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Che cos'è un paradosso? Una smagliatura di assurdità nel tessuto della conoscenza o un eccentrico oggetto mentale che si diverte a mettere in discussione la realtà , o ciò che la nostra mente "crede" tale? È un lusso per le persone di spirito o un meccanismo sofisticato che ha lo scopo di ribaltare la verità ? È un'affermazione formulata in contraddizione con i principi elementari della logica, che, tuttavia sottoposta a rigorosa critica, si dimostra valida o è un inganno? È un passatempo intellettuale, un'illusione visiva, un anello semantico, un ossimoro sottile, una provocazione?
I paradossi sono quasi sempre pure e semplici verità e il tempo, come è stato scritto, si diverte a sollevare i lembi del grande velo che li nasconde.
Uscito dai recinti della logica, della filosofia, dei teoremi, il paradosso ha camminato con l'uomo, si è materializzato nell'arte, manifestato nella musica, rifugiato nelle pagine di letteratura, mutando nei secoli nomi e contenuti, passando dai paralogismi greci, agli "insolubilia" medievali per arrivare alle antinomie moderne, all'oltre l'opinione corrente.
Materie trattate: Logica, Fisica, Letteratura Inglese, Filosofia, Storia dell'Arte
DALLA TARTARUGA AI QUANTI
La storia del ragionamento paradossale si può dividere in tre grandi momenti. Il primo ci
rimanda all'antica Grecia, dal V al II secolo a.C., periodo in cui vennero formulati il
paradosso del mentitore e quello, ben più noto, di Zenone.
Dopo una battuta d'arresto segnata dall'era cristiana, grazie alla riscoperta dei classici da
parte della scolastica, si ebbe una ritrovato interesse per i "problemi insolubili" che portò i
suoi frutti nel Rinascimento. È di questi anni la pubblicazione di oltre cinquecento raccolte
di paradossi da quelli scientifici a quelli letterari.
La terza fase ebbe inizio nella metà dell'Ottocento e dura tuttora. Grazie al processo di
formalizzazione della matematica e della logica, il paradosso ha visto riconsiderato il suo
ruolo in campo scientifico anche se la vera e propria consacrazione è arrivata con gli
sconvolgenti risultati, contrari all'intuizione comune, derivanti dalla teoria della relatività e
dalla meccanica quantistica. A questo va' aggiunto uno spostamento molto più marcato su
aree dell'attività intellettuale come l'arte, la musica, la psicologia, che lo rendono oggetto di
un ritrovato interesse anche da parte dei media.
Figure ambigue, paradossi logici, del tempo, della probabilità, della prospettiva, illusioni
ottiche hanno tolto la scena alla vecchia tartaruga e al pelide Achille e i triangoli di Penrose,
i disegni di Escher o le suggestive prospettive delle figure impossibili di Reutersvard
campeggiano su testi scientifici, poster, calendari, copertine.
L'approccio a questi tipi di paradossi, detti percettivi, spesso si ferma alla sola suggestione
visiva, ma in presenza di paradossi logici il problema si fa più complicato.
Il paradosso del mentitore è il più antico e il più importante tra tutti i paradossi logici. Esso è
attribuito ad Epimenide di Creta e nella formulazione originaria consiste nell’affermazione
di un cretese: "Tutti i cretesi sono bugiardi".
Essendo Epimenide stesso un cretese e conseguentemente al suo enunciato anche un
bugiardo, la sua affermazione va considerata falsa poiché proviene da una persona che sta
mentendo.
Ma se Epimenide è un cretese che nel momento di formulazione del paradosso dice il vero,
l'affermazione risultata ugualmente falsa poiché NON tutti i cretesi sono bugiardi.
Risulta forzato considerare l'enunciato di Epimenide come un vero e proprio paradosso, in
quanto basta che un solo cretese dica la verità per capire come l'affermazione risulti ad ogni
modo falsa e senza alcuna contraddizione, in quanto NON tutti i cretesi sono bugiardi.
Eubulide di Mileto riformulò il paradosso chiedendo a un bugiardo…: "Menti, quando dici
di mentire?" Se il mentitore risponde "Sì, io mento", allora, non sta mentendo; infatti, se un
mentitore dice di essere un mentitore, dice la verità. D'altra parte, se il mentitore dice: "No,
non sto mentendo", allora è vero che sta mentendo e, di conseguenza, è un mentitore.
Il paradosso del mentitore è stato affrontato con alterne fortune fin dall'antichità da
autorevoli pensatori come Aristotele, Cicerone, San Tommaso, Guglielmo da Ockham che
hanno poi passato il testimone del "rovello" a più recenti filosofi, scienziati e matematici.
Il primo serio tentativo di soluzione si deve al filosofo e matematico inglese Bertrand
Russel che evidenziò come questo tipo di paradosso derivi da una circolarità viziosa dovuta
all'ambiguità propria del linguaggio naturale usato per esprimere le proposizioni.
Si chiede, in sostanza, ad una frase di parlare di se stessa con la conseguente contraddizione
che questo determina.
CHI RADE IL BARBIERE?
A Bertrand Russel si deve il più recente, noto e assai discusso paradosso, detto "del
barbiere" che recita: "Un villaggio ha tra i suoi abitanti un solo barbiere ben sbarbato. Egli
rade tutti - e unicamente - gli uomini del villaggio che non si radono da soli" La domanda è:
"Chi rade il barbiere?".
Se riduciamo questo paradosso ai suoi termini più semplici, ai sui costituenti logici
fondamentali, ci rendiamo conto che abbiamo a che fare con due insiemi di uomini del
villaggio: l'insieme di coloro che si radono da soli e l'insieme di coloro che non si radono da
soli e che quindi si fanno radere dal barbiere.
Come è stato evidenziato da Russel, il paradosso nasce dal problema di stabilire a quale
insieme appartiene il barbiere. In questo caso la difficoltà della risposta nasce da una
1
applicazione logicamente non corretta legata al concetto "primitivo" di insieme che tutti noi
abbiamo.
A prima vista, la composizione degli insiemi in cui definiamo tutti gli abitanti del villaggio,
ci appare logica e coerente con la nostra "intuizione" innata di insieme.
Tuttavia è errato definire come insieme corretto dal punto di vista matematico l'insieme di
chi si fa radere dal barbiere costituito esclusivamente da tutti gli abitanti del villaggio che
non si radono da soli; ovvero si considera il nostro "universo del discorso" (tutti gli abitanti
del villaggio) formato solamente dai 2 insiemi sopra descritti, quello degli uomini che si
radono da soli e quello di chi si fa radere dal barbiere.
A questi va aggiunto l'insieme, costituito dall'elemento "barbiere", che permette di decidere,
per tutti gli abitanti del villaggio, a quale insieme appartengano.
Al tentavo di Russel di voler sistematizzare tutta la matematica in termini di insiemi finiti di
assiomi e di regole di deduzione (Principia Matematica) si contrapporranno le tesi di
Goedel, del 1931 e di Tarski, del 1936.
Nei loro lavori, questi logici dimostreranno che qualunque sistema di assiomi e regole di
deduzione comporta sempre proposizioni delle quali non si può decidere se siano vere o
false.
In sostanza, Goedel lavorò su una variazione del tema del paradosso del mentitore,
modificandolo in modo da farlo diventare un teorema.
Mentre Eubulide aveva detto: "Questa frase non è vera", Goedel considererà: "Questa
formula non è dimostrabile". C'erano, quindi, formule vere dell'aritmetica che non erano
teoremi, cioè enunciati dimostrabili.
1 Primitivo inteso come innato, frutto dell'esperienza comune, astraendo e generalizzando esperienze sensoriali comuni.
CHE FINE HA FATTO IL GATTO DI SCHROEDINGER?
A differenza di altri, quello del "gatto di Schroedinger" è un paradosso che, come altri
paradossi della fisica moderna, o post 1915, (vedi, ad esempio, il ""paradosso dei gemelli di
Einstein") nasce dalla difficoltà e dall'incompletezza di utilizzare concetti derivati dalla
nostra esperienza comune per descrivere fenomeni che la trascendono.
Questi fenomeni, assieme alle leggi fisiche che li descrivono, sono legati a ciò che accade
nel mondo fisico quando le velocità in gioco sono molto più elevate di quelle che
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normalmente sperimentiamo (≈10 m/s, con la relatività ristretta e il su citato paradosso dei
-10
gemelli) o quando gli oggetti che andiamo a descrivere sono molto piccoli (≈10 m) e
-27 kg). In quest'ultimo caso, alla descrizione classica del mondo fisico, a
molto leggeri (≈10
noi tutti ben nota e derivata dalle leggi della meccanica classica di Newton, deve essere
sostituita la così detta descrizione propria della meccanica quantistica.
La meccanica quantistica e le sue "interpretazioni", sono state elaborate a partire dal 1925
dalle più brillanti menti scientifiche del '900, come Schroedinger, Heisenberg, de Broglie e
lo stesso Einstein. Proprio il padre della relatività, pur avendo aperto la strada a tale branca
della fisica moderna (con le sue intuizioni sull'effetto fotoelettrico) di fatto rifiutò sempre
l'interpretazione "ortodossa" della meccanica quantistica, detta anche "della scuola di
2
Copenaghen", ed i fondamenti stessi di tale teoria .
L'interpretazione più diffusa della meccanica quantistica, detta della "scuola di Copenaghen"
si fonda su due assunti fondamentali.
Il primo, derivato delle così dette posizioni filosofiche "strumentaliste", afferma che "lo
scopo e il campo di applicazione della scienza è quello di prevedere i risultati di esperimenti
di misura sui sistemi oggetti di indagine. Si può parlare in termini scientifici solo di ciò che
si può misurare".
Sulla base di tale assunto, quando si descrivono fenomeni su scala sub-microscopica, si può
solo prevedere la PROBABILTA' che una misura su un sistema sub-microscopico dia un
certo risultato.
Ad esempio, ha senso parlare della probabilità di trovare un elettrone in un certo volume di
spazio o misurarne la velocità in un dato intervallo di valori.
Concetti classici come la traiettoria continua di un elettrone nello spazio o la sua velocità
istantanea sono privi di senso e di ragione fisica, in quanto, come conseguenza del
"Principio di indeterminazione" di Heisenberg, NON sono determinabili attraverso anche i
più sofisticati strumenti di misura.
Tale indeterminazione non nasce dai limiti tecnologici degli strumenti che possiamo anche
solo concettualmente immaginare, ma dalla natura stessa del nostro universo e dei
meccanismi di interazione fra oggetto della misura e l'apparto di misura.
Partendo da tale presupposto per poter descrivere i fenomeni sub-microscopici è necessario
introdurre nuovi formalismi matematici, che permettano di determinare la probabilità di
ottenere un certo valore al momento di effettuare le misure di interesse.
Tale formalismi descrivono la probabilità di ottenere un certo dato sperimentale negli
intervalli di valori possibili, nulla di più, nulla di meno.
2 Celebre, a questo proposito, la famosa frase di Einstein: "Non posso credere che Dio giochi a dadi con il mondo".
Il paradosso del "gatto di Schroedinger" fu formulato dall'autore nel 1935, proprio allo
scopo di sondare il sottile meccanismo e le implicazioni connesse con l'operazione di misura
di oggetti sub-microscopici e le loro interazioni con il mondo macroscopico come noi lo
conosciamo: appunto il gatto di Schroedinger e l'osservatore dell'esperimento.
Usiamo le stesse parole dell'autore, che pur essendo tra i fondatori e massimi esponenti della
"scuola di Copenaghen (assieme a Bohr, Heisenberg ed altri famosi fisici, metamerici e
filosofi dell'epoca) non mancò di evidenziare i paradossi che tale interpretazione porta
quando confrontata con i "tradizionali" concetti ricavati dall'esperienza comune. "…Risulta
perfino possibile considerare dei casi divertenti. Un gatto è posto all'interno di una camera
d'acciaio assieme al seguente diabolico marchingegno: in un contatore Geiger c'è una
piccola quantità di una sostanza radioattiva, in modo tale che forse, nell'intervallo di un'ora,
uno degli atomi decadrà, ma anche, con uguale probabilità, nessun atomo subirà questo
processo; se questo accade, il contatore genera una scarica e attraverso un relay libera un
martello che frantuma un piccolo recipiente di vetro che contiene dell'acido prussico. Se
l'intero sistema è rimasto isolato per un'ora, si può dire che il gatto è ancora vivo se nel
frattempo nessun atomo ha subito un processo di decadimento. Il primo decadimento
l'avrebbe, invece, avvelenato. La funzione d'onda (lo strumento matematico con cui, in
meccanica quantistica, si esprime la probabilità di ottenere un certo risultato da un
esperimento di misura) del sistema completo esprimerà questo fatto per mezzo della
combinazione di due termini che si riferiscono al gatto vivo o al gatto morto (perdonatemi
l'espressione), due situazioni mescolate un po' sfumate in parti uguali".
Lo stato finale del diabolico marchingegno ideato da Schroedinger è che esso contiene, fino
a quando non si apre la camera di acciaio, un gatto che dal punto di vista fisico è
"potenzialmente" sia vivo che morto, ma "attualmente" non è né vivo, né morto…
A tutt'oggi, il paradosso del "gatto di Schroedinger" non è stato completamente risolto in
maniera condivisa da tutta la comunità scientifica e filosofica.
Le spiegazioni che negli ultimi anni sembrano ottenere maggior credito possono essere
sintetizzate nel modo seguente: il fenomeno dell'interferenza sugli stati quantistici si applica
al caso di sistemi microscopici ISOLATI.