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da riunire, equipaggiare, e addestrare per un conflitto che i contemporanei

consideravano risolvibile in tempi brevi, anzi brevissimi.

Nel giro di pochi giorni il conflitto divenne generale: fin dal 3 agosto la Germania

entrò in guerra al fianco dell’impero austro-ungarico(imperi centrali) contro la

Russia e la Francia, schieratesi al fianco della Serbia.

Le prime fasi della guerra

I tedeschi avevano previsto una guerra di movimento, infatti miravano a colpire alle

spalle l’esercito francese e al tal fine invasero il Belgio neutrale sulla base del

presupposto che i trattati internazionali sono solo “pezzi di carta”. Un simile atto

costituì un gravissimo errore che indusse la Gran Bretagna ad entrare nel conflitto,

preoccupata anche per la presenza dei tedeschi sulle coste della manica. Il piano

d’invasione della Francia tuttavia era destinato a fallire per l’accanita resistenza dei

belgi che riuscirono ad ostacolare l’avanzata tedesca. Così l’esercito francese

appoggiato da reparti britannici ebbe la possibilità di fermare i tedeschi sul fiume

marna. In tal modo da guerra di movimento si era passati alla terribile e logorante

guerra di posizione. Nel frattempo, sul fronte orientale, si era giunti ad una

situazione di stallo.

L’Italia in guerra

Il governo italiano era stato colpito di sorpresa dagli avvenimenti: infatti, non solo

aveva inviato un ultimatum alla Serbia senza informare il nostro paese, ma aveva

dato inizio a una guerra offensiva in aperto contrasto con quanto prevedeva il

trattato di triplice alleanza. A buon diritto, dunque, l’Italia aveva dichiarato

ufficialmente di voler restare neutrale, offrendo ai francesi la possibilità di sguarnire

la frontiera alpina e di concentrarsi sulla difesa di Parigi. Nel paese si aprì un

dibattito sulla necessità di intervenire o meno al fianco dell’Intesa.

I neutralisti erano la maggioranza della popolazione e del parlamento: liberali

(guidati da Giolitti), socialisti e cattolici. Gli interventisti erano un a minoranza molto

attiva:  interventisti di destra : i nazionalisti spinti da intellettuali come

D’Annunzio , promuovevano la guerra come segno di vitalità della nazione.

Gli irredentisti aspiravano a ottenere la liberazione di Trento e Trieste;

 interventisti di sinistra : per alcuni democratici, repubblicani e socialisti

l’Italia doveva schierarsi con le forze democratiche dell’Intesa. “Il Popolo

d’Italia di Mussolini divenne l’organo dell’interventismo di sinistra.

Mussolini era stato dirigente socialista, espulso dal partito proprio per il

suo sostegno all’intervento

Alla fine il ministro degli esteri Sidney Sonnino si decise a firmare, senza interpellare

il parlamento, con le potenze dell’intesa il patto di Londra: l’Italia sarebbe entrata

in guerra entro un mese e in caso di vittoria avrebbe ottenuto non solo le terre

irridente, ma anche altri territori. Il 3 maggio l’Italia uscì dall’Alleanza e il 24 maggio,

dopo una, dopo una massiccia propaganda che orientò l’opinione pubblica a favore

dell’intervento, venne dichiarata guerra all’Austria e alla Germania

1915-1916: la guerra di posizione

Negli anni 1915-1916 ebbe inizio una nuova fase il conflitto si trasformò in una

guerra di posizione , combattuta nel fango delle trincee.

Le trincee erano costituite da fossati scavati a zigzag, difese da soldati di prima linea

attraverso postazioni di tiro. L’aspetto peggiore della vita di trincea era la staticità:

la trincea, di fatto, impediva ogni possibilità di condurre una guerra di movimento.

La situazione di stallo era più evidente sul fronte occidentale dove le forze

anglofrancesi non riuscivano a passare al contrattacco.

Le maggiori difficoltà per l’Intesa provenivano però dal fronte orientale, dove i russi

erano stati ricacciati con gravissime perdite. L’Intesa subì un altro insuccesso nel

corso di una spedizione navale nei Dardanelli, l’impresa dovette essere

abbandonata dopo vari mesi di aspri combattimenti a causa soprattutto

dell’ostinata resistenza dei Turchi. Essi furono i responsabili di una terribile

persecuzione nei confronti degli Armeni, i turchi temevano che gli Armeni

passassero dalla parte dell’Intesa, reagendo con la deportazione e lo sterminio di

massa della popolazione.

L’entrata in guerra dell’Italia costituì l’unico elemento positivo per l’Intesa.

Il fronte italiano

L’esercito italiano era male armato, poco preparato e comandato dal dispotico

generale Cadorna; la linea del fronte italo austriaco, per la sua posizione geografica

era difficile da difendere.

Nel estate del 1916 gli austriaci sferrarono in Trentino una violenta offensiva, detta

anche spedizione punitiva, con l’intenzione di vendicare il tradimento dell’Italia.

L’Austria, grazie alla superiorità schiacciante dell’artiglieria, ebbe inizialmente

successo e occuparono Asiago, ma dovettero fermarsi per respingere i russi sull’altro

fronte. Cadorna contrattaccò e liberò Gorizia, dopodiché si tornò allo stallo e alla

guerra di trincea.

Dalla caduta del fronte russo alla fine della

guerra

Il logoramento del “fronte interno”

La lunga guerra stava ormai logorando gli animi dei soldati di tutti i Paesi in lotta,

oltretutto duramente provati da un inverno particolarmente rigido, e causava

difficoltà sempre più gravi alle popolazioni civili. La mancanza di manodopera,

l’esigenza di impegnare anche le donne nelle fabbriche e in ogni altro posto di

lavoro, la crescente scarsità di viveri e di materie prime, il rapido aumento de prezzi

cominciavano infatti a farsi universalmente sentire, mentre la propaganda pacifista

andava diffondendosi fra la popolazione e le truppe. Queste ultime si

abbandonavano sempre più spesso a manifestazioni di insofferenza e di

insubordinazione si moltiplicavano così i casi di diserzione e quelli ben più gravi di

autolesionismo, durante punti dai tribunali militari.

Il ritiro della Russia

Il prolungarsi della guerra era motivo di tensioni particolarmente gravi in Russia,

dove l’opposizione al regime dello zar Nicola II era attivo da tempo. Nel febbraio del

1917, in un clima di profondo malcontento, scoppiò una nuova sommossa, che

portò nell’arco di poco tempo all’abdicazione dello zar e in seguito all’ instaurazione

di un governo rivoluzionario comunista guidato dal capo dei bolscevichi Lenin. La

rivoluzione, ebbe come conseguenza immediata il ritiro della Russia dal conflitto.

La disfatta di caporetto

il crollo del fronte russo costituì un duro colpo per l’intesa. Dal punto di vista

militare gli alleati si trovarono a dover sopportare il peso di oltre quaranta divisioni

austro germaniche trasferite sul fronte occidentale. In un primo momento il peso

maggiore della nuova situazione dovette essere sopportato dall’esercito italiano, il

quale nel corso della primavera e dell’estate aveva già organizzato e condotto a

termine due offensive sugli altipiani e sul Carso.

Tra il 23 e 24 ottobre 1917 dagli austriaci, aiutati da sette divisioni tedesche,

scatenavano infatti un’improvvisa e potente controffensiva, spezzando il fronte

italiano a caporetto.

La difesa del fronte sul Piave

Tuttavia a tale grave situazione l’Italia reagì con fermezza. Al fronte la difesa della

linea del Piave, su cui era attestato l’esercito italiano, venne affidata ai veterani e

alle giovanissime reclute delle ultime leve, i “soldatini” della classe 1899. Guidati dal

generale Armando Diaz, che ,

coraggio ed efficacia ogni tentativo di sfondamento del nemico e si prepararono

addirittura alla riscossa. Sembro allora che la guerra, pur avendo causato tante

perdite e tanti disagi, avesse portato a compimento il processo unitario e contribuito

allo sviluppo della conoscenza nazionale.

Gli stati uniti intervengono nel conflitto

Ogni pessimistica previsione per questo 1917, così poco favorevole all’intesa e cosi

oscuro per l’intera Europa, fu rovesciata dall’intervento degli stati Uniti d’America

nel conflitto.

L’intervento americano a fianco delle potenze dell’intesa influì notevolmente sulle

sorti del conflitto . gli stati uniti infatti nel giro di pochi mesi fecero giungere in

Europa enormi quantità di viveri, di mezzi e di uomini, contribuendo in maniera

decisiva a colmare i vuoti apertisi nelle file degli eserciti alleati in un anno di crisi e di

battaglie tremende.

La battaglia di Vittorio veneto e l’armistizio di Villa Giusti

L’esercito Austriaco si manteneva comunque abbastanza saldo e compatto. Alla fine

di settembre a peggiorare la situazione intervenivano le richieste di pace della

Turchia e della Bulgaria, ormai esauste. Fu allora che il generale Diaz decise di dare

corso a una grande offensiva meticolosamente preparata, che ebbe inizio il 24

ottobre, anniversario di Caporetto, e nel giro di pochi giorni determinò lo

sfondamento del fronte autistico a Vittorio Veneto e la precipitosa ritirata del

nemico. Il tre novembre 1918 a Villa Giusti, nei pressi di Padova, l’Austria era

costretta a firmare l’armistizio e il giorno successivo il generale Diaz poteva

annunciare la vittoria con un proclama alla nazione italiana.

La pace di Parigi

Il 18 gennaio 1918 iniziò a Parigi una conferenza di pace. Francia, Gran Bretagna

Stati Uniti e Italia assunsero le decisioni più importanti; gli altri stati furono

convocati solo per la firma finale dei trattati, che avvenne tra il 1919 e il 1920.

I principi di democrazia e convivenza pacifica tra gli stati suggeriti dal presidente

americano Wilson non furono seguiti. Prevalse la linea punitiva che prevedeva

risarcimenti ai vincitori e una pesante penalizzazione degli sconfitti. Con

l’applicazione dei trattati la Germania, riconosciuta responsabile del conflitto,

dovette pagare ingenti danni di guerra e perse le colonie; la continuità del suo

territorio fu interrotta da una striscia di terra che collegava la Polonia al mare.

L’Italia ottenne Trento, L’Alto Adige, la Venezia Giulia, Trieste e l’Istria.

Quattro imperi vennero cancellati (russo, austro-ungarico, tedesco e turco) e

nacquero nuove nazioni: Ungheria, Cecoslovacchia, Iugoslavia, Lituania, Estonia e

Lettonia.

In seguito alla guerra l’Europa perse il primato economico e politico a vantaggio

degli Stati Uniti.

Imposta straordinaria e debito pubblico

Introduzione

Le entrate pubbliche, si possono distinguere, fra l’altro, in ordinarie e

straordinarie a seconda che si realizzino ogni anno in modo continuativo

oppure solo saltuariamente, per far fronte a spese imprevedibili.

Così quando le entrate ordinarie non bastano a coprire le spese, lo

squilibrio è normalmente coperto dallo Stato attraverso alla finanza

straordinaria, in particolare al debito pubblico.

Nella realtà contemporanea il debito pubblico è diventato uno strumento

usato in tutti i paesi per finanziare sia le spese ordinarie che quelle

straordinarie per le seguenti ragioni:

 Le entrate ordinarie sono generalmente insufficienti a finanziare le

spese ordinarie, quindi i bilanci pubblici sono in cronico disavanzo;

 Aver recepito le istanze della finanza funzionale ha dilatato la spesa

pubblica, utilizzata ai fini della stabilizzazione del reddito e della sua

più equa distribuzione fra le classi sociali.

Le principali fonti di entrate straordinarie sono l’imposta straordinaria e

il debito pubblico.

Imposta straordinaria

Il ricorso all’imposta straordinaria può consistere nell’introduzione di

una nuova imposta oppure nell’inasprimento di imposte già esistenti.

Sotto il profilo della economicità della gestione , la seconda soluzione è

preferibile, perché evita ulteriori spese di accertamento ed è più tollerata

dai contribuenti. Per sua natura un’imposta straordinaria deve

presentare carattere di temporaneità, nelle nostra realtà tributaria,

tuttavia, spesso l’imposta non ha questa connotazione e finisce per

diventare in concreto una fonte continuativa di entrate per lo stato.

Debito pubblico

Lo stato può conseguire entrate straordinarie contraendo prestiti

pubblici con sottoscrittori nazionali o stranieri che acquistano titoli del

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