Anteprima
Vedrai una selezione di 11 pagine su 46
Follia - Hominis Insania Pag. 1 Follia - Hominis Insania Pag. 2
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 6
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 11
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 16
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 21
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 26
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 31
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 36
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 41
Anteprima di 11 pagg. su 46.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Follia - Hominis Insania Pag. 46
1 su 46
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

dall'animale; è la base della coscienza morale e del senso di colpa.

Tutta l'attività inconscia è la risposta a stimoli di tipo energetico. Freud

immagina la mente umana come un sistema in cui la ricerca

dell’equilibrio è un requisito fondamentale: non ci deve essere

dispersione di energia psichica. Quindi la fase di disequilibrio si ha nel

momento in cui l'Io non governa più gli stimoli esterni e il lavoro

dell'inconscio: il disturbo psichico è dovuto ad una riemersione del

materiale rimosso contenuto nell’Es. Il sintomo rappresenta in questo

caso il tentativo che l’Io compie per controllare il rimosso che emerge alle

soglie della coscienza.

3.1.1 Genio e follia. Malattia mentale e creatività artistica

3.2.1 La luce e il buio della mente

Se la facoltà naturale del giudizio o della discriminazione del vero dal

falso, intesa come ragione, si può identificare con la luce della mente, il

suo opposto, cioè la perdita della ragione deve corrispondere al buio.

Nella mente di ogni individuo luce e buio coesistono e come la luce è più

splendente per contrasto con il buio così i momenti supremi della

ragione - che sono quelli del genio - risplendono a confronto con quelli

della massima sragione, cioè la follia.

3.3.1 Il male oscuro del genio

Accurati studi psicologici nel XX secolo hanno dimostrato che fino al

28% dei grandi scienziati ha avuto qualche disturbo psichico, dalla

schizofrenia, alla depressione, alla paranoia. Definire direttamente la

follia, o per meglio dire il ‘male oscuro’, così come definire la ‘normalità’

mentale è praticamente impossibile ed anche un’analisi fenomenologica

non permette di arrivare a definizioni univoche: occorre, perciò, fare uso

di definizioni indirette. Se misura

di normalità è la capacità di un

individuo di relazionarsi con i

propri simili e di interagire in

maniera non distruttiva con il

contesto sociale è possibile

individuare alcune regole a cui

egli si deve uniformare. Una

rottura di tali regole è analoga a

una dissonanza non risolta in un

sistema armonico tonale, o meglio

è la manifestazione di un disordine

che impedisce la coesistenza

ordinata, mentre il protagonista della rottura o si auto-emargina o viene

emarginato dal contesto sociale. IV

La diade genio/follia è diventata uno stereotipo, sanzionato anche

dal punto di vista drammaturgico, come ha fatto, nel 1836, A. Dumas con

il suo Kean ou désordre et génie. Le relazioni tra genio, pazzia e malinconia

sono state illustrate con un’ampia casistica di grandi artisti dei secoli XV-

XVIII , ma erano comunemente dibattute anche nell’Antichità e

continuano ad essere oggetto d’interesse ai giorni nostri se, ad esempio,

nel 1942 lo psichiatra tedesco W. Lange-Eichbaum affermava che «la

maggior parte dei genii furono degli anormali psicopatici». Le biografie

di molti genii testimoniano nodi psicopatologici, ma non si sa se tra

genio e follia vi sia una relazione di causa-effetto e non si può dire quale

dei due possa essere causa dell’altro.

4.1.1 Hitler: la follia distruttiva In ambito storico, il tema della follia è

maggiormente collegabile alla figura,

instabile ed allo stesso tempo

carismatica di Hitler. Mosso dalle sue

teorie sulla superiorità della razza

ariana, sulla congiura ebraica

antitedesca e sulla teoria dello spazio

vitale (per fornire al popolo tedesco

uno sbocco al proprio espansionismo)

seppe imprimere una svolta totalitaria

al governo tedesco. La personalità di

Hitler si caratterizza, nelle sue

manifestazioni più evidenti, per sete

di potere, spietatezza, acume

intellettivo e grandi doti oratorie. La

sua affettività si distingue per la

marcata ‘freddezza del sentimento’, la

grande energia vitale e la reattività ‘irosa’ e spesso incontrollabile. Hitler

- la cui struttura di personalità non è priva di elementi psicopatologici e

conflittuali - appare come un soggetto estremamente ‘arido nei

sentimenti’ ma, nel contempo, bisognoso di esigere dagli altri

manifestazioni di affetto e considerazione. Secondo la scienza

grafologica, egli risulta un individuo ‘incapace di amare’ e che pretende

dal ‘prossimo’ proprio quello che lui stesso nega agli altri. La

conseguenza di questi tratti non può che tradursi, secondo gli psicologi,

in un profondo e lacerante ‘squilibrio’ interiore che investe anche gli

aspetti comportamentali dell'individuo. L'anaffettività lo porta ad una

sorta di ‘isolamento affettivo autoindotto’, dal quale emerge - con forte

‘convinzione’ - una visione distorta della realtà. Essa si esprime in un

sistema personale di valori e di riferimenti dove l'intero universo ruota

intorno al proprio ego. Si tratta, secondo gli studiosi della psiche umana,

V

di un ‘sistema ideale’ di tipo ‘narcisistico’ che (basandosi su principi

estremamente saldi e regole inflessibili) permette al soggetto di

raggiungere un obiettivo ‘assoluto’ ed inderogabile: il dominio

incondizionato dell'ambiente e delle relazioni interpersonali (secondo gli

storici tutto ciò è alla base del bisogno ‘dispotico‘ del controllo delle

masse). Per raggiungere tale obiettivo Hitler è portato ad operare scelte

cognitive autoreferenziali, a considerare ogni minimo ostacolo come una

difficoltà da superare senza eccessivi scrupoli, anche se queste scelte

possono portare danni alla sua stessa persona. Dal punto di vista

intellettivo, Hitler appare dotato sia sul piano della capacità

d'osservazione che sul piano strettamente analitico (caratteristiche

tipiche dei soggetti con intelligenza superiore alla norma). Nel momento

in cui però la componente intellettiva si rapporta con quella emotiva egli,

in realtà, emerge per la limitata oggettività del giudizio, la poca

ponderazione delle critiche elaborate e la scarsa verifica dei

‘ragionamenti’ prodotti. Si evidenzia, infine, un’elevata capacità di

argomentare in maniera trascinante le tesi proposte e di sostenerle con

foga ed aggressività negli scontri verbali. La personalità di Hitler, quindi,

in base agli elementi emersi dall'analisi grafologica, si presenta come

complessa, ricca di contraddizioni, orientata sul versante nevrotico

ossessivo, rigida, diretta in maniera ‘univoca e tassativa’, volta a

sostenere le sue percezioni di una realtà costruita a volte (come altri

esami psicologici hanno evidenziato) su basi deliranti. Il soggetto

arricchisce la sua struttura cognitiva ed ideologica con costrutti mentali

dogmatici e cerca con le sue scelte di porre in essere strategie prive di

tentennamenti che lo inebriano e lo dominano.

Tempo fa sono stati resi pubblici alcuni documenti segreti della Cia dai

quali risulta che il medico personale di Hitler, fin dall'aprile del '37,

sapeva che il Führer era pazzo, cioè: «Al limite tra genialità e pazzia».

Scrive il medico: «Lo esamino da molti anni, e penso che nel prossimo

futuro saprò se nel Führer prevarrà la pazzia. In questo caso, temo che

diventerà il peggiore criminale della storia dell'umanità».

Il pensiero politico di Hitler è desumibile dall’opera Mein Kampf,

scritta nei mesi di prigionia del 1923 dopo il tentativo di putsch; Hitler

indicò la strada da seguire per conquistare le masse: «chi vuole

organizzarle e farsi obbedire da esse», scrisse, «deve prendere gli uomini

così come sono, e perciò deve conoscerli, senza stimare troppo o troppo

poco l’umana natura. Deve tenere conto della loro debolezza, della loro

viltà e di tutti gli altri aspetti del loro carattere». La maggior parte

dell’umanità, secondo Hitler, era «mentalmente pigra» e poteva perciò

essere forgiata dalla propaganda, che assumeva un ruolo fondamentale

nell’attività politica. Dopo che il lavoro propagandistico aveva indotto

«un intero popolo a credere in una dottrina», sarebbe bastato un pugno

di uomini a guidarlo. Gli argomenti usati nella propaganda hitleriana

furono il nazionalismo, il razzismo, fondato sulla presunta superiorità

della razza ariana e l’anticomunismo. Molti tedeschi erano convinti che

VI

la Germania fosse stata ingiustamente umiliata dopo la Grande Guerra

con la separazione dalla madre patria i territori abitati da popolazioni di

nazionalità tedesca, e aspiravano a riconquistarli. Hitler fece leva sul

sentimento di umiliazione e sul sentimento di rivincita, per impostare

una politica estera diretta ad unificare in una sola patria tutti coloro che

appartenevano alla nazionalità tedesca per lingua, cultura e tradizione.

Secondo i nazionalisti, gli antichi Germani avevano consegnato ai loro

discendenti un patrimonio genetico che costituiva il carattere distintivo

della stirpe tedesca: era proprio la stirpe l’elemento di continuità della

storia e l’individuo veniva ad annullarsi in essa. Ma, affinché la stirpe

potesse perpetuarsi, il sangue non doveva essere contaminato. Nel Mein

Kampf, Hitler faceva risalire «l’intossicazione del sangue tedesco» al

lontano passato. Lo Stato doveva preoccuparsi di ristabilire la purezza

razziale, avvalendosi di tutte le risorse della scienza medica e

impedendo di avere figli non solo ai «degenerati di corpo», ma anche ai

«malati di spirito». Sul fondamento del razzismo, Hitler giustificava

l’esistenza di popoli sfruttatori e di popoli sfruttati: questi ultimi

costituivano le «riserve umane» cui i primi, e in particolare gli «ariani»,

avevano attinto nei secoli e avrebbero continuato ad attingere, per poter

progredire. Di qui l’importanza della conquista e della guerra, che

consentivano ai popoli di razza superiore di assoggettare quelli di razza

inferiore.

5.1.1 Pirandello

La follia è il grande tema che percorre tutta l'opera pirandelliana.

Pirandello, a differenza di Svevo, non lesse direttamente le opere di

Freud, ma la sua opera è piena di richiami al mondo della follia,

dell’inconscio, del sogno.

A questo contribuì anche l’esperienza

familiare dello scrittore, la cui moglie era

affetta da disturbi psichici che si

manifestavano in una forma di gelosia

morbosa che la portò a immaginare che il

marito avesse una relazione incestuosa

con la figlia Lietta. La moglie di Pirandello

verrà rinchiusa in una casa di cura a Roma

nel 1919 e vi resterà per quarant’anni sino

alla morte nel 1959 «come un fantasma

distante ma sempre presente allo scrittore,

un segno di colpa e di insuperabile

tensione» (G. Ferroni).

La sua fonte fu dunque lo psichiatra

Alfred Binet, che gli offrì le formulazioni

scientifiche di alcune sue intuizioni sulla variabilità degli stati psicologici

e sulla scomposizione della personalità. È questo il suo punto di partenza

per esplorare quella crisi d'identità che qualsiasi evento può scatenare e

VII

che è uno dei terni fondamentali della sua produzione. Dall'idea per cui

la personalità degli uomini non è una ma molteplice verrà uno dei suoi

temi decisivi: la follia. I suoi personaggi si sdoppiano, sono dissociati,

sono contemporaneamente : ‘uno, nessuno e centomila’.

5.1.2 La disgregazione dell'io

L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la

teoria della ‘disgregazione dell'io’. In un articolo del 1900 scrive:

«Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più

o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in

un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che

pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a

parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la

coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e

proprio sdoppiamento dell'io. [...] Talché veramente può dirsi che due

persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel

medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò

comporre, costruire in noi stessi altre individualità, altri esseri con

propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto».

Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la

follia, tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a

sonagli, nel quale Pirandello inserisce addirittura una ricetta per la

Dettagli
Publisher
46 pagine
686 download