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Introduzione
Ho scelto di sviluppare questo percorso interdisciplinare attorno l’argomento della magia e della superstizione con l’intento di mostrare come le credenze superstiziose, i riti e il mondo del magico in generale non siano soltanto caratteristica delle popolazioni primitive e del mondo antico ma siano parte integrante della cultura antica così come di quella contemporanea. Il percorso si articola a partire da uno sguardo sul mondo della letteratura, dove ho messo in luce il tributo nei confronti della magia a partire da Omero sino alle avanguardie letterarie di inizio Novecento e alla produzione romanzesca moderna. Lo sguardo passa poi al mondo dell’arte dove, a partire da un’opera di Breton ,intitolata “L’arte magica”, mi sono addentrata nelle due correnti artistiche del Surrealismo e della Metafisica che, più di molte altre, sono in grado di rigenerare la magia che, secondo Breton, genera l’arte. Infine ho scelto di collocare in chiusura della tesina, come summa degli aspetti affrontati nelle varie discipline, la sezione di filosofia. L’antropologia e la sociologia hanno dedicato volumi interi alla storia dell’uomo, alle credenze e ai culti che hanno favorito lo sviluppo della società.
L’antropologo Frazer, ad esempio, ha cercato di rintracciare nelle credenze magiche prima e in quelle religiose poi il senso di una utilità sociale. Gli innumerevoli casi etnografici che egli descrive nelle proprie opere sono tutti tesi a dimostrare come in certe razze e in determinate epoche della loro evoluzione alcune istituzioni che tutti noi, consideriamo benefiche, si fondino almeno in parte sulla superstizione. Molte tra le nostre principali istituzioni civili hanno potuto derivare gran parte della loro forza da credenze che noi saremmo pronti a condannare come assurde.
Se la superstizione contribui a mantenere in vigore quelle istituzioni che, sole, garantiscono la sopravvivenza della società, non vi è dubbio che essa sia al servizio di un intrinseco bisogno di sicurezza dell’umanità.
La magia e l’esoterismo non sono scomparsi , sono ancora parti integranti della quotidianità del nostro XXI secolo. Il passaggio di un gatto nero, lo specchio rotto, il sale versato, l’abbigliamento rosso di capodanno e le lenticchie con il cotechino per propiziare un anno “ricco” …che tali sopravvivenze siano riscontrabili in diverse nazioni civili nessuno lo mette in dubbio. Quando leggiamo di una donna irlandese cui il marito avrebbe dato fuoco per il sospetto che non fosse sua moglie ma che fosse stata sostituita con arti magiche (questo accadde nella contea di Tipperary nel marzo 1895 a Ballyvadlea) o ancora della donna inglese morta di tetano perché aveva medicato il chiodo che l’aveva ferita invece della ferita stessa (questo accadde a Norwich nel giugno 1902), possiamo stare certi che le credenze di cui quelle povere creature caddero vittime non le avevano apprese a scuola né in chiesa ma fossero state tramandate loro da antenati davvero selvaggi. Se ci chiediamo come le superstizioni permangono in una popolazione che in generale ha raggiunto un livello alto di cultura la risposta va cercata nella naturale disuguaglianza fra gli uomini.
Le superstizioni sopravvivono perché in cuor loro gli uomini sono ancora barbari e selvaggi. Ciò spiega perché le barbare punizioni inflitte per alto tradimento o per stregoneria, siano state tollerate fino a pochi secoli fa. In Inghilterra le streghe venivano bruciate pubblicamente e i traditori squartati pubblicamente, mentre la schiavitù è sopravvissuta ancora più a lungo come forma legalmente riconosciuta. Nella società civile le persone più colte non hanno nemmeno idea di quante reliquie dell’ignoranza selvaggia sopravvivano alle loro porte.
giovenche e sette pecore, secondo il rituale, per accedere poi senza indugi nell’antro profetico.
Scavato nell’immenso fianco della rupe, perforato da cento fenditure dalle quali escono, come da
bocche della roccia, i responsi emessi nei recessi più interni (secreta), lo speco fa da cornice alla
figura della Sibilla. L’aspetto e le parole della maga ispirano un sacro terrore in chi si reca a
consultare l’oracolo. All’approssimarsi del dio, la sacerdotessa cambia aspetto e colore, i suoi
lineamenti si contraggono, i suoi movimenti diventano scomposti e i capelli ricadono in
disordine. La voce non ha più nulla di umano. Un gelido brivido di religioso terrore (tremor)
corre per le ossa dei Teucri. La descrizione dell’antro, avvolto da una perturbante aura di mistero
sovrannaturale, unitamente al delirio estatico della profetessa, introduce al clima “infero” del
canto, che è certo, fra i canti del poema, quello più pervaso da un’ispirata e tenebrosa sacralità.
Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum
quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,
unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.
Ventum erat ad limen, cum virgo < Poscere fata
tempus> ait, <deus, ecce, deus!> cui talia fanti
ante fores subito non voltus, non color unus,
non comptae maniere comae; sed pectus anhelum,
et rabie fera corda tument; maiorque videri
nec mortale sonans, adflata est numine quando
iam propiore dei. <Cessas in vota precesque,
Tros> ait < Aenea? Cessas? Neque enim ante dehiscent
attonitae magna ora domus>. Et talia fata
conticuit.
“ Un fianco della rupe euboica è tagliato a (formare) un antro immenso, verso il quale conducono cento larghi passaggi, cento
imboccature, dalle quali erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla. Si era giunti alla soglia quando la vergine: <E’ tempo
di chiedere (quali siano) i decreti del fato” disse, “il dio, ecco il dio!>. E a lei che diceva tali parole davanti alle porte cambiò
all’improvviso il volto, cambiò il colore, si sciolsero i capelli. Ma il petto diviene ansante e il cuore selvaggio si gonfia di furore.
E’ più alta a vedersi ed emette suoni non umani, poiché è ispirata dal nume del dio ormai sempre più vicino. < Indugi a esprimere
voti e preghiere, o Enea troiano, indugi? Perché non apriranno prima le grandi porte della dimora ispirata..”
Le Plutonie
Presso Cuma, vicino al lago Averno, si credeva che ci fosse anche l’apertura che portava agli
Inferi. Nell’antichità si riteneva che al mondo dell’aldilà, collocato sotto la superficie della terra,
si potesse accedere attraverso speciali aperture, che venivano chiamate plutonie ed erano poste in
luoghi orridi e selvaggi. In Grecia vi erano numerosi “ingressi agli Inferi” descritti dal mito:
particolarmente famosa la caverna presso il Tenaro nel Peloponneso, attraverso la quale sarebbero
passati per discendere all’Ade Orfeo ed Eracle. Vi sarebbe passato anche Plutone per portare
Persefone agli Inferi. Altre importanti plutonie erano poi quella di Colono presso Atene e quella
di Trezene. Numerose erano anche le plutonie in Asia Minore e in Sicilia. In questi luoghi
esisteva poi un luogo detto psychomantéion ,dove venivano evocate le anime dei defunti, in
genere per interrogarle sul futuro. 5
Le Sibille La parola Sibilla appare per la prima volta in Eraclito intorno al
500 a.C. ed era usata anticamente come nome proprio di donna
dotata di facoltà profetiche. In seguito, forse anche come effetto
delle leggende che ne narravano le sue peregrinazioni, si
trovano più Sibille in luoghi diversi e alcune anche con nomi
personali. Il termine, quindi, diviene generico e indica
profetesse che vaticinavano in stato di estasi per ispirazione di
Apollo, il dio oracolare per eccellenza. Della Sibilla Cumana
Varrone dice che scriveva i suoi versi su foglie di palma; nel
poema Enea la pregherà di non scrivere il vaticinio sulle foglie,
per evitare che vadano disperse nel vento, come pare accadesse
di frequente. Il nome Sibilla, secondo fantasiose fonti antiche,
deriverebbe da siòs (forma dialettale di theos, “dio”) e bòlla
(forma eolica per boulé “consiglio”); il nome cioè
significherebbe “colei che dà consigli ispirata dal dio”. La
Sibilla Cumana che Virgilio chiama Deifobe, figlia del dio
marino Glauco, sarebbe stata la più vecchia. Originaria della Troade, sarebbe venuta in Campania
dopo la caduta di Troia. Alcuni secoli dopo (la vita delle Sibille poteva durare anche mille anni)
avrebbe venduto a Tarquinio il Superbo i libri Sibyllini ,che vennero conservati da un apposito
collegio sacerdotale, per essere poi consultati per ordine del Senato nei momenti di crisi dello
Stato (Livio XI,8). I libri sibillini vennero distrutti da un incendio nell’83 a.C. e furono quindi
sostituiti da una copia. L’ultima consultazione è del 363 d.C. ; infine furono tutti bruciati intorno
al 408 d.C. (Rutilio Namaziano II,52). Grazie anche all’autorità di Virgilio, che nella IV Ecloga
fa riferimento alle profezie sibilline per annunciare l’inizio di una nuova età dell’oro, i cristiani,
interpretando le parole di Virgilio come annuncio della nascita di Cristo e attuando sui testi
sibillini numerose interpolazioni e rifacimenti, hanno trasformato le Sibille in profetesse
dell’avvento del cristianesimo e ciò spiega la loro fortuna nell’arte e nelle letterature successive.
…A proposito della consultazione dei libri sibillini e alle vicende dei cristiani, interessante è un
Tacito
paso di del libro XV (cap.44) degli Annales, dove lo storico tratta dell’incendio di Roma
e della strage dei cristiani. In questo tragico frangente pare che furono consultati i libri della
profetessa Cumana per meglio comprendere l’accaduto e cercare di sanare la situazione assai
critica.
Et haec quidem humanis consiliis providebantur. Mox petita a dis piacula aditique Sibyllae libri, ex
quibus supplicatum Volcano et Cereri Proserpinaeque, ac propitiata Iuno per matronas, primum in
Capitolio, deinde apud proximum mare, unde hausta aqua templum et simulacrum deae perspersum est
[…]
“E appunto questi fatti si svolgevano per decisioni umane. Subito furono compiute espiazioni nei confronti degli dei e furono
consultati i libri della Sibilla, dai quali si supplicò a Vulcano, a Cerere e a Proserpina, essendo stata propiziata Giunone, attraverso
le matrone, prima sul Campidoglio, quindi presso il mare più vicino, da dove attinta l’acqua, vennero aspersi il tempio e la statua
della dea.” 6
Secondo voci insistenti, l’incendio che aveva distrutto buona parte della città di Roma nel 64 d.C.
sarebbe stato provocato intenzionalmente da qualcuno. Per stornare i sospetti da sé, Nerone
accusò la comunità cristiana di Roma. Nella breve digressione sui Cristiani, Tacito, pur sapendoli
innocenti, li definisce come rei e meritevoli di supplizi: infatti, era opinione comune che la fede
cristiana fosse una “superstizione” e che comunque la comunità si macchiasse di numerosi
crimini e scelleratezze di ogni genere (per esempio il sacramento dell’eucarestia veniva
interpretato come un atto di cannibalismo). Nella parte finale Tacito tuttavia riconosce la crudeltà
di Nerone, interessato solamente a soddisfare i propri interessi, nell’esecuzione di un martirio
effettivamente ingiusto.
[…] repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum erumpebat, non modo per Iudeam, originem
eius mali, sed per urbem etiam, quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque.
“E repressa sul momento , l’odiosa credenza prorompeva di nuovo, non solo per la Giudea, terra d’origine di quel male, ma anche
per la città, dove tutte le cose atroci o le vergogne da ogni luogo confluiscono e si diffondono.”
LA CATABASI – la discesa agli inferi -
Il ramo d’oro
Durante il rito di invasamento divino, il dio Apollo parla per bocca della sacerdotessa: Enea è
ormai giunto alla fine delle sue peregrinazioni per mare, ma lo attendono nuove orride guerre: è
infatti già nato un nuovo Achille (Turno) che combatterà contro di lui. L’eroe non si spaventa e
chiede alla Sibilla un aiuto concreto: che l’accompagni fin giù all’oltretomba per incontrarsi con
l’ombra di Anchise. La Sibilla risponde positivamente, avvertendo però che mentre la discesa
nell’Averno è facile, è assai più difficile tornare poi sulla terra. Enea dovrà trovare nella selva un
piccolo ramo d’oro da donare alla regina infernale Proserpina: se i fati lo vorranno, egli lo potrà
strappare facilmente con la mano; se saranno avversi invece non potrà staccarlo neppure con la
sua spada.
[…] intanto, guardando l’immensa selva, medita questo con triste cuore, e gli accade di pregare così: “Se ora ci si mostrasse
quel ramo d’oro sull’albero in una foresta così sconfinata! Perché la veggente, purtroppo, ha detto tutto con verità di te, o
Miseno”. Aveva parlato così, quando per caso una coppia di colombe proprio davanti al suo sguardo sopraggiunse a volo e si
posò sul verde suolo …quelle, pascendosi, avanzarono tanto con il volo, quanto potesse scorgere lo sguardo di chi le seguisse …
e, discese per la limpida aria, si posano nel luogo desiderato sul duplice albero di dove diverso rifulse pei rami il soffio
scintillante dell’oro.
…Lo afferra subito Enea e avido lo strappa riluttante, e lo porta nell’antro della veggente Sibilla […].
Questo passo è particolarmente significativo, in quanto compare qui un vero e proprio simbolo
magico, il ramo d’oro, oggetto di disparate interpretazioni fin dall’antichità: è diffusa
convinzione degli interpreti moderni che la sua origine vada ricercata nelle dottrine misteriche , e
in particolare nell’orfismo: la ricerca del ramo e la sua offerta sembrerebbero passaggi, volti a
placare le divinità infere, di un rito iniziatico. 7
Dentro le viscere della terra
Un senso di profonda oscurità avvolge l’inizio della catabasi di Enea: a indicare il segreto di un
mondo che solo a pochi è stato concesso di penetrare da vivi. L’Averno virgiliano appare pauroso
e buio, ma non desolato come l’Averno omerico, né luogo di eterna pena come l’Inferno
cristiano: esso è piuttosto un luogo che custodisce le radici profonde del vivere, il senso ultimo
delle cose, almeno nei campi Elisi, il seme della rinascita. Tutto il canto riflette l’esperienza delle
iniziazioni, nonché antichissime pratiche sciamaniche: come lo sciamano, l’eroe scende agli
inferi per ricevere rivelazioni delle quali potrà giovarsi la comunità cui egli appartiene; come
l’iniziato egli riceverà da questa esperienza una particolare investitura che farà di lui un essere
eletto, darà autorità alle sue parole e al suo agire.
“Ed ecco, alla soglia dei primi raggi del sole, la terra mugghiò sotto i piedi, i gioghi delle selve cominciarono a tremare, e
sembrò che cagne ululassero nell’ombra all’arrivo della dea. < Lontano, state lontano, o profani – grida la veggente, - e
allontanatevi da tutto il bosco; e tu intraprendi la via, e strappa la spada dal fodero; ora necessita coraggio, Enea, e animo
fermo>…egli con impavidi passi si affianca alla guida che avanza. Andavano oscuri nell’ombra della notte solitaria e per le
vuote case di Dite e i vani regni: quale il cammino nelle selve per l’incerta luna, sotto un’avara luce, se Giove nasconde il cielo
nell’ombra, e la nera notte toglie il colore alle cose.”
A questo punto è doveroso fare un parallelismo con il libro X e XI dell’Odissea, dove è a sua
volta protagonista di una discesa agli inferi Ulisse. L’eroe è solo nell’impresa, ma può far
affidamento sui consigli di un’incantatrice bellissima e terribile, che assolve la stessa funzione
della Sibilla Cumana nell’Eneide : la maga Circe.
LA MAGA CIRCE - il libro X -
Dopo la fuga dalla terra dei Ciclopi, l’approdo all’isola di Eolo e la lotta sanguinosa nella terra
dei Lestrigoni la nave di Odisseo approda su una misteriosa isola che sembra disabitata: l’unico