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vita di Cecilia, le sue abitudini, la sua famiglia, la sua casa, in cui si muove
come un corpo estraneo, come se non si rendesse davvero conto dello
squallore che la circonda (terribili le descrizioni della sua casa, nonché di un
padre vicino alla morte, muto di fronte alla realtà che lo circonda). Il tentativo
di Dino è quello di voler giungere a quel possesso che il rapporto amoroso gli
negava. Più Cecilia si dimostra inafferrabile ed autonoma, più Dino la desidera.
Fino a quando la ragazza è stata a sua completa disposizione, il suo rapporto
con lei non era autentico perché basato sulla fisicità, piuttosto che sulla reale
conoscenza della sua intima essenza. È il denaro a contaminare di noia
l’infanzia, la giovinezza e l’intera esperienza esistenziale di Dino, come già si è
detto; ed è col denaro che Dino, in un istante del suo agire isterico, ricopre
interamente il corpo di Cecilia cercando così di ridurla ad una banale prostituta,
di annoiarsi così di lei e di liberarsi del suo tormento, compiendo un atto di
certa allegoria. La noia li ha fatti conoscere, la noia lo ha fatto innamorare di
lei, ed è attraverso il tentativo di annoiarsi di lei che lui si illude di liberarsene.
Per riuscire a possederla Dino cerca di trovare ogni metodo possibile, le
propone anche di sposarla: una volta divenuta sua moglie, Cecilia diventerà
una casalinga moglie borghese e perderà il suo fascino inquietante: ma lei
rifiuta e parte in vacanza con il suo amante. Alla fine Dino, disperato e
tormentato dalla noia esistenziale, si lancia in una corsa folle con la sua
automobile, ma a causa di un incidente (non si sa fino a qual punto casuale)
rischia di morire; durante la convalescenza si accorge, finalmente, che può
vedere con gioia gli oggetti, che finalmente è in grado di riconoscere la realtà,
e di avere una relazione con essa. Dino che si avvicina alla morte, non
riuscendo a trovare alcuna speranza nella vita, riesce, davanti ad un albero, a
vedere per la prima volta la realtà com’è e ad interagire con essa, nell’unico
modo che conosce. Si accorge, infine, di avere rinunciato a Cecilia, pur senza
"e, strano a dirsi, proprio a partire da questa rinunzia, Cecilia
cessare di amarla
aveva incominciato ad esistere" per lui. “La realtà è la realtà”, non la si può
possedere”. “La realtà è la realtà”, si può solo contemplarla. Non è una presa di
posizione attiva o positiva, ma il riflesso di una rinuncia alla lotta,
nell’estremizzazione di un pessimismo ormai consapevole e accettato.
Arthur Schopenhauer
Arthur Schopenhauer e Søren Kierkegaard sono attivi nella prima metà dell’800
(Enten-Eller è stato pubblicato nel 1843 mentre Il mondo come volontà e
rappresentazione nel 1818). Sono entrambi filosofi irrazionalisti antitetici
all’idealismo (rappresentato dal suo massimo esponente, Hegel). Le delusioni
per le nuove trasformazioni dell’epoca dovute alla rivoluzione industriale
| 10
portano alcuni a veder crollare le speranze illuministiche di una ragione votata
al progresso destinato a portare benessere. La povertà e le disgrazie di un
mondo dove la ricchezza continuava ad essere gestita da pochi, che
sfruttavano il lavoro e la fatica di altri, che erano costretti a morire di fame per
le strade spinge molti a rifugiarsi in un pessimismo esistenziale condiviso.
Questa atmosfera di tristezza, unita alle vicende personali di questi due filosofi
(Schopenhauer visse il suicidio del padre, ed ebbe per tutta la vita pessimi
rapporti con la madre) li portò ad approdare al pensiero pessimista e a
prendere in considerazione il mal di vivere, in quanto la via più coerente con i
tempi e sentita meno falsa. Schopenhauer diceva parlando dell’ottimismo di
“è non solo una dottrina assurda, ma anche iniqua, un amaro scherno
Hegel
dei mali innominabili sofferti dall’umanità” 8 . Sempre criticando Hegel,
“tutto ciò che è reale è razionale,
Schopenhauer negava la veridicità della frase
tutto ciò che è razionale è reale” 9 (il pensiero è razionale in quanto trova
corrispondenza con la realtà, e nella realtà non esiste niente al di fuori del
pensiero), perché non spiegava il suo concetto chiave, la “volontà”. Il principio
trascendentale unico non è più la ragione, ma questa “volontà” cieca,
irrazionale e bieca. Questo impulso primordiale che muove ogni cosa si
identifica nel nuomeno di Kant (ritenuto da l’inconoscibile “cosa in sé” che
Schopenhauer ritiene di aver svelato) che gli idealisti avevano frainteso
identificandolo con l’Assoluto, cioè il pensiero, sintesi di ideale e reale.
Attraverso il pensiero invece Schopenhauer vede oltre il fenomeno, elemento
soltanto illusorio, che gli permette di squarciare il “velo di maya” indiano per
vedere la realtà. Per vedere la Voluntas. La Volontà in quanto tale vuole tutto e
niente può compensare questo volere privo di un oggetto determinato. La
Voluntas appartiene, come si è già detto, al mondo noumenico, ed è quindi
esterna alla distinzione soggetto-oggetto; essi sono entrambi espressione della
volontà fattasi materiale (le cose) ed astratta (il pensiero, che è quindi solo un
sogno, una mera illusione). Questa forza è dentro di noi e ci anima, è la volontà
che oggettivata in ogni soggetto gli impone di esistere, con l’unico obiettivo di
perpetuare se stessa; non è individuale, poiché l’individualità presuppone una
distinzione tra sé e l’altro, in questo modo esisterebbe la volontà “di qualcuno”
e “di qualcun altro”, perdendo la sua unicità. La Voluntas è irrazionale, dato che
è anteriore alla differenza soggetto-oggetto, è metafisicamente anteriore al
sorgere della ragione; è priva di senso: Il suo divenire, il suo movimento non ha
alcun motivo, non ha scopo. La volontà è infinita, non ha né parti, né limiti né
confini. Questa volontà si oggettiva nell’uomo sottoforma dei suoi molteplici
desideri, che necessitano costantemente di essere appagati. Per i pochi che
riusciamo a soddisfare ne nascono sempre di nuovi, la vita è un continuo
“è come l’elemosina che si getta ad
alternarsi di illusioni e delusioni. Il piacere
un mendicante, che gli salva la vita oggi per prolungare i suoi tormenti sino
all’indomani” .
10 Il vero benessere è la tranquillità d’animo, preclusa dalla
volontà di vivere. La caratteristica essenziale dell’uomo è il volere ciò che non
ha, e questa continua mancanza genera dolore. Quando la volontà non ha più
un oggetto, perché l’uomo è ormai stufo di quelli che ha a disposizione (o sono
troppo facili da conquistare), sopraggiunge la Noia. Quindi appena l’uomo
riesce, soddisfacendo alcuni dei suoi desideri, a trovare una tregua al suo
dolore, sente un temendo senso di vuoto; e la sua essenza (il volere) diventa
Il mondo come volontà e rappresentazione.
8 Schopenhauer,
Lineamenti di filosofia del diritto (Prefazione),
9 Hegel, Laterza, Bari, 1954, pag.15.
Il mondo come volontà e rappresentazione.
10 Schopenhauer, | 11
per lui un peso intollerabile. L’uomo è il più infelice degli esseri perché è l’unico
consapevole di questo. Il primo impulso è la volontà di vivere, ma quando
l’esistenza è assicurata diventa inutile. Il secondo impulso è quello di
“ammazzare il tempo”; poiché è diventato vuoto, e ci fa sentire schiacciati dal
peso dell’essere (la volontà perpetua e sempre insoddisfatta), si cerca di
“La vita oscilla così, come un
riempirlo in tutti i modi, con futili passatempi.
pendolo, di qua e di là, fra il dolore e la noia, che sono i suoi veri elementi
costitutivi” 11
. Il dolore caratterizza in particolare i poveri (pieni di necessità
vitali insoddisfatte, tipo la fame), mentre la noia i ricchi (che in quanto tali
hanno tutto, ma continuano a desiderare qualcosa, senza sapere cosa, cadendo
nella noia). La vita è una continua battaglia per l’esistenza (che genera ansia)
consapevoli dell’inevitabile sconfitta finale. Quello che muove ogni nostro
pensiero, ed ogni nostra azione è la paura di morire. La vita è essa stessa un
“perenne morire” (ogni istante che passa ci è sottratto alla nostra esistenza), e
“è un mare pieno di
“una caduta costantemente trattenuta” (la vecchiaia),
scogli e di vortici, ai quali l’uomo cerca di sfuggire con massima prudenza e
cura, pur sapendo che, anche quando riesca con sforzi e precauzioni a
scamparne, si avvicina ad ogni passo, anzi vi dirige in linea retta il timone, al
totale, inevitabile, irreparabile naufragio: la morte” 12 . La condizione umana è
contraddittoria: il desiderio di vivere porta a quello di morire (e liberarsi dal
dolore). Infatti il piacere non è reale, dato che è solo la temporanea
soppressione del dolore. Il dolore è l’unica realtà. Il dolore è positivo, in quanto
si pone da sé, il piacere è negativo, in quanto consiste unicamente in una
“Sentiamo il desiderio, come sentiamo la fame e la sete;
negazione del dolore.
ma appena esso è soddisfatto, non abbiamo più niente a che fare con esso,
come avviene col boccone goduto, il quale nel momento in cui viene ingoiato,
cessa di esistere per la nostra sensibilità” .
13 La condizione umana è assurda:
più i piaceri crescono e perdurano, più diminuisce la nostra sensibilità verso
essi (più un piacere è abituale meno rimane godimento col passare del tempo)
ma aumenta la sensibilità al dolore (più un piacere è abituale più è dolorosa la
sua privazione/mancanza). Così più si ha, e più si sente il bisogno, e il dolore
Le ore passano tanto più veloci
(che può solo che aumentare senza fine). “
quanto più sono piacevoli, tanto più lente quanto sono penose, poiché ciò che
è positivo non è il godimento, ma il dolore, la cui presenza si rende sensibile
(dato che è l’unica cosa reale). La nostra esistenza è più felice allorchè meno
ce ne accorgiamo: ne consegue che sarebbe meglio non averla ” . Quindi
14
anche la coscienza è una maledizione, l’ignoranza un vantaggio per la nostra
illusoria felicità. Schopenhauer propone delle soluzioni per uscire da questo
vortice, ad esempio l’arte. Il compito dell’arte è di condurre il soggetto
conoscente a liberarsi della propria individualità e del proprio asservimento alla
volontà per cogliere le idee nella loro purezza. La conoscenza rappresentativa
deve essere superata in direzione di una conoscenza che contempla l’oggetto
“Il
singolo per cogliervi l’idea, al di fuori di ogni correlazione con altri oggetti.
soggetto cessa di essere puramente individuale, e diviene soggetto conoscente
puro e libero dalla volontà” .
15 L’arte permette di astrarre dalle cose particolari e
dalle loro relazioni per divenire “soggetto puro della conoscenza”, un soggetto
Ibidem.
11 Ibidem.
12 Ibidem.
13 Il mondo come volontà e rappresentazione
14 Schopenhauer, (l’inciso l’ho aggiunto io)
Ibidem.
15 | 12
che finisce per perdersi nell’intuizione, dimenticando la propria individualità.
Schopenhauer presenta una vera e propria gradazione delle forme d’arte che
va dal grado più basso di oggettivazione della volontà a quello più alto.
L’architettura, la poesia, la tragedia, e infine la musica, l’arte per eccellenza. La
musica è come un idea, vera e propria oggettivazione pura della volontà, non è
“ripetizione di qualche idea degli esseri di questo mondo” “La musica,
la .
infatti, non esprime il fenomeno, ma soltanto l’intima essenza, l’in sé di ogni
fenomeno, la volontà stessa” 16 . In tutto questo il piacere estetico assume la
forma di una consolazione, capace di liberarci dal dolore e dalla sofferenza,
anche se in forma momentanea e transitoria. Il secondo metodo è quello della
compassione. La morale della compassione è intesa come un profondo
impegno nel mondo a favore del prossimo, con lo scopo di superare l’egoismo
umano che risulta spesso essere il fattore scatenante dello stesso dolore.
Schopenhauer con il termine compassione intende un sentimento di pietas
attraverso il quale l’uomo avverte negli altri le proprie sofferenze, giungendo