger (Fig. 2) nasce nel 1887 a Vienna, città in cui ventitré anni dopo si laurea in Fisica. Dopo
esser stato abilitato all’insegnamento universitario, si vede costretto ad abbandonare l’attività sperimentale e a
partecipare come ufficiale di artiglieria da fortezza al primo conflitto mondiale. Tra il
1925 e il 1926, mentre è professore all’università di Zurigo, fonda le teorie della
meccanica ondulatoria, che lo renderanno noto a livello internazionale. Il suo
contributo fondamentale alla fisica quantistica è l’equazione che porta il suo nome,
relativa alla dinamica dei sistemi quantistici, per la quale ricevette il Nobel nel
1933.
Costretto a continui spostamenti a causa dell’”inaffidabilità politica” decretata dallo
stato austriaco, divenuto alleato della Germania nazista, trascorre diciassette anni
a Dublino, ove dà vita ad una fiorente scuola di fisica teorica. Nel 1955 fa ritorno a
Vienna, ove gli era stata nuovamente offerta la cattedra universitaria ed ottiene la
carica di professore emerito. Erwin Schrödinger morirà nel suo appartamento
Figura 2: Erwin Schrödinger
viennese nel 1961, accompagnato da segni di lutto profondo da parte di tutta la comunità scientifica.
Il paradosso del gatto
L’esempio è stato ideato per mettere in luce le difficoltà a comprendere il rapporto tra mondo microscopico e
macroscopico, dal momento che nel primo vige la sovrapposizione quantistica degli stati, mentre il secondo
sembrerebbe reggersi sui principi della meccanica classica.
In un lungo e profondo articolo lo scienziato considera un processo fisico ideale, da egli stesso così illustrato:
“Risulta perfino possibile considerare dei casi divertenti. Un gatto è posto all’interno di una camera d’acciaio
assieme al seguente diabolico marchingegno: in un contatore Geiger c’è una piccola quantità di una sostanza
radioattiva, in modo tale che forse nell’intervallo di un’ora uno degli atomi decadrà, ma anche, con eguale
probabilità nessuno subirà questo processo; se l’atomo il contatore genera una scarica e attraverso un relay
libera un martello che frantuma un piccolo recipiente di vetro contenente dell’acido prussico. Se l’intero
sistema è rimasto isolato per un’ora, si può dire che il gatto è ancora vivo se nel frattempo nessun atomo ha
subìto un processo di decadimento. Il primo decadimento l’avrebbe avvelenato. La funzione d’onda del
sistema completo esprimerà questo fatto per mezzo della combinazione di due termini che si riferiscono al
gatto vivo e al gatto morto (perdonatemi l’espressione), due situazioni mescolate o sfumate in parti uguali”.
Secondo Schrödinger, dunque, non è possibile asserire che il gatto è o vivo o morto: questa compresenza di
potenzialità incompatibili si può eliminare solo eseguendo un’osservazione. Nella versione ortodossa della