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Satyricon
Un’altra caratteristica per la quale quest’ autore ha suscitato il mio interesse è la sua relazione con il
Satyricon
protagonista della sua opera, il , ovvero il fatto che Encolpio sia ora portavoce dell’autore,
ora il suo alibi, ovvero la scusa e, se vogliamo, la maschera per esporre le sue idee senza mettersi
troppo a rischio. Se si ha davanti un’autobiografia fittizia inevitabilmente si pone una questione: se il
narratore assumerà i suoi tratti caratteristici o immedesimerà quelli dell’autore. Invece di utilizzare un
io
punto di vista fisso, “Petronio introduce un che non ricopre esattamente né l’autore stesso né il
narratore immaginario (Encolpio)” (Auerbach). Così il protagonista incarna ora il suo personaggio,
nella maggior parte degli episodi ai limiti del comico, ora l’autore. Un esempio dell’incarnazione
dell’autore in Encolpio è la cena di Trimalcione, dove il protagonista guarda in disparte le sgraziate
risate dei commensali facendosi beffa di tutti, estraniato da un contesto che ritiene volgare. Ed è
arbiter elegantiae
proprio in quest’ occasione che ritroviamo il volto di Petronio, lui che è , superiore
agli altri, un po’ distaccato dagli altri, che spesso guarda con disdegno così come Encolpio i suoi
compagni immersi nelle risate grossolane.
La trama
Il giovane Encolpio, colto, dotato di raffinato senso estetico e di ironico distacco, narra in prima
persona le sue avventure durante i vagabondaggi nelle città dell'Italia meridionale, vivendo di
espedienti, ruberie e pranzi scroccati. Suo compagno è l'adolescente Gitone, del quale è innamorato;
ai due si affianca nella prima parte del racconto Ascilto, a sua volta attratto da Gitone e questo è fonte
di gelosia e di liti. Questo terzetto, cinico e amorale, affronta con spirito di avventura ogni esperienza:
barattano un mantello rubato con una tunica nella quale sono cuciti dei denari; accusati dalla corrotta
sacerdotessa Quartilla di aver profanato un sacrificio a Priapo, sono sottoposti a innumerevoli torture
erotiche. Partecipano quindi alla cena, offerta dal ricchissimo liberto Trimalcione, con altri nuovi
arricchiti e parassiti: nel suo palazzo arredato in modo grottescamente sfarzoso, vengono servite
innumerevoli portate, descritte minuziosamente. In questa ostentatamente lussuosa gozzoviglia
domina la figura del padrone di casa, Trimalcione, ignorante e rozzo che si atteggia a persona istruita.
La scena culmina con la parodia dei funerali di Trimalcione, che per il chiasso fa accorrere i vigili di
quartiere. Nella confusione generale, i tre compagni si allontanano e riparano in una locanda dove
litigano. Lasciato solo, Encolpio trova un nuovo compagno nel poeta vagabondo Eumolpo, un
personaggio, sudicio ma geniale, che recita una sua composizione sulla distruzione di Troia. Gitone si
riunisce a loro, ma si rinnovano le liti furibonde e le scene di gelosia. I tre si imbarcano infine sulla
nave di Lica e dell'amante Trifena, ma scoppia una furibonda rissa tra Encolpio e Gitone. La pace
torna per merito di Eumolpo, che racconta la novella della Matrona di Efeso, una piccante parodia
dei propositi di castità delle vedove. Una tempesta fa naufragare la nave: Lica muore, Trifena si salva
su una barca e i tre avventurieri sono gettati su una spiaggia vicino a Crotone.
L'ultima parte del testo è la più lacunosa. In città pullulano i cacciatori di testamenti e i cittadini
sembrano appartenere a due categorie, gli imbroglioni e gli imbrogliati. Per questo Eumolpo, dopo
aver recitato un poemetto sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, si finge ricco e ammalato per
sfruttare l'avidità dei crotonesi. Encolpio è adescato dalla bella e ricca Circe, ma diviene impotente
per l'ira del dio Priapo (non si sa perché) e guarisce soltanto per intervento di Mercurio, mentre
Eumolpo, per sfuggire ai cacciatori di dote, tra cui la matrona Filomena, detta un testamento secondo
il quale soltanto coloro che mangeranno il suo cadavere potranno ereditare i suoi beni. 5
Nietzsche
E la maschera
“Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde hanno per l'immagine e l'allegoria perfino dell'odio.
(...) Ogni spirito profondo ha bisogno di una maschera: e più ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce
continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioè superficiale interpretazione di ogni parola, di
ogni passo, di ogni segno di vita che egli dà.”
La riflessione sul rapporto tra essere e apparire è oggetto di buona parte della filosofia e Nietzsche è il
pensatore che, più di altri, è riuscito ad affrontare con uno sguardo nuovo e profondo questo
problema.
Rapportandosi alla visione classica, egli non la intende più come modello o come esemplare
coincidenza tra interno ed esterno, ma, invece, come divergenza tra essere e apparire, come una
forma di maschera. Tuttavia non considera negativamente questa maschera, come se fosse un
unica
nascondiglio della realtà, bensì come l’ verità. 6
Perché nasce la maschera
Secondo Nietzsche l’uomo del suo tempo non riesce a creare un equilibrio coerente tra forma e
contenuto e quindi, inevitabilmente, la forma appare come una sorta di travestimento, assunto solo
per necessità, senza che gli appartenga veramente.
Il bisogno dell’uomo moderno infatti è quello di affrontare una paura, una debolezza, quella di
assumersi responsabilità storiche, derivata dalla troppa consapevolezza degli eventi passati;
L’utilità e il danno della storia per la vita
problematica che il filosofo affronta ne , dove distingue tre
tipi di storia: quella antiquaria, che è un fardello, in quanto ci rivolgiamo alla storia tentando di
conservare il passato senza rivolgervi alcuno sguardo critico; quella monumentale, che provoca il
senso di inadeguatezza rispetto alle azioni dei grandi del passato e che è proprio quella che paralizza
l’uomo, intimorito dal confronto; e infine quella critica, che sottopone il passato al vaglio del
presente, pronto a condannarlo.
Spinto dalla sua paura, l’uomo assume maschere stereotipate, vive nella finzione, perché lui, il più
debole tra gli animali, non ha altra arma per difendersi.
Questi sono i motivi dell’uomo moderno; in realtà la maschera è sempre stata utilizzata, anche in
passato, ed è per questo che Nietzsche prova a riscoprire le origini di ciò che meglio incarna la
compiutezza e la perfezione del mondo greco, ovvero la tragedia classica di Eschilo, Sofocle ed
Euripide, l’arte che meglio riesce ad incarnare la radice tragica, già scoperta da Schopenhauer,
dell’esistenza.
Quando nasce la maschera
Nietzsche rileva le origini della maschera proprio nel mondo classico. Quel mondo sempre
idealizzato. Invece qui si parla di un classicismo particolare, dove il confronto tra il presente e la
classicità non avviene tra due fenomeni estranei l’uno all’altro, ma il mondo classico non è altro che la
radice della nostra storia e, come tale, non completamente distaccato dal presente. Sebbene il classico
sia sempre stato rappresentato come equilibrio, perfetta coincidenza tra la forma e il contenuto,
Nietzsche mette in discussione questa serenità, per approdare al lato più oscuro e misterioso di questa
civiltà. Per fare questo deve “disfare pietra per pietra il geniale edificio alla cultura apollinea, fino a
La nascita della tragedia dallo spirito della musica
scorgere le fondamenta su cui esso è basato” (da ).
Come nasce la maschera
La tragedia trova le sue radici non dall’incontro armonioso tra musica e parole, ma nelle feste
dionisiache, dove i passaggi rituali erano sottolineati da musiche e canti eseguiti da persone travestite
da capri (“tragedia” significa infatti “coro dei capri”). In seguito al coro si aggiungono narrazione ed
azione: nasce così la tragedia come la conosciamo.
Nella tragedia si confrontano e coesistono in modo armonioso i due aspetti fondamentali della natura
umana: l’apollineo (la forma) e il dionisiaco (l’essenza). caos
Il dionisiaco è la parte vitale, rappresentata dagli istinti, dalle passioni, dal ; l’arte che lo
rappresenta è la musica. Da esso nascono i rituali orgiastici e misteriosi, origine della tragedia.
cosmos
Invece l’apollineo è la razionalità, l’equilibrio, il bisogno di ; per questo l’arte in cui si esprime
è la scultura, intesa come armonia e proporzione.
Contrapposta alle feste dionisiache, c’era la religione olimpica, quella ufficiale e razionale, ma che
non riusciva a soddisfare i dubbi più forti dell’uomo, anzi, era nata proprio per scacciare la paura e
soffocarla in rituali che sopprimevano l’istinto vitale. Gli dei greci, quindi sono nati come conforto alla
sofferenza umana, per sopportare l’esistenza e l’idea della morte; possono essere paragonati
all’apollineo, alla maschera necessaria per fuggire i timori, che pervadono la vita umana, per
nasconderli sotto una finzione di tranquillità. 7
Staccandoci dall’età classica e ampliando la visione, lo stesso tipo di maschera lo troviamo anche in
Umano, troppo umano , dove Nietzsche riconosce il carattere prettamente utilitario dei valori che
sono stati riconosciuti come universali soltanto per convenienza, come per esempio la giustizia.
Ci troviamo quindi di fronte a due tipi di maschera. Il primo è la maschera decadente, ovvero il
travestimento dovuto all’insicurezza e alla paura, l’invenzione degli dei; in questo caso si può parlare
come una liberazione DAL dionisiaco, in quanto in questo modo fuggiamo e allontaniamo i nostri
istinti. Mentre la maschera non decadente nasce dalla sovrabbondanza e dalla libera forza plastica del
dionisiaco; si parla ora di liberazione DEL dionisiaco, che, rapportata alla tragedia, si ha quando
vengono rappresentate le vicende di Dioniso o quando gli uomini incarnano i satiri e, allora, invece di
passare dal dionisiaco all’apollineo si ha il procedimento inverso.
Tramite questi processi, Nietzsche ha distrutto l’ideale della cultura classica come verità, rivelandola
come mondo della finzione e della maschera.
Si pone così il problema della decadenza, ovvero del passaggio dalla libertà dionisiaca (maschera
buona) al travestimento (maschera cattiva). La maschera cattiva nasce dalla maschera buona, quando
si sviluppa un linguaggio formale e la grammatica: il linguaggio chiaro ed ordinato si contrappone al
mondo caotico delle prime impressioni; infatti nella lingua si esprime l’ordine sociale.
Ciò che distingue il travestimento, la maschera cattiva, da quella buona è che nella prima il soggetto
non si perde in essa, ma la utilizza per definire le strutture della società; infatti la decadenza non
consiste nel mascheramento in sé, ma nel suo irrigidimento in ruoli stereotipati.
L’arte
L’arte, una delle forme della maschera cattiva, ha una
posizione speciale rispetto alle altre, anche se la
soluzione estetica della decadenza non ha supporti
validi, tanto che lo stesso Nietzsche la abbandona.
Il primo motivo della sua decadenza è il legame con la
religione e la metafisica: l’arte si è sempre fatta simbolo
dell’idea che in essa l’essenza confusa della realtà si
realizzi e diventi più pienamente evidente. Per questo
l’arte può sostituirsi alla religione, in quanto si fa
portatrice di contenuti religiosi e soddisfa le esigenze
emotive e sentimentali; come la metafisica, l’arte, invece
di avere una funzione veramente rassicurante, accentua
in noi i residui metafisici. La rassicurazione estetica è
come un rovesciamento della realtà, liberandoci
momentaneamente dal necessario.
Perché tra tutte le maschere, l’arte è quella privilegiata?
Nell’arte, più che nelle altre forme simboliche, si mima la continuità dionisiaca, in contrasto con le
regole sociali e morali. L’assurdo dell’arte è rappresentare una rottura dei limiti della vita comune.
L’arte è l’anello di contatto tra la crisi della maschera cattiva e la nascita della buona volontà, grazie al
residuo dionisiaco sul quale si fonda. La buona volontà della maschera non ha solo una funzione di