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I.T.C.T. “A.BORDONI” PAVIA
La crisi del neorealismo
Intorno al 1955 il clima culturale italiano, il costume e i valori appaiono profondamente mutati.
Cominciava il periodo del miracolo economico, legato alla fortissima espansione della tecnologia e
dell’industria; si apriva l’epoca del consumismo e dei mass media destinata a compiere, nel breve
giro di un ventennio, quella che è stata definita “una rivoluzione antropologica”, soprattutto dalle
giovani generazioni, prive di una precisa anche se traumatica memoria storica.
Se da una parte tante masse contadine e operaie hanno visto elevarsi il loro tenore di vita, e tanta
parte della popolazione accrescersi il livello medio di cultura, dall’altra si sono persi in tempi assai
brevi valori secolari; soprattutto, è andato vanificandosi il senso umano del vivere, di una vita cioè
fatta per l’uomo, e di cui l’uomo, anche il più piccolo, sia protagonista, con l’individualità delle sue
mete e dei suoi bisogni.
La massificazione dell’individuo era ormai in atto, e lontanissimi sembravano i tempi disperati ed
eroici della Resistenza, del dopoguerra, dello sforzo di ricostruire sulle macerie. Attraverso la
massiccia pubblicità e i potenti canali d’informazione, l’industria cominciava a condizionare l’uomo
nei suoi consumi e nelle sue scelte, a pianificargli il tempo libero e a intromettersi nella sua vita
privata.
Sul piano letterario subentrano, la rassegnazione come forma di saggezza, la rinuncia all’impegno,
lo spostarsi dal piano storico al piano esistenziale; è questa la crisi del neorealismo.
Contemporaneamente però anche il romanzo realistico (non più neorealistico in quanto privo della
fiducia e dell’ottimismo che stavano alla base di quel movimento) si rinnova in rapporto ai tempi, e
assume una connotazione sperimentale. Così alcuni autori, come Calvino, incentrano la loro
narrativa sul fenomeno della fagocitosi industriale e sulla civiltà dei consumi; altri come Pasolini,
esprimono la reale sfiducia nella capacità di lotta e d’azione del popolo.
V°C ANNO SCOLASTICO 2007/2008
I.T.C.T. “A.BORDONI” PAVIA
RESISTENZA ITALIANA
Introduzione
Resistenza italiana Lotta armata contro l'esercito d'occupazione tedesco e contro il regime di Benito
Mussolini (Repubblica di Salò) durante la seconda guerra mondiale.
Resistenza e Antifascismo
La storia della Resistenza italiana si inserisce in un arco cronologico più ampio di quello che
racchiude la Resistenza europea, essendo il suo nucleo originario già presente nell'antifascismo
degli anni Trenta. Con il procedere della guerra e con i primi segni di indebolimento del regime
fascista causati dalle sconfitte dell'esercito italiano, si consolidò e si strutturò in Italia l'opposizione
al fascismo. Gli scioperi che paralizzarono le fabbriche del Nord tra l'aprile e il marzo del 1943
ebbero tra i principali organizzatori gruppi di comunisti che diffondevano le ragioni
dell'antifascismo. Ma già nel 1942 l'opposizione al fascismo si era riorganizzata operando per la
prima volta sul territorio nazionale: nel giugno si era costituito il Partito d'azione, nato dalla
convergenza tra ex militanti di Giustizia e Libertà, repubblicani di sinistra e liberalsocialisti.
Nell'ottobre era stata fondata la Democrazia Cristiana, che raccoglieva l'eredità del precedente
Partito popolare di don Luigi Sturzo.
In concomitanza con gli scioperi del marzo 1943 i comunisti avevano avviato un'intensa attività
clandestina e stabilito contatti con gli altri partiti, dai quali nacque il Comitato delle opposizioni,
che si riunì immediatamente dopo la caduta del regime (25 luglio 1943). Comunisti, socialisti,
cattolici, uomini del Partito d'azione e liberali uscirono allora dalla clandestinità riprendendo le
attività politiche interrotte dal ventennio di dittatura.
Guerra civile e di liberazione
La Resistenza armata al nazifascismo si organizzò dopo l'armistizio dell'8 settembre, quando dalle
fila dell'esercito lasciato allo sbando uscirono i primi gruppi di volontari combattenti, reclutati dalle
nascenti formazioni partigiane. Queste furono costituite dai rappresentanti dell'antifascismo, che
crearono il Comitato di liberazione nazionale (CLN), al quale si collegarono successivamente
organismi analoghi nati su base regionale: Il CLN fu lo strumento politico della guerra partigiana, le
cui prime azioni furono messe a segno nell'inverno 1943-44 nel territorio alle spalle delle linee
tedesche.
La Resistenza fu espressione di una volontà di riscatto dal fascismo e di difesa dell'Italia
dall'aggressione tedesca e coinvolse complessivamente circa 300.000 uomini armati, che svolsero
attività di guerriglia e di controllo, dove possibile, del territorio liberato dai nazifascisti. Fu dunque
guerra patriottica di liberazione dall’occupazione tedesca, ma fu anche guerra civile contro la
Repubblica sociale italiana, nel cui esercito pure militarono gruppi di giovani che in buona fede
considerarono l’armistizio con gli Alleati un tradimento nei confronti dell’alleato tedesco.
Il movimento della Resistenza si sviluppò sostanzialmente nell’Italia del Nord e, in secondo luogo,
nell’Italia centrale. I raggruppamenti più numerosi furono quelli organizzati dai comunisti nelle
Brigate Garibaldi; gli uomini del Partito d'azione formarono le brigate di Giustizia e Libertà, i
socialisti le Matteotti. Operarono inoltre altre formazioni di diversa impronta ideologica: cattolica,
liberale, nazionalista e monarchica. Quasi assente fu la Resistenza nell’Italia meridionale, che
peraltro al 12 ottobre 1943 era già stata occupata dalle forze angloamericane fino alla linea Gustav,
il fronte difensivo tedesco che tagliava la penisola dalle foci del Volturno, sul Tirreno, fino a
Termoli, sul litorale Adriatico. Fece eccezione l’insurrezione di Napoli, dove il popolo nelle quattro
giornate liberò la città dall’occupazione tedesca.
Resistenza e politica
L'unità operativa che i diversi gruppi della Resistenza italiana riuscirono, seppure imperfettamente,
a conseguire sul piano militare non ebbe riscontro in un'analoga unità d’azione politica. Gli obiettivi
finali per i quali era giustificata la lotta di liberazione apparivano assai divergenti a seconda delle
appartenenze partitiche: tali divergenze erano presenti tra le stesse forze di sinistra. Il Partito
d'azione, il Partito comunista e il Partito socialista rifiutavano l'idea che lo scopo della guerra
V°C ANNO SCOLASTICO 2007/2008
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partigiana fosse quello di ripristinare lo stato liberale prefascista; sulla base di questa comune
premessa, tuttavia, anche questi partiti differivano tra di loro su contenuti e modalità della struttura
del nuovo stato democratico per il quale si battevano. Gli azionisti ritenevano che fosse necessario
attribuire alle organizzazioni partigiane un ruolo rilevante nella costruzione di una nuova
democrazia, dai contenuti sociali più avanzati di quelli del vecchio stato monarchico; per i
comunisti e i socialisti, invece, i CLN dovevano esaurire la loro funzione in ambito militare,
lasciando ai partiti il compito di promuovere le future forme politiche e istituzionali.
Altrettanto differenti erano le motivazioni ideologiche che circolavano tra i partigiani. Molti di
quelli che militavano nelle formazioni di sinistra, spinti da una forte carica ideologica, pensavano
che la guerra di liberazione dovesse sfociare in un cambiamento radicale della società. Tale
cambiamento per i comunisti coincideva con la rivoluzione sociale, per gli azionisti con
l'instaurazione di una democrazia avanzata, libera dai compromessi e dalle debolezze che nel 1922
avevano portato alla vittoria del fascismo. La caduta della monarchia avrebbe dovuto rappresentare
la premessa obbligata di qualsiasi rinnovamento futuro. La monarchia continuava invece a
riscuotere consensi tra i partigiani democratico-cristiani, liberali e autonomi, oltre che tra i soldati e
gli ufficiali delle forze dell’esercito che, non avendo aderito alla Repubblica di Salò, avevano scelto
di partecipare alla Resistenza. Inoltre il modello dello stato prefascista appariva tutt'altro che
accantonato.
Le vittorie militari
I partigiani del Nord operarono prevalentemente nelle montagne e nelle campagne, ma la loro
azione si saldò anche agli imponenti scioperi operai che nel marzo del 1944 paralizzarono le
maggiori città industriali (Torino, Milano, Genova). Nelle fabbriche e nelle città, soprattutto per
opera dei militanti comunisti clandestini, si organizzarono nuclei partigiani denominati GAP
(Gruppi d'azione patriottica), formati ciascuno da tre o quattro militanti, che svolgevano operazioni
di sabotaggio, atti di guerriglia e opera di propaganda politica.
Via via che cresceva il ruolo combattente della Resistenza, si poneva il problema del rapporto con
gli interlocutori politici e militari italiani e Alleati. Frequenti attriti si manifestarono anche dopo che
i partigiani furono ufficialmente militarizzati nel Corpo volontari della libertà (giugno 1944),
comandato dal generale Raffaele Cadorna, con vicecomandanti il comunista Luigi Longo e
l'azionista Ferruccio Parri, e riconosciuto sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale.
Causa dei contrasti con il governo italiano che operava nei territori liberati erano le strategie
politiche da assumere per il futuro, mentre tra le forze militari angloamericane correva il timore che
a guerra conclusa i partigiani divenissero protagonisti di azioni insurrezionali. Confermava tale
timore l'esperienza, peraltro di breve durata, delle repubbliche partigiane che si formarono in alcune
zone del Nord, liberate dall'occupazione nazifascista tra l'estate e l'autunno del 1944.
La Resistenza culminò nell'insurrezione generale, proclamata dal Comitato di liberazione nazionale
per l’Alta Italia il 25 aprile 1945 e conclusasi con la liberazione delle principali città del Nord prima
dell’arrivo delle forze alleate; la resa incondizionata dei tedeschi si ebbe il 29 aprile.
Fronti italiani dopo il 1943
Le operazioni militari che ebbero come teatro il fronte italiano nel corso della seconda guerra
mondiale, note sotto il nome di "campagna d'Italia", presero il via con lo sbarco degli Alleati in
Sicilia nel luglio del 1943 e terminarono con la resa tedesca nell'aprile del 1945. Il precipitare della
situazione politica in Italia facilitò la decisione di procedere all'invasione del paese, com'era nei
piani alleati, da parte delle truppe angloamericane, comandate dal generale Eisenhower: lo sbarco
avvenne il 10 luglio e il 17 agosto tutta la Sicilia era liberata. Nel frattempo, nella notte del 25
luglio Mussolini veniva sfiduciato dal Gran consiglio del fascismo e costretto a dimettersi, e fu
sostituito dal maresciallo Badoglio. Il 3 settembre Vittorio Emanuele III firmò l'armistizio di
Cassibile e nello stesso giorno truppe alleate si imbarcarono per Salerno dove tuttavia subirono la
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controffensiva dei tedeschi che presidiavano tutta la penisola. La difficile avanzata delle forze
angloamericane verso nord fu impedita alle soglie dell'inverno dalla linea difensiva tedesca
soprannominata "Gustav", che si estendeva da Gaeta a Termoli e il cui caposaldo era localizzato a
Cassino: qui tra il febbraio e il marzo del 1944 gli Alleati tentarono di sfondare la difesa tedesca,
radendo tra l'altro al suolo la storica abbazia di Montecassino, ma solo nel maggio riuscirono a
ricongiungersi con le truppe sbarcate ad Anzio già dal 22 gennaio. Dopo la liberazione di Roma (4
giugno) e di Firenze l'avanzata alleata si arrestò di nuovo sulla linea gotica, l'altro fronte difensivo
tedesco che si estendeva alle pendici dell'Appennino tosco-emiliano da Viareggio a Rimini. Nel
frattempo il movimento di resistenza armata antifascista e antitedesca dei partigiani, organizzato e
diretto dal Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, teneva impegnate le forze nazifasciste nelle