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Sintesi Magia della lingua - Tesina
Questa tesina di maturità prende in esame il tema del potere ammaliatorio del linguaggio, il quale si è espresso attraverso l'arte della retorica e dell'oratoria nel corso della storia. Nella tesina si è posta in risalto la retorica, termine che deriva dal greco ῥητορικὴ τέχνη (rhetotikè téchne) “arte del dire”, è l'arte dell’uso della parola, ossia l’arte di persuadere mediante l’uso di strumenti linguistici. Il termine, etimologicamente, deriva dal verbo greco “eiro” che significa “dichiaro”, “dico” e dallo stesso verbo nella forma medio-passiva “eiromai”, che significa “mi rivolgo a qualcuno”. Diogene Laerzio ne determina il significato in relazione alla dialettica, definendola “arte del parlare rettamente nel caso di discorsi continui esposti in modo continuo”.
La definizione di arte segue alla sua originaria connotazione pratica, di disciplina sviluppatasi nell’ambito dei procedimenti giudiziari e assembleari, dove le si richiedeva di fornire le strategie per guadagnare il consenso degli interlocutori o di una giuria. Essa è, così, la disciplina che, studiando il metodo di composizione dei discorsi, può essere definita un metalinguaggio, ovvero un “discorso che assume come oggetto il discorso”, avente come scopo la persuasione intesa come approvazione della tesi che l'oratore propone da parte dell'uditorio al quale si rivolge. Se da un lato la persuasione consiste in un fenomeno emotivo di consenso psicologico, dall'altro ha una base epistemologica, intesa come studio degli elementi che, connettendo diverse proposizioni tra loro, portano ad una conclusione condivisibile. Il lavoro prosegue poi, con collegamenti interdisciplinari alle altre materie di studio.
Collegamenti
Magia della lingua - Tesina
Latino - La retorica dall'età classica; cenni su funzione del discorso retorico; Cicerone (cenni); Quintiliano.
Storia - Mussolini e il primo periodo fascista (prima della totale acquisizione del potere).
Italiano - D'Annunzio.
Liceo Scientifico Michelangelo
Classe V H
La magia della lingua è il
più pericoloso di tutti gli
incanti
Tesina di Diploma di:
Alessandro Martis
Anno scolastico 2012/2013
La retorica e l’oratoria (rhetotikè téchne)
La retorica, termine che deriva dal greco ῥητορικὴ τέχνη
“arte del dire”, è l'arte dell’uso della parola, ossia l’arte di persuadere
mediante l’uso di strumenti linguistici. Il termine, etimologicamente, deriva
“eiro”
dal verbo greco che significa “dichiaro”, “dico” e dallo stesso verbo
“eiromai”,
nella forma medio-passiva che significa “mi rivolgo a qualcuno”.
Diogene Laerzio ne determina il significato in relazione alla dialettica,
definendola “arte del parlare rettamente nel caso di discorsi continui esposti
in modo continuo”.
La definizione di arte segue alla sua originaria connotazione pratica, di
disciplina sviluppatasi nell’ambito dei procedimenti giudiziari e assembleari,
dove le si richiedeva di fornire le strategie per guadagnare il consenso degli
interlocutori o di una giuria. Essa è, così, la disciplina che, studiando il
metodo di composizione dei discorsi, può essere definita un metalinguaggio,
ovvero un “discorso che assume come oggetto il discorso”, avente come scopo
la persuasione intesa come approvazione della tesi che l'oratore propone da
parte dell'uditorio al quale si rivolge. Se da un lato la persuasione consiste in
un fenomeno emotivo di consenso psicologico, dall'altro ha una base
epistemologica, intesa come studio degli elementi che, connettendo diverse
proposizioni tra loro, portano ad una conclusione condivisibile. “Retorica”
Questa ricerca dei mezzi di persuasione viene portata avanti dalla
di Aristotele, che influenzò gli oratori nei secoli successivi, tra i quali i latini
Cicerone e Quintiliano. Il più antico trattato di retorica latina è invece la
“Rhetorica ad Herennium”, scritto a quattro mani da Cicerone e Cornificio,
inventio, dispositio,
che distingue le cinque fasi della stesura di un'orazione:
elocutio, memoria e actio. l'inventio,
La prima fase, che corrisponde al termine
(héuresis),
greco εὕρησις significa “ricerca”, “scoperta”, e consiste nella
ricerca dei possibili mezzi persuasivi, funzionali allo scopo dell’orazione:
l'oratore, classificando i vari argomenti, stabilisce quali siano quelli da
preferire. Argomentazione e persuasione sono, quindi, chiaramente collegate,
ma la seconda può essere ottenuta attraverso una dimostrazione o un atto di
seduzione. Tuttavia, mentre la dimostrazione, oggettiva e rigorosa, mira alla
creazione di posizioni inattaccabili, la seduzione mira semplicemente ad
influenzare e manipolare l'uditorio facendo ricorso a sentimenti e sensazioni.
L'argomentazione si colloca tra queste due, in quanto mira a persuadere
facendo leva sulle passioni ma cerca di farlo in maniera rigorosa,
differenziandosi dalla dimostrazione in quanto parte da posizioni non evidenti
ma verosimili. dispositio
La seconda fase della strutturazione del discorso è la (in greco
τάξις, taxis), cioè l'organizzazione del discorso stesso, che consta di diverse
l'exordium, narratio, l'argumentatio peroratio.
parti: la e, per ultima, la
exordium),
L'esordio (προoίμιον, è la parte con la quale si apre l'orazione,
nella quale viene esposto l'oggetto del discorso; la sua funzione principale
(captatio benevolentiae).
risulta essere l'accattivarsi i favori del pubblico
narratio),
L'esposizione (διήγησις o anche ῥῆσις, è il resoconto, chiaro e
verosimile, dei fatti che vengono affrontati, in modo tale che risulti funzionale
all'argumentatio, cuore del discorso persuasivo.
peroratio)
L'epilogo (ἐπίλογος, è la parte conclusiva dell'orazione, che, da un
lato, riprende e riassume le cose dette, enumerando i punti fondamentali
(enumeratio), ratio posita in
dall'altro fa leva sui sentimenti dell'uditorio (
affectibus). lexis)
L'elocuzione o elocutio (in greco λέξις, è la parte che invece si occupa
dello stile da scegliere affinché il discorso risulti efficace.
memoria
La ricopre un ruolo fondamentale nel discorso, poiché permette di
ricordare la struttura e gli argomenti, senza incorrere nel pericolo delle
dimenticanze.
Infine, il retore deve anche essere in grado di recitare la propria orazione di
actio pronunciatio
fronte a un pubblico: è la fase dell' o (in greco ὐπόκρισις,
hypókrisis). Necessarie divengono, quindi, le capacità di recitazione, in modo
tale da coinvolgere il pubblico con i gesti e il tono della voce.
Funzioni del discorso persuasivo
È Quintiliano che indica quali debbano essere le funzioni che un discorso deve
docere et probare, delectare,
assolvere: ossia informare e convincere; ovvero
movere,
catturare l'attenzione e l'interesse con un discorso vivace; e infine
commuovere il pubblico per far sì che sposi la tesi dell'oratore. Inoltre
tre
l'oratore, per poter essere il più persuasivo possibile, deve seguire
principi: non parafrasi,
quello di ovvero il discorso, per essere efficace, non
deve essere parafrasabile e non può offrire la possibilità di poter sostituire i
suoi enunciati senza che vi sia una perdita di informazioni o una sensibile
chiusura,
alterazione del senso; quello di che consiste nel rendere
impossibile, o quasi, ad un avversario, ribattere a quanto detto; infine, il
trasferimento,
principio di ossia il discorso, per essere persuasivo, deve
presentare una convinzione accettata dall'uditorio e trasferita sull'oggetto del
proprio discorso. Un'opinione radicata nelle menti di molte persone, infatti,
anche se relativa, apparirà comunque vera agli occhi dei più.
I generi del discorso
La retorica classica distingue tre generi di discorso in base al loro oggetto
(causa): quello giudiziario, quello deliberativo e infine quello epidittico.
genus judiciale,
Il genere giudiziario, (γένος δικανικόν) è il primo ad essere
nato. Veniva utilizzato in tribunale durante i processi per accusare o difendere
secondo il criterio del giusto. genus deliberativum,
Il secondo, (γένος συμβουλευτικόν) è invece il genere
usato in passato per rivolgersi a un'assemblea politica, quando, per lo più, si
doveva consigliare i membri della comunità secondo il criterio dell'utile.
genus demostrativum,
L'ultimo genere, quello epidittico, (γένος ἐπιδεικτικόν)
è quel genere inventato, secondo Aristotele, da Gorgia, e veniva utilizzato
quando si doveva tenere un elogio di qualcuno o quando, comunque, si doveva
parlare di fronte a un pubblico.
Le origini dell'oratoria
L'oratoria è nata in Grecia attorno al VII e VI secolo a.C.. Essa, nella storia
della letteratura, compare strettamente congiunta alla retorica, anche se
l’oratoria divenne un genere letterario autonomo solo a partire dal V secolo
proprio quando sorse la retorica. I primi manuali di retorica furono scritti da
due siracusani di cui non si sa quasi nulla: Corace e Tisia. I loro trattati erano
in buona parte una raccolta di discorsi esemplari, scritti in dialetto dorico.
Nata in Sicilia e sviluppatasi ad opera di Empedocle e Gorgia, durante il V
secolo l'oratoria si diffuse largamente ad Atene, grazie al diritto di partecipare
alla vita pubblica che la polis democratica riconosceva a tutti i cittadini liberi.
Sia nelle assemblee che nei processi il cittadino si presentava di fronte ad un
uditorio, la comunità, alla quale esponeva una deliberazione. Per far valere i
propri interessi e i propri diritti era necessario padroneggiare al meglio la
parola. Tuttavia, affinché l'oratore potesse aver successo, erano necessarie
preparazione e doti personali, e poiché non tutti potevano disporre di denaro
per studiare o la capacità di parlare in pubblico, presto si diffuse la pratica di
rivolgersi a un professionista della retorica, il logografo, il quale scriveva
discorsi. Biografi e storici ci riportano che, nel corso del V secolo, Temistocle e
Pericle, due dei più importanti uomini politici di Atene, riuscissero ad ottenere
il consenso del popolo con discorsi politici dall'elevato livello artistico. In età
alessandrina fu redatta la lista dei dieci oratori considerati modelli di retorica;
essi operarono tutti ad Atene tra il V e il IV secolo.
Tra questi si distinguono Lisia e Demostene.
Il primo fu soprattutto un oratore giudiziario, modello insuperato di sobrietà,
purezza di stile, forza semplice e stile tenue. Fu anche logografo e sostenne
l'importanza dell'etopea, ovvero la “caratterizzazione mimetica” intesa come
capacità di immedesimarsi nel carattere del personaggio che richiedeva il
discorso, per cui è tanto ammirato da antichi e moderni e che fa di Lisia un
interprete geniale del suo tempo.
Anche Demostene, vissuto nel IV secolo, all'inizio della sua carriera fu
logografo e si dedicò alla retorica giudiziaria. Ma la sua fama è dovuta
all'impegno nella vita pubblica e alla sua oratoria politica. In particolare si
Filippiche,
ricordano le discorsi con i quali l'oratore si opponeva alle mire
espansionistiche di Filippo II di Macedonia, presentandolo come un barbaro,
nemico dei valori della democrazia, mentre gli ateniesi erano invitati all'azione
per difendere la libertà delle città sotto assedio macedone. Lo stile di
Demostene si caratterizza quindi per vitalità, vigore, ricchezza di metafore,
iperboli, apostrofi e drammatici effetti a sorpresa: il pathos dei suoi discorsi
mirava a infiammare gli animi degli ascoltatori e persuaderli delle necessità di
impegnarsi attivamente nell'azione politica.
In ambito filosofico, Platone, contro il modello sofistico di retorica, espone, in
Fedro
particolare nel , il proprio modello di “retorica del vero”, cioè di un’arte
che non cerca il favore delle masse ma rende capaci di parlare e di pensare ed
è attenta ai contenuti. La retorica è solo strumento della dialettica che è il
vero metodo della filosofia in quanto in grado di condurre l'anima, attraverso
argomentazioni e ragionamenti corretti, alla scienza del bene (psicagogia).
Aristotele definì la retorica come l’arte di produrre discorsi convincenti
mediante entimemi, cioè sillogismi nei quali una premessa viene omessa in
ragione della sua ovvietà; essa altro non è che “la facoltà di scoprire in ogni
argomento ciò che è in grado di persuadere… e non costituisce una tecnica
intorno ad un genere proprio e determinato”. Aristotele riconosce alla retorica
una destinazione concreta di matrice politica anche se, considerando la natura
debole dei procedimenti e dei discorsi retorici, essa non possiede il rigore
formale della dimostrazione e non può prescindere dal contesto e dall’uditorio
che deve farsi trascinare dal flusso del discorso.
Nel III secolo a.C., fra gli oratori delle città dell’Asia minore, si consolidò un
tipo di eloquenza che prese il nome di “asianesimo” che, a detta di Cicerone,
privilegiò un periodare “rozzo e spezzettato” particolarmente sensibile
all’espressività e quindi molto lontano dalla sobrietà del modello lisiano al
quale dichiarava di ispirarsi. L'asianesimo si affermò anche a Roma intorno al
I sec. a.C. insieme ad una corrente rivale, l'atticismo che, nato sul finire del II
secolo come movimento di reazione contro l’asianesimo, mirava ad un’oratoria
semplice e concreta, priva di qualsiasi orpello emozionale. A Roma ottenne
l’adesione convinta di personaggi politici del livello di Cesare ed Augusto.
I Romani, con la conquista dell'Oriente e della Grecia a seguito della battaglia
di Pidna del 168 a.C., entrarono in contatto con la cultura ellenica, restandone
incredibilmente influenzati. Ma se l'oratoria in Grecia era un'arte, in linea di
principio, aperta a tutti, a Roma divenne ben presto uno strumento riservato
nobilitas
alla e assunse importanza nella formazione ideale specialmente di
quanti aspiravano alla vita pubblica. Inizialmente essa veniva considerata
all'otium,
un'attività legata cioè al tempo libero.
L'iniziatore della prosa oratoria latina è considerato Appio Claudio Cieco che,
nel 280 a.C., tenne un discorso per persuadere i senatori a non accettare le