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Italiano: Giovanni Pascoli ed il Fanciullino
Storia: Il bambino durante il fascismo
Inglese: The industrial revolution and Charles Dickhens
Francese: Les banques
Economia aziendale: Il microcredito
Educazione fisica: Il pattinaggio
Geografia: Le multinazionali
INDICE
Introduzione: Il bambino nella storia pag 1-2
Storia La vita dei bambini durante il ventennio fascista pag 3-4
Italiano Giovanni Pascoli e il “Fanciullino” pag 5
Eco-Aziendale Il micro credito pag 6-7
Inglese Charles Dickens and The Industrial Revolution pag 8-9
Geografia Le Multinazionali pag 10
Francese Les banques pag 11
Ed. Fisica Il Pattinaggio pag 12-13
IL BAMBINO NELLA STORIA
Tutti i bambini del mondo hanno dei diritti e tutti i bambini hanno il
diritto di trascorrere una vita felice .
I diritti dei bambini sono stati decisi nel 1989 grazie ad
una convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, un accordo cioè tra numerosi
paesi che hanno deciso di obbedire alle stesse le ggi per garantire un'infanzia serena a
tutti i bambini del mondo. Molti articoli del diritto sono riv olti esclusivamente ai
bambini, e tutti i popoli del mondo stanno lottando affinchè tutti i b ambini abbiano
uguali diritti.
Il bambino è figura del sociale scoperta solo recentemente e a tutt'oggi ancora scarsamente ricostruita
nel suo passato, un passato coperto dal silenzio, da un alone misterioso che ne impedisce una
ricostruzione storica completa e separata dal mondo dell' adulto .
"Un'infanzia dura e breve, senza memoria, senza storia propria."
Solo di recente, dunque, questa età della vita è stata riconosciuta come tappa fondamentale dello
sviluppo e della formazione dell'individuo e "al bambino è permesso vivere da bambino".
Gli studi fatti dagli storici della famiglia mostrano un quadro complesso e a volte contraddittorio sulla
condizione dei bambini ed in particolare sul fenomeno del maltrattamento e della trascuratezza, la sua
diffusione e il suo riconoscimento.
"Nell'antichità classica il bambino era considerato non un essere con un valore in sé, ma un essere
menomato perché mancante delle doti di un adulto. L'infanzia era ritenuta un'età imperfetta e, per
questo, era oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive"
Presso le antiche culture, il neonato diveniva parte integrante del genere umano solo a seguito di riti
che ne segnavano la "nascita sociale". L'imposizione del nome da parte del padre, che accoglieva il
bambino nella comunità familiare, aveva una rilevanza sociale non trascurabile. Il periodo precedente
a tali cerimonie era particolarmente significativo per la sopravvivenza del neonato, in quanto in questo
arco di tempo il padre poteva condannarlo a morte senza incorrere in alcuna sanzione.
Il codice di Hammurabi, in vigore a Babilonia nel XIX secolo a.C., non prevedeva alcuna punizione per il
padre infanticida poiché il neonato non godeva ancora di alcun riconoscimento giuridico, né come
individuo, né come membro della famiglia. Solo nel caso in cui il bambino veniva "eliminato" dopo
essere stato riconosciuto erano previste forti pene.
Nell'antica Roma la situazione non era migliore, omosessualità e pederastia erano diffuse.
La letteratura romana ci offre un ampio e particolareggiato quadro su storie di omosessualità,
castrazioni, stupri ed altri affreschi di varia oscenità in cui le vittime sono troppo spesso i bambini.
Petronio, per esempio, nel Satyricon descrive, con compiaciuta abilità, la gaia atmosfera nella quale si
è consumato lo stupro di una bambina di sette anni fra gli applausi degli astanti. 1
Nel mondo Medievale la situazione dell'infanzia all'interno della famiglia e della società in generale
non muta sostanzialmente.
L'arte medievale rappresenta il bambino, almeno fino al dodicesimo secolo, come un adulto in
miniatura. All'età di sette anni entrava a far parte del mondo degli adulti, infatti, veniva inviato presso
terzi per apprendere un mestiere o, se di nobili origini, soprattutto se cadetto, veniva affidato alle cure
particolari di un maestro.
La rivoluzione industriale non migliorò le condizioni dell'infanzia, ma anzi aumenta su larga scala lo
sfruttamento del lavoro minorile.
Nelle grandi città della Francia e dell'Inghilterra i piccoli lavoratori, servi, garzoni, apprendisti erano
numerosissimi. L'età minima poteva essere di sei anni, sebbene talvolta potesse abbassarsi a quattro
nel caso degli spazzacamini; la durata della giornata lavorativa era di 14 ore durante l'inverno e
raggiungeva le 16 in estate.
"In alcune zone rurali dell'Inghilterra era frequente che bambine di cinque-sei anni lavorassero tutto il
giorno per fabbricare oggetti di paglia o ricamare merletti con il collo e le braccia scoperte per poterle
schiaffeggiare meglio".
Lo sfruttamento della manodopera minorile continuò in Europa fino alla fine dell'Ottocento, quando
furono emanate le prime leggi in tutela dei piccoli lavoratori.
Nel XIX secolo sorgono in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove vivono in
una condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti subiti dai piccoli
istituzionalizzati emerge dai dati dei registri di questi istituti, che evidenziano un decesso ogni quattro
ricoverati per stenti, incuria e maltrattamento fisico. 2
La vita dei bambini durante il ventennio fascista
Dopo la prima guerra mondiale, in Italia sorse un nuovo movimento politico di carattere insieme
rivoluzionario e reazionario, nazionalista e totalitario, che rifiutava i principi della democrazia
liberale. Questo movimento politico chiamato Fascismo fu capeggiato da Benito Mussolini che
raggiunse il potere nel 1922 con la Marcia su Roma. Solamente tre anni dopo, alla prima fase
legalitaria si sostituì la fase totalitaria che cambiò radicalmente lo stile di vita e i costumi della
società. Dopo l’instaurazione del regime fascista nel 1926, vennero emanate le leggi fascistissime:
furono sospesi tutti i partiti e le associazioni d’opposizione (gli antifascisti vennero arrestati,
processati ed aggrediti), vennero chiusi gli organi di stampa avversi al regime, venne creata l’OVRA
e il Tribunale speciale. In uno stato di tipo totalitario, come fu l’Italia fascista, la propaganda, il
controllo dell’informazione e il consenso delle masse fu essenziale.
L’Italia di quegli anni era una nazione ancora ampiamente analfabetizzata, nonostante tutte le
leggi e i regolamenti emanati durante gli anni precedenti. Creare una nuova scuola significò
soprattutto preparare le nuove generazioni all’accettazione del regime. Quindi l’educazione,
l’indottrinamento dei bambini e la scuola divennero il mezzo privilegiato della propaganda
fascista, nonché un serbatoio di reclutamento. Ciò fu possibile grazie alla creazione di
organizzazioni come l’Opera Nazionale Balilla (ONB) o i Giovani Universitari Fascisti (GUF) a cui era
obbligatorio aderire ed il cui obiettivo primario era quello di costruire futuri soldati, uomini pronti
a "credere, obbedire e combattere" e di "formare la coscienza e il pensiero di coloro che saranno i
fascisti di domani".La direttiva che emanò Mussolini e a cui si doveva obbedire, era che :
“La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del Fascismo. ”
Nel febbraio 1929 i maestri elementari vennero obbligati al giuramento, giuramento che due anni
più tardi, verrà imposto anche ai professori universitari, secondo il quali gli verrà chiesta la fedeltà
al Regime Fascista. Su 1225 docenti solamente 13 si rifiuteranno.
Nelle scuole elementari era previsto un solo libro di testo per ciascuna delle prime due classi e due
testi separati (libro di lettura e sussidiario) per le tre classi rimanenti. In questi testi scolastici ci
sono costanti riferimenti apologetici al regime e alla presenza ossessiva della figura del ‘duce’,
protettiva, salvifica, comunque centro di ogni discorso educativo. Come già detto, un ruolo molto
importate nell’indottrinamento dei bambini fu la creazione dell’ONB(Opera Nazionale Balilla). Fu
fondata nel 1926 da Benito Mussolini e il suo nome deriva da quello di Giovan Battista Perasso
detto Balilla, un giovane di origini genovesi che nel 1746, secondo la tradizione, avrebbe dato
inizio alla rivolta contro gli Austriaci che occupavano quelle zone. La sua era un'immagine di
modello rivoluzionario molto cara al regime fascista. Già alle origini del fascismo, ci fu una prima
idea di cambiamento e rinnovamento di tutte le istituzioni dello stato italiano, compresa la scuola.
Dopo la Marcia su Roma e l’inizio della fase totalitaria del fascismo, ci fu il problema di organizzare
il consenso delle masse e di fascistizzare la società. Per questo nel 1926 Mussolini diede il compito
a Renato Ricci di riorganizzare la gioventù italiana sia moralmente sia fisicamente. Con la legge
numero 2247, del 3 aprile 1926, si sancì la nascita dell'ONB, mentre nel 1927 il regime fascista
sciolse tutte le organizzazioni giovanili non fasciste.
L'ONB era stata concepita dai fascisti come uno strumento di penetrazione nelle istituzioni
scolastiche e mirava non solo all'educazione spirituale, culturale e religiosa, ma anche Storia-3
all'istruzione premilitare, ginnico-sportiva, professionale e tecnica. Scopo dell'ONB era infondere
nei giovani il sentimento della disciplina e dell'educazione militare rendendoli consapevoli della
loro italianità e del loro ruolo di "fascisti del domani". Al giovane gli era richiesto di inserirsi in un
rigido sistema centralizzato e gerarchico. Al vertice della gerarchia, il "Duce" era indicato come
l'esempio sublime di "nuovo italiano". L’ONB comprendeva ragazzi e ragazze dai 6 ai 18 anni. Era
suddivisa nel seguente modo:
Figli della Lupa: ragazzi e ragazze dai 6 agli 8 anni (aggiunti in seguito all’ONB nel 1934);
Balilla: ragazzi dagli 8 ai 14 anni;
Piccole italiane : ragazze dagli 8 ai 14 anni;
Avanguardisti: ragazzi dai 14 ai 18 anni, veniva curato l’addestramento e la preparazione militare
dei giovani;
Giovani Italiane: ragazze dai 14 ai 18 anni.
Dopo i 18 anni fino ai 22, i giovani entravano in gruppi esterni all’ONB, i ragazzi nei "Fasci Giovanili
di Combattimento" e le ragazze nelle "Giovani fasciste".
Tutti gli appartenenti all’ONB avevano una divisa che consisteva in una camicia nera, un fazzoletto
azzurro, un pantaloni grigioverde, un fascia nera e il fez. Inoltre durante le esercitazioni i ragazzi
erano dotati di un moschetto (in versione giocattolo per i Figli della lupa).
Le ragazze invece, in camicetta bianca e gonna nera ricevevano un insegnamento adatto alla loro
età e al loro sesso, in quanto future donne della società fascista. Di conseguenza le loro attività
comprendevano corsi di taglio e cucito, di ricamo, corsi di igiene, pronto soccorso, economia
domestica, esercizio fisico. Nel 1935 Mussolini istituisce il “sabato fascista”; la giornata lavorativa
del sabato veniva interrotta alle ore tredici per permettere che venisse praticata la ginnastica e
l’attività fisica, per mantenersi in forma e per dare sfoggio della propria abilità. Era questo
l’ordinamento dell’insegnamento al tempo del fascismo. Ma nel 1938 con l’ emanazioni delle leggi
razziali, per la minoranza ebraica le cose cambiarono. Gli ebrei erano ben integrati nelle stato
italiano e nel tessuto della società; all’inizio del ‘900 nel Senato del Regno d’Italia erano presenti
alcuni ebrei e successivamente ci fu un primo ministro e anche un presidente del Consiglio, Sidney
Sonnino. Molti ebrei combatterono valorosamente durante la prima guerra mondiale e una
piccola minoranza (circa il 10%) fece parte del Partito Fascista; alcuni bambini facevano parte dei
Balilla. La stragrande maggioranza però non aderirà mai al Partito e anzi, sarà autrice di un’ardua
opposizione politica.
Già nei primi mesi del 1933 si iniziarono a vedere i primi segni di antisemitismo. Il 15 luglio 1938 fu
emanato il Manifesto della Razza e il 5 settembre 1939 fu emanato il Regio Decreto numero 1390,
con il quale lo Stato Italiano prendeva provvedimenti per la difesa della razza nelle scuole fasciste.
Con la seguente legge si impediva ai bambini di razza ebraica l’iscrizione alle scuole primarie;
inoltre maestri, professori, presidi, assistenti universitari, personale di vigilanza delle scuole