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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: La Follia
Autore: Buccheri Martina
Descrizione:
Materie trattate:
Area: umanistica
Sommario:
i principi, che pure «sono ostili alla verità», ascoltano «con piacere non solo il vero, ma anche evidenti insulti, tanto che la stessa frase che,
proferita da un saggio, gli sarebbe costata la testa, detta da un buffone produce un eccezionale divertimento. La verità, infatti, possiede una
capacità innata di divertire e dare piacere, se non vi si aggiunge qualcosa di offensivo: ma questo gli dei l'hanno concesso ai pazzi soltanto» .
“
E, tanto per cominciare, chi non sa che la prima età dell'uomo è per tutti di gran lunga la più lieta e gradevole? ma che cosa hanno i bambini
per indurci a baciarli, ad abbracciarli, a vezzeggiarli tanto, sì che persino il nemico presta loro soccorso? Che cosa, se non la grazia che
viene dalla mancanza di senno, quella grazia che la provvida natura s'industria d'infondere nei neonati perché con una sorta di piacevole
compenso possano addolcire le fatiche di chi li alleva e conciliarsi la simpatia di chi deve proteggerli? E l'adolescenza che segue l'infanzia,
quanto piace a tutti, quale sincero trasporto suscita, quali amorevoli cure riceve, con quanta bontà tutti le tendono una mano!”
Osservazioni:
La follia secondo Erasmo è considerata come la forza che tiene insieme i legami sociali, la forza che
dispensa felicità e allieva dai dolori la vita degli uomini. Ma non è solo questo. Se si pensa al ruolo che
la follia ha nella conoscenza dell'uomo, possiamo riscontrare parte delle teorie di Freud sulla struttura
della psiche umana. Innanzitutto, è considerato saggio colui che non domina le pulsioni naturali con la
ragione, ma che le fa proprie e vi si lascia guidare in modo che possa arrivare alla piena conoscenza
prima di tutto della sua natura umana, e in secondo poi degli "altri", della folla che lo circonda, così
come sosteneva Seneca nelle sue teorie sull'ascesi verticale ed orizzontale.
Il mostro o lo spettro è colui invece che sopprime l'Es, la parte pulsionale e inconscia dell'uomo, e
un uomo così fatto,
attraverso la ragione pensa di esser arrivato ad una piena conoscenza delle cose:
sordo ad ogni naturale richiamo, incapace di amore e di pietà”…”un uomo cui non sfugge nulla, che non
sbaglia mai, che tutto vede, tutto pesa con assoluta precisione, nulla perdona; solo di sé contento…lui
solo tutto; senza amici, pronto a mandare all’inferno gli stessi dei, e che condanna come insensato e risibile tutto ciò che si fa nella vita”.
“uno della folla dei pazzi più segnalati
Ma allora è meglio l'uomo pazzo, l'uomo che non sfugge alle passioni:
che, pazzo com’è, possa comandare o obbedire ad altri pazzi, attirando a sé la simpatia dei suoi simili…; uno
con cui si possa convivere, che infine non ritenga estraneo a sé niente di ciò che è umano”.
Secondo poi la concezione della natura umana, Erasmo la riconduce con un esempio alla fase pre-morale
dell'uomo, alla fase quindi neonata in cui non ancora conscio delle strutture sociali, risponde solo ai suoi
bisogni interiori, Questa come sappiamo è parte della teoria sulla sessualità di Freud che ci spiega sopratutto
che il nostro inconscio e le nostre pulsioni vengono fissate per la maggior parte da bambino e che con la
crescita la struttura psichica cambia diversificandosi in quelli che sono l'Es, l'Io e il Super-io.
L'Elogio di Erasmo come satira sui costumi comuni degli uomini mette a nudo proprio le contraddizioni della
vita sociale e attraverso quest'analisi ci fornisce un piccolo quadro psicologico dell'uomo che è molto spesso
contraddittorio.
«Dicono che è una sventura essere ingannati. Una gran sventura è non esserlo. Ce ne vuole di pazzia per credere che la felicità degli uomini
sia posta nelle cose stesse. Dipende tutto dalle opinioni. Infatti l'oscurità e la variabilità delle cose umane è così grande che non ci può essere
conoscenza chiara e distinta...» Ancora una volta l'uomo viene ricondotto nei suoi limiti, nella finitezza della sua condizione, ancora una
.
volta Follia è pronta a comprendere e ad accogliere la fragilità, la debolezza, l'errore.
l'intera vita dei mortali, cos'altro è se non un dramma in cui diversi attori si fanno avanti con maschere diverse e recitano ognuno
Del resto, «
la sua parte, finché il regista non li fa uscire di scena?»
Ci muoviamo in un mondo di pure apparenze e di simboli senza contenuto, come i prigionieri della caverna di Platone, come i personaggi
«Sopprimere l'inganno, però, significa scompigliare tutto quanto il dramma...Tutto finto, certo, ma questo
shakespeariani o pirandelliani. è quanto di meno opportuno. Ed è un
dramma non si può rappresentare altrimenti» . Voler smascherare l'illusione che è la vita stessa, «
comportamento distorto non adattarsi alle cose come stanno,... e pretendere che lo spettacolo non sia più spettacolo»
. Il gioco va giocato,
il copione recitato, è folle non vedere la contraddittorietà del reale, ma altrettanto folle cercare di smascherarla. Non c'è dunque via d'uscita?
Luigi Pirandello e la Crisi dell'io
“Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza sapere né come né perché né da chi la necessità di ingannare
di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si
scopre vana e illusoria.
Chi ha capito il gioco non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così
è.”
La Vita :
"Io dunque sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà" , diceva Pirandello in quel frammento d’autobiografia dettato,
nell’estate 1893, dall’amico Pio Spezi, che lo pubblicò molti anni dopo sulla "Nuova Antologia" (16 giugno 1933). L’allusione è alla rustica casa,
detta "il Caos", nella campagna intorno a Grigenti (divenuta, nel 1927 Agrigento), dove Luigi nacque il 28 giugno. Nella famiglia Pirandello era
particolarmente viva la componente patriottica: Stefano, il padre, di origine ligure, aveva combattuto con Garibaldi e, nel novembre 1863,
aveva sposato la sorella di un commilitone, Caterina Ricci Gramitto. Gli anni della formazione siciliana di Luigi, lo vedono alle prese con il
locale patrimonio folcloristico di superstizioni e leggende e un’educazione religiosa. Luigi è iscritto dal padre, commerciante di zolfo, alle
scuole tecniche, ma l’attrazione per i classici è così forte che prepara un esame
integrativo e passa al ginnasio. In seguito al rovescio economico del padre, la
famiglia si trasferisce a Palermo, dove Luigi si iscrive alla facoltà di Lettere e a
quella di Legge. Qui si innamora della cugina Paolina e entra in contatto con quella
generazione di giovani fra cui si formeranno i dirigenti dei Fasci siciliani. Nel 1887 si
trasferisce a Roma e nel 1889 si iscrive alla facoltà di Bonn. Dal 1892 grazie a un
assegno concessogli dal padre, si stabilì a Roma, dedicandosi interamente alla
letteratura. Strinse legami con il mondo culturale romano, soprattutto grazie al
publicista Ugo Ojetti e a Luigi Capuana. Nel ’93 scrisse il suo primo
L’esclusa, grazie al consiglia di Capuana. Nel 1898 fonda con gli amici un
romanzo,
settimanale letterato chiamato “Ariel” ispirato dalle idee del “sincerismo” nell'arte.
Un anno dopo sposò Maria Antonietta Portulano, figlia di un socio in affari del padre.
Nel 1903 un allagamento alla miniera di zolfo, in cui il padre aveva investito tutto il
suo patrimonio e la dote stessa della nuora, provocò il dissesto economico della
famiglia, ciò portò, inoltre, la moglie, a un irreversibile follia che la porteranno nel 1919 all'internamento in una casa di cura romana. La
convivenza con la donna, che era ossessionata da una patologica gelosia, costituì per Pirandello un tormento continuo, che può essere
considerato, come il germe della sua concezione dell’istituto familiare come "trappola" che imprigiona e soffoca l’uomo. Per uscire dalla
precaria condizione economica Pirandello intensificò la sua produzione letteraria tra il 1904 e il 1915, inizialmente aveva cercato di riparare
dando lezioni private e chiedendo compensi alle sua collaborazioni con i giornali. Di questo periodo è importante il successo che ha il suo
Il Fu Mattia Pascal ”, pubblicato a puntate sulla “Nuova Antologia”. Sollecitato dal commediografo siciliano Nino Martoglio,
primo romanzo, “
dal 1910 ebbe il primo contatto con il mondo teatrale, con la presentazione di due atti, ma la sua produzione teatrale si fa più feconda dopo il
Così è se vi pare, Il berretto a sonagli, Il piacere dell’onestà, Il giuoco delle parti, Sei
fino ad arrivare nel 1920 a
1915 con opere del calibro di:
personaggi in cerca di autore .
I drammi pirandelliani nel corso degli anni Venti e Trenta furono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo, e nonostante le critiche che
ha subito durante alcune sue rappresentazioni, il critico Adriano Tilgher studierà a fondo quello che poi definisce come “pirandellismo”: una
sorta di sistema filosofico fondato sull'opposizione vita/forma, intuendo il pensiero irrazionalistico di fondo. Nel 1925 assunse la direzione
del teatro d’arte a Roma, mettendo in scena spettacoli tratti da opere proprie, ma anche di altri autori. L’esperienza del teatro d’arte fu resa
possibile anche dal finanziamento dello Stato. Pirandello, nel 1924, si era iscritto al partito fascista, e questo gli servì per ottenere appoggi
da parte del regime.
Negli ultimi anni lo scrittore seguì particolarmente la pubblicazione organica delle sue opere, in numerosi volumi: le Novelle per un anno, che
raccoglievano la produzione novellistica, e le maschere nude, in cui venivano sistemati i testi drammatici, grazie a Mondadori che le
ripubblica. Nel 1934 L'Accademia di Svezia gli conferisce il premio Nobel per la letteratura, a consacrazione sia della sua fama mondiale
che al “nobile sentimento di umanità e alla ragione analitica che pur non taglia le radici della vita”. Era attento anche al cinema, pur sapendo
del pericolo che questa nuova forma di spettacolo costituiva per il teatro, e seguiva da vicino gli adattamenti cinematografici delle sue opere.
Mentre negli stabilimenti di Cinecittà a Roma assisteva alle riprese di un film tratto da un suo romanzo, Il fu Mattia Pascal, si ammalò di
polmonite e morì il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto il suo ultimo lavoro teatrale, I giganti della montagna, in cui culminava una nuova
fase della sua produzione drammatica, quella dei "miti". Le sue ceneri riposano sotto il pino secolare sulla collina del Caos dove era nato.
La Follia in Pirandello:
“La vita non è che un'ombra che cammina; un povero attore, che s'agita e si pavoneggia per un ora sul palcoscenico e che poi scompare nel
silenzio. È un racconto narrato da un idiota, pieno di furia e di rumore, senza alcun significato”
(William Shakespeare)
Antonietta, moglie di Pirandello, a causa dei problemi economici della famiglia, entra in uno stato di crisi che la porterà al ricovero. In questo
caso, il contatto con la Follia per lo scrittore è diretto. Sarà toccata anche la figlia Lietta, dalla malattia della madre, e per risolvere questo
suo disagio sarà costretta dal padre a soggiornare presso la sorella Lina. Oltre alla crisi della moglie, Pirandello vive una crisi storica e
sociale, ovvero la fase dell'Italia Post-risorgimentale e la crisi del positivismo che porta alla caduta dei valori che erano considerati certi.
L'uomo quindi, davanti ad una crisi di questo tipo comincia a non riconoscere più il mondo esterno, sociale che prima considerava solido e
fondato su valori sicuri; questo mondo comincerà a disgregarsi sotto i suoi occhi grazie all'opera graduale di intellettuali e scienziati. Non
riconoscendo più il mondo esterno, si arriverà a non riconoscere più se stessi. Adesso parliamo di Relativismo. Pirandello ci offre con
l'esempio del teatro questa nuova concezione della società e del mondo intero: “un'enorme pupazzata” dove a tenere le redini della scena