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Sintesi
Estratto del documento

l’Austria fosse uscita rafforzata nell’area balcanica. A questo si aggiungeva la consapevolezza che

erano assai diffusi sentimenti antiaustriaci.

Contraria alla guerra era anche la maggioranza liberale guidata da Giovanni Giolitti perché temeva

che la guerra avrebbe distrutto le fondamenta della Stato liberale e riteneva che l’Italia avrebbe

potuto ottenere sufficienti vantaggi territoriali attraverso negoziati diplomatici.

Sfumata l’ipotesi di entrare in guerra a fianco dell’Austria e della Germania, cominciò ad affacciarsi

l’ipotesi di intervenire a fianco dell’ Intesa. I liberali di destra ritenevano che la guerra avrebbe

permesso di accentuare il carattere autoritario dello stato e di soffocare più agevolmente la crescenti

tensioni sociali.

La grande industria oscillava tra la propensione alla neutralità, che avrebbe consentito di trarre

vantaggi rifornendo i paesi di entrambi i blocchi contendenti, e quella all’intervento a fianco

dell’Intesa, per ridurre l’eccessiva presenza del capitale tedesco nella finanza e nell’industria

italiane. I grandi industriali vedevano nell’intervento un’occasione di sviluppo economico e di

crescita del prestigio internazionale dell’Italia.

Favorevoli all’intervento invece erano alcuni settori del sindacalismo rivoluzionario e del

socialismo rivoluzionario, nella convinzione che la guerra avrebbe radicalizzato la scontro sociale e

scardinato l’ordine capitalista, preparando così l’avvento della rivoluzione socialista. In particolare

Benito Mussolini sostenne sulle colonne del giornale socialista “Popolo d’Italia”, il novo giornale

da lui fondato, un’accesa e martellante propaganda bellicista. Intanto il fronte interventista si

andava allargando perché un’eventuale guerra contro l’Austria era vista come una sorta di

completamento del ciclo risorgimentale delle guerre d’indipendenza.

Le frange più rumorose dell’interventismo raccoglievano invece consenso fra i nazionalisti, già

favorevoli all’ipotesi di combattere al fianco degli Imperi centrali, che si esprimevano soprattutto

attraverso le retoriche declamazioni di Gabriele D’Annunzio.

Erano invece neutralisti anche i cattolici e i socialisti: i primi, per motivi morali e perché non

volevano combattere una potenza cattolica come l’Austria; i secondi perché giudicavano la guerra

profondamente estranea agli interessi dei lavoratori e la consideravano provocata dalle rivalità e

dagli interessi delle borghesie imperialistiche.

Mentre si agitavano queste opposte tendenze, un “ colpo di stato” determinò l’intervento dell’Italia

in guerra. Infatti, nel 1915, il ministro degli Esteri Sonnino stipulò segretamente, all’insaputa del

parlamento, il patto di Londra, che impegnava l’Italia ad entrare in guerra al fianco dell’Intesa e le

garantiva, in caso di vittoria, il Trentino e il Tirolo meridionale, Trieste, l’Istria, la Dalmazia,

esclusa la città di Fiume, e la base di Valonia in Albania. Giolitti, all’oscuro del patto di Londra,

ribadì la sua scelta neutralista, forte dell’appoggio di 300 deputati, inducendo così Salandra a

rassegnare le sue dimissioni, respinte però dalla corte, che investì Salandra di poteri eccezionali per

la gestione della guerra, scavalcando la volontà del parlamento. Inoltre la corte, allo scopo di creare

un clima di pressioni popolari, incoraggiò manifestazioni di piazza che, prendendo a bersaglio

Giolitti, accusato di debolezza, richiedevano a gran voce l’entrata in guerra a fianco della Francia e

della Gran Bretagna.

Il 20 maggio del 1915 il parlamento diede il suo sostegno al governo, che il 23 maggio dichiarò

guerra all’Austria. Il giorno dopo l’esercito iniziava le operazioni militari, varcando il Piave in

forze.

Alla base di queste convinzioni stava la convinzione che una guerra rapida e vittoriosa avrebbe

consentito di istaurare una stretta autoritaria e un maggiore ordine nel paese. La causa principale

dell’entrata in guerra era il tentativo di risolvere le tensioni del paese con un atto di forza appena

rivestito di legalità.

Con l’intervento italiano si aprì un nuovo fronte di guerra, che ebbe l’effetto di alleggerire la

pressione sul fronte russo.

Con il fallimento della strategia tedesca della “guerra lampo”, il conflitto si andava sempre più

trasformando in una “guerra di logoramento”, nella quale milioni di soldati si contrapponevano

lungo chilometri e chilometri di trincee senza mai affrontarsi in battaglie campali. La trincea

esprimeva quella situazione di stallo tra il 1915 e il 1916 nella quale nessuno dei paesi belligeranti

fu in grado di imporsi e di risolvere a proprio favore il conflitto.

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Questa situazione finiva col danneggiare perlopiù gli Imperi centrali che,essendo circondati dalle

forze nemiche, subivano il blocco commerciale imposto loro soprattutto da Gran Bretagna e

Francia: nel 1916 ormai tutti i prodotti che erano diretti in Germania venivano sequestrati. In questo

contesto si verificarono due grandi fatti d’arme: la battaglia di Verdun sul fronte occidentale e la

battaglia dello Jutland far il mar Baltico e il mare del Nord, entrambe originate dal tentativo tedesco

di rompere l’isolamento.

Per sfondare le linee nemiche, il generale Erich von Falkenhayn decise di concentrare le armate

tedesche in un solo punto, cioè nei pressi della fortezza di Verdun, dove si scatenò una cruenta

battaglia che durò ben 5 mesi. Gli anglo-francesi lanciarono infine un contrattacco che rovesciò la

situazione, facendo arretrare i tedeschi fino alla Somme.

Il tentativo tedesco di rompere l’isolamento per via mare non ebbe miglior sorte. Il 31 maggio 1916

la marina tedesca si scontrò con quella inglese presso la penisola dello Jutland allo scopo di

spezzare il predominio della flotta britannica e di consentire così alle navi da carico tedesche di

lasciare i porti del mare del Nord . Ma la parziale vittoria tedesca non fu in grado di minacciare

l’egemonia inglese sul mare, né di allentare il blocco navale imposto dal governo inglese.

Nel gennaio 1917 i tedeschi annunciarono la <<guerra sottomarina totale>>, che prevedeva

l’affondamento di tutte le navi che fossero entrate in qualche modo in comunicazione con

l’Inghilterra; non solo le navi mercantili, ma anche le navi passeggeri che in questo modo avrebbe

spinto all’intervento gli Stati Uniti, ma prevedeva che la guerra si sarebbe conclusa vittoriosamente

prima dell’arrivo americano.

Intanto sul fronte meridionale gli austriaci lanciarono un violento attacco contro le linee italiane,

che portò all’occupazione dell’altopiano di Asiago. L’impreparazione dimostrata dall’esercito

italiano costrinse Antonio Calandra a dare le dimissioni. Il nuovo governo di “concentrazione

nazionale”, presieduto da Paolo Borselli, fu allargato ai partiti interventisti dell’opposizione e vide

la partecipazione dei socialriformisti. Poco dopo le truppe italiane riuscirono a conseguire l’unico

risultato militare significativo del primo biennio di guerra, la presa di Gorizia (9 agosto 1916).

LA SVOLTA DEL 1917

Nel quarto anno di conflitto si verificarono avvenimenti di importanza decisiva come la rivoluzione

bolscevica in Russia, che portò all’uscita di questa nazione dalla scena del conflitto. IN Russia

l’esercito aveva pagato duramente l’impreparazione tecnica strategica degli alti comandi militari, e

il popolo, provato dalla miseria crescente, aveva già espresso con scioperi e agitazioni, il proprio

malcontento. Di fronte a questa situazione, la corte zarista continuava a dar prove di un totale

distacco dalla realtà del paese, accentuando i caratteri dispotici della sua politica. Ma la goccia che

fece traboccare il vaso fu una rivolta di operai e soldati scoppiata a Pietrogrado nel marzo 1917.

Essa provocò l’abdicazione dello zar Nicola II e la formazione di un governo repubblicano

provvisorio cui parteciparono tute le forze antizariste, dai liberali ai comunisti.

Il presidente del governo provvisorio, Aleksandr Kerenskij, decise di scatenare in luglio

un’offensiva in Garizia, che si risolse però in un totale fallimento: i soldati russi fraternizzarono al

fronte con gli austriaci e i tedeschi, poi disertarono e tornarono alle loro case. Era il segno decisivo

della totale estraneità dei soldati alla guerra, che coinvolse il governo rivoluzionario comunista a

concertare con gli alleati e con gli avversari l’uscita della Russia dalla guerra (pace di Brest-

Litovsk, 3 marzo 1918).

Quanto accadde sul fronte russo rappresentò la manifestazione più eclatante di una condizione

comune a tutti gli eserciti combattenti. Infatti, in tutti i paesi belligeranti, si stava diffondendo una

generalizzata stanchezza e insofferenza nei confronti della guerra. I socialisti che avevano

rinunciato ai loro principi pacifisti, ripresero a organizzare l’oppressione interna. Inoltre cresceva

l’ostilità contro la guerra, soprattutto da parte dei soldati, malnutriti ed esposti a disagi e malattie di

ogni tipo, erano costretti a vivere ormai quasi sotterrati nelle trincee. L’utilizzo di nuove armi

avevano decimato ulteriormente le truppe e avevano dissolto ogni residua illusione che la guerra

potesse ancora rappresentare o esaltare un qualsivoglia valore ideale. Su tutti i fronti si

manifestarono diserzioni di massa, insubordinazioni e ammutinamenti.

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I fattori di crisi che minavano la compattezza degli eserciti al fronte erano diffusi anche fra la

popolazione civile. I governi dovevano contrastare non solo il nemico al fronte, ma anche gli

oppositori interni, ossia tutti coloro che per varie ragioni si opponevano alla prosecuzione della

guerra. Si trattava di contrastare il senso di prostrazione delle popolazioni, causato dalla scarsità dei

generi alimentari, dalla riduzione dei salari e da un incontrollato rialzo dei prezzi dei prodotti di più

largo consumo.

Questa situazione di grave consumo era inasprita dalle attività di gruppi di operatori economici che

vendevano clandestinamente, a prezzi elevatissimi, i generi alimentari assenti sul libero mercato,

provocando continui aumenti dei prezzi. In Italia nell’agosto del 1917 a Torino, gli operai scesero in

piazza dando vita a un’azione di lotta e guerriglia che le truppe regie repressero nel sangue. Anche i

cattolici cominciarono a mobilitarsi, il primo agosto 1917 il papa Benedetto XV inviò ai capi di

governo dei paesi belligeranti una “nota” nella quale si sosteneva la necessità di porre fine

all’ << inutile strage>>.

In Francia si tentò di arginare la situazione di grave crisi economica e militare con un cambiamento

ai vertici dell’esercito e si avviò una politica di tipo autoritario per stroncare ogni opposizione

interna.

In Germania gli stessi problemi furono affrontati con un rafforzamento dei poteri militari e con la

militarizzazione delle industrie. Il potere si concentrò nelle mani del capo di stato maggiore.

Processi analoghi si verificarono in Gran Bretagna, in Italia e negli Stati Uniti.

Sul fronte militare il 1917 sembrò volgere a favore della Germania e dell’Austria. Gli Imperi

centrali si prepararono a uno sforzo offensivo eccezionale nella speranza di risolvere a loro favore il

conflitto prima che le truppe americane sbarcassero in Europa. Gli eserciti austro-tedeschi

sferrarono un nuovo attacco sul fronte dell’Isonzo.

L’esercito italiano non resse all’urto. Oltre alla stanchezza delle truppe, furono decisivi alcuni errori

strategici del supremo comando e la scarsa resistenza garantita dal secondo corpo d’armata.

Costretti a ritirarsi per evitare l’accerchiamento da parte del nemico, che aveva preso Caporetto (24

ottobre 1917), gli italiani indietreggiarono in una caotica ritirata fino al Piave. Ma si formò un

nuovo governo di solidarietà nazionale, comprendente anche le opposizioni e l’esercito fu

riorganizzato sotto la giuda del generale Armando Diaz. Il generale puntò sulla promessa di

distribuire apprezzamenti di terra ai contadini dopo la fine del conflitto. Questo progetto ebbe larga

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