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Estratto del documento

Introduzione

Nella storia dell’uomo il pane ha sempre

avuto un ruolo di primo piano ed è

diventato sinonimo di cibo, vita e

benessere, dalla nascita fino alla morte.

Ha un posto fondamentale nelle tradizioni

occidentali e orientali come componente

primario dell’alimentazione, in quanto è il

principale fornitore di carboidrati

necessari per il nostro organismo.

Nel Medioevo non era considerato però

solo un alimento, ma anche un servizio da

portata: sulle tavole del tempo, infatti,

non era insolito utilizzarne dei dischi

raffermi, al posto dei tradizionali piatti. Al

termine del pasto, il “piatto” poteva

Per molte generazioni il pane bianco è stato

considerato il cibo delle persone benestanti,

mentre le meno abbienti dovevano

accontentarsi di quello nero, ma, verso la

fine del XX secolo, la scoperta dell’alto

valore nutrizionale del pane integrale

invertì la tendenza. Pagnottelle all’olio

Italiano

Proprio per la sua importanza viene citato spesso in letteratura, per

esempio, nel romanzo “ Vino e Pane”, scritto da Ignazio Silone,

dove l’autore lo mette in evidenza come simbolo di pace e

condivisione, rappresenta un alimento umile, semplice da preparare,

non averlo significava avere fame ed essere in gravi difficoltà

L’autore ha sempre avuto ammirazione per i “ cafoni”: persone

economiche.

povere che parlavano poco, modeste, sagge più per l’esperienza

vissuta, che per l’istruzione avuta, senza traccia di paure e di

servilismo. Continuavano ad accudire personalmente a impegni assai

gravosi, conducevano i carri, guidavano l’aratro, dirigevano la

trebbiatura senza riguardo all’età e all’agiatezza familiare.

Il bisogno di lavorare era per loro una necessità fisica, erano quindi

caratterizzati dalla semplicità, ecco perchè trovavano soddisfazione

nel sapore delle cose vere, semplici, come il pane intinto nel vino:

Cap. 6 – pag. 68:

Il vecchio Magascià era seduto sulla soglia dell’albergo, aveva già mangiato la

minestra, e stava bagnando il pane nel vino.

Cap. 7 – pag. 79:

Don Paolo non era mai stato un ghiottone e a Pietrasecca, d’altronde, non c’era

molto da scegliere per alimentarsi. Il pane bagnato nel vino era la cosa che ancora

gradiva di più.

Cap. 25 – pag. 259:

Sul tavolo la donna aveva messo un tovagliolo pulito e una bottiglia di vino. I due

uomini cenarono in silenzio. Il vino era dell’anno precedente e il pane di quindici

giorni prima.

I due uomini ammollarono il pane nel vino.

La gente si accontentava di poco e il pane veniva considerato

simbolo di fraternità: Cap. 4 – pag. 46:

Da quel giorno il malato ricevette regolarmente a colazione due filoni di pane e una

doppia quantità di vino.

Cap. 29 – pag. 290:

Scese in cucina, prese un filone di pane, una pezza di formaggio e una bottiglia di

vino e li introdusse nel fagotto.

Le persone provavano un gusto diverso se lo potevano mangiare in

compagnia, sia nei momenti di lavoro che d’allegria:

Cap. 11 – pag. 123:

Il frate spezzò il pane e ne diede una parte a Don Paolo.

<< Il pane di grano bagnato nel vino rosso,

non c’è nulla di meglio >> disse il frate.

<< Ma bisogna avere il cuore in pace >> aggiunse sorridendo.

Cap. 12 – pag. 132:

Il giovane cafone tagliò alcune fette di pane di granoturco sminuzzò due pomidori e

una cipolla e offrì al prete un pezzo di pane con condimento.

Cap. 15 – pag. 157:

Davanti alla sua casa sostava un gruppo di muratori seduti per terra, con la

pagnotta, il coltello e peperoni rossi e verdi come companatico.

Cap. 25 – pag. 250:

A mezzogiorno, come solo nutrimento , prendevo un caffè e latte con pane, la sera

una minestra.

Il pane veniva paragonato, dagli stessi contadini, alla vicende che

accompagnavano la loro vita, la loro memoria e la loro terra,

facevano dei paragoni molto semplici ma chiari:

Cap. 15 – pag. 164:

<< Arriva sempre un’età >> egli disse << in cui i giovani trovano insipido il pane e

il vino della propria casa. Essi cercano altrove il loro nutrimento. Il pane e il

vino delle osterie che si trovano nei crocicchi delle grandi strade, possono solo

calmare la loro fame e la loro sete. Ma l’uomo non può vivere tutta la sua vita

nelle osterie >>.

La panificazione era un rituale che veniva eseguito con regole

precise: Cap. 25 – pag. 248:

A Pietrasecca il pane veniva cotto ogni quindici giorni, in un forno collettivo. La

panificazione era un rito con regole severe. La donna teneva avvolti i capelli con

un tovagliolo, come un velo monacale, e passava la farina al setaccio, nella madia

aperta. Separava così la farina bianca dalla crusca e il fiore dalla farina

ordinaria. La crusca serviva per le galline e il maiale, la farina ordinaria per il

pane, il fiore per la pasta.

In questo romanzo Silone tratta delle cose che veramente contano, il

pane assume un significato simbolico doppio: dopo essere stato

seminato, il chicco di grano resta sotto terra per ben nove mesi, il

medesimo tempo impiegato per generare un uomo. Germinando però

si trasforma in spiga che dà vita a numerosi chicchi e per questo

rappresenta la rinascita, la collaborazione e la sacralità

nell’Eucarestia.

Nell’ultima Cena infatti Gesù spezza il pane e lo distribuisce tra i

Cap. 28 – pag. 283:

suoi apostoli consacrandolo come il proprio corpo, con questo gesto

offre se stesso fattosi uomo, ovvero pane per la salvezza eterna.

Il vecchio Murica in piedi, dava da bere e da mangiare agli uomini attorniati.

>> E’ lui >> egli disse << Che mi ha aiutato a seminare, a sarchiare, a mietere, a

trebbiare, a macinare il grano di cui è fatto questo pane. Prendete e mangiate,

quest’è il suo pane.

Il padre versò da bere:

<< E’ lui che mi ha aiutato a potare, sarchiare, insolfare, vendemmiare la vigna

dalla quale viene questo vino. Bevete, quest’è il suo vino >>.

Cap. 28 – pag. 284:

<< Il pane è fatto

da molti chicchi

di grano >> disse Pietro.

Perciò esso significa unità. Il vino è fatto da

molti

acini d’uva, e anch’esso significa unità.

Unità di cose simili,

uguali, utili.

Quindi anche verità e fraternità sono cose

che stanno bene assieme >>.

Cap. 28 – pag. 285:

<< Il pane e il vino della comunione >> disse

un vecchio. << Il grano e l’uva calpestati. Il

corpo e il sangue.

Per fare il pane ci vogliono nove mesi disse il

vecchio Murica.

A novembre il grano è seminato, a luglio

mietuto e trebbiato.

Il vecchio contò i mesi: Novembre, dicembre,

gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio,

giugno, luglio. Fanno giusto nove mesi, da

marzo a novembre. Egli contò i mesi:

Marzo,aprile,maggio,giugno,luglio,agosto,settem

bre,ottobre

novembre. Anch’essi fanno nove mesi. Lo stesso

tempo ci vuole per fare un uomo >>.

Nei periodi di grande carestia e di povertà, quando il pane veniva a

mancare, portava le persone affamate alla disperazione, alle

rivoluzioni e ai saccheggi di negozi e forni.

Tutto questo è descritto anche dallo stesso Alessandro Manzoni nel

suo romanzo “ I Promessi Sposi” dove la gente affamata, nella foga

di portar via la maggior quantità possibile di farina e pani, ne

sperpera una parte per la strada con grande incredulità e meraviglia

Capitolo undicesimo:

da parte di Renzo.

“ Andando avanti, senza saper cosa si pensare, vide per terra certe

strisce bianche e soffici, come di neve; ma neve non poteva essere; che

non viene a strisce, né, per il solito, in quella stagione. Si chinò sur

una di quelle, guardò, toccò, e trovò ch'era farina. «Grand'abbondanza»,

disse tra sé, «ci dev'essere in Milano, se straziano in questa maniera la

grazia di Dio. Ci davan poi ad intendere che la carestia è per tutto.

Ecco come fanno, per tener quieta la povera gente di campagna». Ma, dopo

pochi altri passi, arrivato a fianco della colonna, vide, appiè di

quella, qualcosa di più strano; vide sugli scalini del piedestallo certe

cose sparse, che certamente non eran ciottoli, e se fossero state sul

banco d'un fornaio, non si sarebbe esitato un momento a chiamarli pani.

[…] Ma Renzo non ardiva creder così presto a' suoi occhi; perché,

diamine! non era luogo da pani quello. «Vediamo un po' che affare è

questo», disse ancora tra sé; andò verso la colonna, si chinò, ne

raccolse uno: era veramente un pan tondo, bianchissimo, di quelli che

Renzo non era solito mangiarne che nelle solennità. […]Appena mosso, vide

spuntar gente che veniva dall'interno della città, e guardò attentamente

quelli che apparivano i primi. Erano un uomo, una donna e, qualche passo

indietro, un ragazzotto; tutt'e tre con un carico addosso, che pareva

superiore alle loro forze, e tutt'e tre in una figura strana.I vestiti o

gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e accesi; e

andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra doglia, come se gli

fossero state peste l'ossa. L'uomo reggeva a stento sulle spalle un gran

sacco di farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni

intoppo, a ogni mossa disequilibrata.

Ma più sconcia era la figura della donna:

un pancione smisurato, che pareva tenuto a

fatica da due braccia piegate: come una

pentolaccia a due manichi; e di sotto a

quel pancione uscivan due gambe, nude fin

sopra il ginocchio, che venivano innanzi

barcollando. Renzo guardò più attentamente,

e vide che quel gran corpo era la sottana

che la donna teneva per il lembo, con

dentro farina quanta ce ne poteva stare, e

un po' di più; dimodoché, quasi a ogni

passo, ne volava via una ventata. Il

ragazzotto teneva con tutt'e due le mani

sul capo una paniera colma di pani; ma, per

aver le gambe più corte de' suoi genitori,

rimaneva a poco a poco indietro, e,

allungando poi il passo ogni tanto, per

raggiungerli, la paniera perdeva

l'equilibrio, e qualche pane cadeva.”

Capitolo dodici:

Secondo Manzoni la letteratura deve rispettare le regola de

“l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per

mezzo”. Ecco perché a questo punto della vicenda lascia

sempre meno spazio all’elemento romanzato a favore di

quello storico (accertato con studi e ricerche documentate).

Questa scelta del verosimile è utile in quanto può allietare la

mente e anche il cuore umano.

In questo capitolo l’autore narra della rivolta milanese di san

Martino, dell‘ 11 novembre 1628, quando il popolo,

esasperato dalla fame, prese d’assalto i forni. Renzo

” Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni

s'inserisce così nell'avvenimento e assiste al saccheggio del

che, con una gerla carica di pane, andavano a portarne alle solite

“forno delle grucce”.

case. Il primo comparire d'uno di que' malcapitati ragazzi dov'era

un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso in

una polveriera. - Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci

insieme. - Sì, per i tiranni, che notano nell'abbondanza, e

voglion far morir noi di fame, - dice uno; s'accosta al

ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla,dà una stratta, e

dice: - lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido,

trema, vorrebbe dire: lasciatemi andare; ma la parola gli muore in

bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in fretta dalle

cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani

l'afferrano a un tempo: è in terra; si butta per aria il

canovaccio che la copre: una tepida fragranza si diffonde

all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane

anche noi, - dice il primo; prende un pan tondo, l'alza,

facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla gerla, pani per

aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non

era toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e

animati dalla facilità dell'impresa, si mossero a branchi, in

cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante svaligiate. E non

c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che,

per loro disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata,

posavano volontariamente il carico, e via a gambe.

La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchi, li

strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe,

gli scioglie la bocca, e, per ridurlo a un carico da potersi

portare, butta via una parte della farina: chi, gridando: -

aspetta, aspetta, - si china a parare il grembiule, un

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