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La seguente tesina di maturità ha come obiettivo quello di descrivere la storia della Juventus, la squadra di calcio italiana di proprietà della famiglia Agnelli. L’industrializzazione in Italia nei primi anni del 1900 con la nascita della Fiat, industria che rivoluzionò il concetto di “lavoro” in tutta Italia, rafforzando sempre più il proprio brand con il passare degli anni. La Fiat, nel dopoguerra, si è sostanzialmente riconvertita da fabbrica d'armi a fabbrica di automobili, facendo suo il concetto di "Fordismo" nel senso dell'efficienza delle produzioni e delle economie di scala ad esse legate.
Poi nella tesina descrivo anche la Fiat di Valletta, messo lì dalla saggezza del senatore Edoardo che riteneva il giovane Gianni ancora inadatto al ruolo di capo azienda. Valletta che insegnò il mestiere all'Avvocato Gianni, formandone il carattere e raffinandolo dal punto di vista manageriale. La crescita della Fiat simbolo - anche con l'indotto - del boom economico italiano nel decennio tra il 55 e il 65, favorendo l'integrazione nord sud con l'offerta di lavoro e di emancipazione a migliaia di immigrati meridionali che arrivavano a Torino con la valigia legata con lo spago. Gli Agnelli riuscirono a integrare il nord con il sud. In particolare, il Piemonte, dopo aver tolto il regno e il re al sud, e averlo invaso reprimendo nel sangue ogni ribellione più o meno legittimista, si riscattava e restituiva ciò che aveva preso con l'offrire lavoro e benessere a tanta mano d'opera che veniva dal sud, che veniva proprio da quelle terre invase e in un certo modo "violentate", manu militari, poco meno di un secolo prima.
Storia - La storia di Gianni Agnelli.
Italiano - Esposizione del testo poetico di Umberto Saba, Goal, diventato un marchio di fabbrica del culto del tifo calcistico italiano.
Progettazione: La costruzione del nuovo stadio: com’è stato costruito il nuovo impianto sportivo della Juventus? seguendo quale progetto? partendo da quale base? Definire com’è stato curato il progetto, da chi e perché è stato voluto fortemente dalla famiglia Agnelli. Storia di un progetto nato nei primi anni ’90.
Inglese - La storia di John Charles, il “gigante buono”.
“I veri eroi sono quelli che ogni giorno si alzano dal letto e affrontano
la vita anche se gli hanno rubato i sogni e il futuro.
Quelli che alzano la saracinesca di un bar o di un’officina, che vanno in
un ufficio, in una fabbrica.
Che non lottano per la gloria o per la fama, ma per la sopravvivenza”
Fabio Volo, Esco a fare due passi, 2001
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L’INDUSTRIALIZZAZIONE IN ITALIA
In Italia la rivoluzione industriale (o “industrializzazione”) ebbe inizio tra gli ultimi anni del 1800 e i primi
del 1900, solamente per alcune regioni settentrionali del territorio Italiano. Infatti, a fine 1800, sorsero diverse
fabbriche, destinate poi un giorno a diventare punti cardini della nostra attuale società.
Lombardia, Liguria e Piemonte.
Già, proprio quel Piemonte protagonista di questo lungo
percorso che andrò a raccontarvi.
A Torino, sotto il protettivo e continuo controllo della
Famiglia Agnelli, nacque la Fiat, dando vita ad una produ-
zione automobilistica tutt’oggi invidiataci da tutto il
mondo, per due fattori: storia e qualità.
A Milano sorse la Breda, specializzata nella fabbricazione
di locomotive ferroviarie e armi per l’esercito.
La Pirelli e la Marellli, entrambe concentrate nella
fabbricazione di pneumatici e accessori elettrici.
L’Alfa Romeo, la Montecatini, l’Ansaldo a Genova, la Edi-
son. I posti di lavori aumentano ma, nonostante tutti que-
sti sforzi, le condizioni degli operai non cambiarono: 14/16 ore di lavoro al giorno, salari bassi, assistenza
medica pari a zero, nessun diritto alla pensione. L’unica vera alternativa rimaneva emigrare verso le
Americhe. Cosi, dal 1870 al 1914, furono oltre 16 milioni gli Italiani a trovar fortuna in altri lidi, lontani dal
loro paese nativo. L’economia Italiana subì gravissime perdite. Bisognava trovare al più presto una soluzione.
Ed ecco che fece il suo ingresso in campo il Torinese Giovanni Giolitti. Governò dal 1903 al 1913, il suo
compito era principalmente il seguente: risollevare lo sviluppo industriale dopo un decollo decisamente
affannoso. Promulgò una serie di leggi che riducevano orari di lavoro dei dipendenti, garantiva loro il riposo
festivo, rese obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e decise di premiare gli operai storici
istituendo una cassa per la pensione di vecchiaia. Nel 1945, quando l’Italia uscì definitivamente dalla seconda
guerra mondiale, l’intera nazione necessitava di cambiamenti radicali. Questa imponente opera di
ricostruzione venne affidata al governo repubblicano di Alcide De Gasperi, che tra il 1958 e il 1963, seppe
provocare il “miracolo economico” in particolare nel triangolo industriale tra Milano, Torino e Genova.
Il livello di vita degli Italiani migliorò notevolmente. diffondendo nelle famiglie nuovi strumenti.
Elettrodomestici, le prime automobili, le prime motociclette. L’opera di rinnovamento poteva dirsi conclusa.
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“Siamo appena all’alba di un grandioso movimento di capitali,
di masse, di lavoro. Mi sbaglierò, ma l’automobile segnerà l’inizio di un
rinnovamento sociale dalle fondamenta”.
Giovanni Agnelli, 1901
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TORINO E L’ AUTOMOBILE: LA FIAT
Alla fine del 1800, mentre in Francia e Germania l’industria automobilistica tende ad assumere una dimen-
sione industriale, nel nostro paese l’automobile continua a rimanere semi sconosciuta. Aristocratici e bene-
stanti Torinesi si rendono conto che l’Italia, come la maggior parte dell’Europa, deve fare il suo ingresso nel
settore automobilistico.
L’iniziativa parte da un gruppo di aristocratici, possidenti e professio-
nisti, accomunati da una forte passione per il veicolo sportivo; fino a
quel momento i loro incontri avvengono nell’elegante caffè Burello,
nei pressi della stazione ferroviaria di Porta Nuova. In questo quadro
si inserisce la volontà di fondare la Fiat, valida occasione per
intraprendere un’attività economica di ampio respiro, assicurare alla
città e al paese la presenza di un settore industriale all’avanguardia.
I fondatori della nuova società, evidentemente consapevoli di questi
obbiettivi, si ritrovano l’11 luglio 1899 presso la sede del Banco Sconto
e Sete dove firmano l’atto costitutivo. All’iniziativa, che coinvolse una
trentina di nobili e borghesi, partecipò anche un ricco proprietario
terriero che rispondeva al nome di Giovanni Agnelli.
Nacque ufficialmente la Fiat che ben presto diverrà, come è tuttora
considerata, il dominio della famiglia Agnelli. Ma ricordiamoci che, i fondatori furono trenta e che tutti
parteciparono a formare il capitale iniziale, suddiviso in quattromila azioni da lire duecento cadauna.
Con Scarfiotti presidente e Agnelli amministratore delegato, la Fiat iniziava la sua attività.
Negli anni successivi, Torino cresce con l’automobile, arrivando ad avere oltre 30.000 dipendenti del gruppo
Fiat. Ma la Fiat non fu l’unica società che tentò la fortuna in questo settore automobilistico anche se
continuava a conquistare una buona parte del mercato Italiano. Due, sono i fattori che permettono alla Fiat,
di raggiungere cosi rapidamente il predominio su tutte le altre aziende del settore: la “spregiudicatezza di
Giovanni Agnelli” e la decisione di “seguire il modello Ford”. Sul primo punto c’è ben poco da scrivere, in
quegli anni molte aziende automobilistiche furono costrette a chiudere i battenti o a ridimensionarsi.
Stranamente, la Fiat trae da questa rovina un vantaggio incolmabile. La storia, purtroppo, è anche colma di
questi non certo piacevoli episodi. 12 12
Sul secondo punto, invece, entra in scena l’immensa furbizia di Giovanni Agnelli.
Nel 1907, compie il suo primo viaggio negli Stati Uniti e da esso trae le decisioni che più incidono su questa
sua nuova fase produttiva. In America, precisamente a Detroit, Giovanni Agnelli visita gli stabilimenti della
Ford, altra azienda leader nel settore automobilistico mondiale e apprende quanto la lavorazione in serie
possa effettivamente ridurre i costi, rivoluzionando totalmente il concetto di industria.
La produzione in casa Ford ebbe una crescita vertiginosa.
E’ il risultato dell’applicazione di un nuovo sistema industriale rivoluzionario, noto a tutti come “fordismo”,
composto dalla combinazione di alcuni elementi come l’intercambiabilità dei pezzi e la velocizzazione della
prestazione lavorativa: in poche parole, la Catena di Montaggio. Aspetto che, prima d’ora, non era mai stato
preso in considerazione. L’automobile diventa cosi uno strumento indispensabile del
nostro secolo. Durante la prima guerra mondiale, in Italia,
la Fiat registra una forte crescita.
Nell’arco di tre anni, l’azienda Torinese quintuplica la pro-
duzione di autoveicoli. Alla fine della guerra, la Fiat è ormai
un colosso industriale e finanziario su scala nazionale.
Nel Dicembre del 1918, Giovanni Agnelli ufficializza l’im-
minente commercializzazione della “Fiat 500”, un’ econo-
micissima vettura che, per motivi puramente tecnici, ri-
marrà solamente un prototipo.
Nel frattempo però l’Italia, uscita vittoriosa dalla tempesta
della Grande Guerra, non riesce a vincere il dopoguerra.
Giovanni Agnelli, come molti altri industriali, non può non vedere con timore i disordini che si erano creati
con l’occupazione delle fabbriche. Come molti altri capitalisti, anche Agnelli finanzierà le squadre fasciste,
ma senza particolare entusiasmo.
Perché Agnelli appoggiò Mussolini? Ma prima di qualsiasi altra analisi, dobbiamo tenere ben presente che il
mondo di Agnelli è la Fiat, e che la Fiat è (per lui) la misura di tutte le cose.
Il potere politico (Mussolini) e il potere economico (Agnelli) non possono che vivere in simbiosi, se non
vogliono rovinarsi a vicenda. 13 13
Agnelli lo sa benissimo, come lo sa benissimo anche Mussolini. E quando quest’ultimo arriva al potere, si
stabilisce un clima che, potremmo chiamare, di “reciproca cortesia”.
I primi provvedimenti del governo fascista non possono che essere graditi agli industriali e allo stesso Agnelli
arriva la nomina a senatore. L’appoggio che la Fiat diede a diversi settori della Resistenza, pur mantenendo
ottimi rapporti con la Repubblica Sociale e con gli occupanti tedeschi, stanno a dimostrare come la morale fu,
sempre, una sola: “Con chiunque, purché questo coincida col bene dell’universo (ovvero della Fiat)”.
La vita economica, politica e sociale del capoluogo piemontese è sempre
più legata alle sorti della grande azienda: dalla fine degli anni venti, Torino
è ormai la “Città della Fiat”.
Fin dall’immediato dopoguerra la Fiat, sotto la nuova presidenza di Vitto-
rio Valletta, è pronta a reinterpretare il suo ruolo guida per la città e per lo
sviluppo economico del paese.
Vittorio Valletta diventa Presidente nel 1946 e resterà al potere per oltre
20 anni. Da grand’uomo qual’era, Valletta si era posto un solo obiettivo:
produrre e vendere automobili economiche, alla portata di tutti.
Un’intuizione che si rivelerà vincente.
L’imponente aumento della manodopera industriale è reso possibile dalla
grande disponibilità di manodopera nel Mezzogiorno.
A Mirafiori viene prodotta la Fiat 600, disegnata dall’ingegner Dante
Giacosa, che insieme alla Fiat 500 segna l’ingresso dell’automobile nel-
la vita quotidiana degli italiani. Ne vengono vendute più di 7 milioni di
esemplari: i numeri ora sono paragonabili a quelli delle grandi case europee. Si tratta di macchine spartane,
economiche e facili da guidare.
La grande novità introdotta da Valletta è la Scuola Allievi, la più grande esperienza formativa di tutta la
storia industriale del Paese: educa più di 20.000 allievi, preparandoli a ruoli di responsabilità, spesso anche
dirigenziali. I primi problemi per l’azienda iniziano nel 1962: si verificano i primi grandi scioperi, dovuti alle
durissime condizioni di lavoro. Valletta ha 69 anni, ma non è intenzionato a mollare subito, cosi nel 1966 si
decide finalmente a lasciare il comando, anche a causa di vari problemi di salute.
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Arriva Gianni Agnelli, che vuole rivedere radicalmente l’organizzazione dell’azienda. Valletta diventa presi-
dente onorario ma muore un anno dopo, nell’agosto del 1967: la sua morte segna la fine della stagione
“fordista” della Fiat.
Gianni Agnelli, soprannominato l’Avvocato, sebbene non lo sia mai stato, fu presidente della Fiat dal 1966 a
1996, anno in cui lascierà la guida a Cesare Romiti.
Durante i 30 anni della sua guida, la Fiat incrementò l’appeal multinazionale dell’azienda: dalle aperture al
mercato sovietico negli anni sessanta all’accordo del 1976 con il quale la Fiat cedette alla Libia del colonnello
Gheddafi il 10% di azioni in cambio di 415 milioni di dollari, denaro fresco di cui la casa torinese aveva enor-
memente bisogno. Pur senza esserne direttamente il presidente, Agnelli continuerà a occuparsi dell’azienda di
famiglia fino alla sua morte, avvenuta nel gennaio del 2003.
Della famiglia Agnelli si è scritto e detto molto. Alcuni l’hanno identificata con la vera casa regnante italiana;
altri l’hanno paragonata ai Kennedy, per il potere esercitato e anche per una certa dose di sfortuna che da
sempre ha aleggiato su entrambe le famiglie: sia il figlio di Giovanni, Edoardo, che di Umberto, Giovannino,
morirono in giovane età. Gianni Agnelli in vita è stato idolatrato e detestato quasi in egual misura.
Il suo stile lo fanno oggi rimpiangere ai più. Certamente non era un santo e ha spesso anteposto i propri
interessi e quelli della sua azienda a quelli del paese. Ma l’ha fatto sempre con garbo e sicuramente con più
intelligenza di quanti, in questo ultimo ventennio, hanno provato a fare la stessa cosa.
Dopo oltre 100 anni di storia, di uomini e di potere, ci tengo a puntualizzare che la Fiat è Torino, con gli
stabilimenti di Mirafiori e le tute blu al lavoro; la Fiat sono le lotte sindacali; la Fiat sono le macchine italiane,
la Fiat è il potere, gli aiuti di stato e la cassa integrazione sempre garantita.