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Tasso in prigione
Sul di Eugène Delacroix, Charles Baudelaire
Nel 1842, ispirato da una tela di Eugène Delacroix, Baudelaire scrive questo
sonetto, poi pubblicato nella sezione I relitti (1866) dei Fiori del male. Tasso è
ritratto nella posa che gli dà Delacroix: l'atto di calpestare un foglio è interpretato
come il rifiuto della propria opera, vinta dalla malattia; ed è appunto nella
rappresentazione della malattia che Baudelaire rivela la sua originalità. La follia si
accompagna a uno stato di abbandono, di rinnegamento di sé, di terrore: essa
mostra un abisso di vertigine in cui ci si perde. Il poeta è così in preda ad
allucinazioni
spaventose e
insieme ridicole, fatte di urli e smorfie. Per Baudelaire la
pazzia non è invasamento sublime, ma degradazione e
contatto con le forze oscure o addirittura ripugnanti
dell'anima. Tutto il testo è giocato sul contrasto fra
l'altezza del genio e la bassezza di una prigionia duplice:
quella nel carcere di sant'Anna e quella nell'angoscia.
Eppure, proprio da questo la follia trova la sua
esaltazione. Essa diventa un emblema dell'Anima
soffocata dal Reale, di un'aspirazione all'ideale e alla
bellezza schiacciata dal peso della materia e della
malattia: diventa, cioè, un'allegoria della condizione
dell'uomo moderno. In questo senso tra genio e follia
non c'è più contrapposizione, diversamente da quanto
accadeva in Goethe e in Leopardi. La follia non è il limite
del genio, ma la sua manifestazione più piena. Il poeta e il
pazzo sono entrambi malati, ed entrambi respinti ai
margini della società come individui ridicoli, improduttivi
e scomodi (basti pensare a un'altra lirica famosa di
Baudelaire, L'albatro). La follia diventa così, proprio come
l'arte nel mondo contemporaneo, privilegio e
Delacroix, Tasso recluso a Sant'Anna. Winterthur, Collezione dannazione.
Reinhart. Il poeta nella cella, malato, derelitto,
Eugène Delacroix (1798-1863), uno dei maggiori pittori con il piede convulso gualcendo un manoscritto,
romantici francesi, dipinse due versioni di questo stesso mira con occhio acceso dal fuoco del terrore
soggetto: una nel 1824 e una nel 1830. È appunto questa l'abisso di vertigine dove affonda il suo cuore.
seconda, qui riprodotta, che vide Baudelaire. Tasso
appare in vesti discinte, assorto, con il capo appoggiato Le stridule risate ch'empiono la prigione
sulla mano. Presenze minacciose, non si capisce se reali o allo strano e all'assurdo spingon la sua ragione; l'avvolge
se frutto del delirio, tentano di sottrargli le sue carte, ab- stretto il Dubbio, e la Paura immonda, multiforme,
bandonate negligentemente. La pensosità e i fogli ridicola, soffiando lo circonda.
tradiscono la sua grandezza di artista: ma è una
grandezza ridotta a un'ombra e quasi rinnegata Delacroix Quel genio rinserrato in un tugurio infame,
interpreta la malattia di Tasso come malinconia: è quegli urli, quelle smorfie, quei fantasmi che a sciame
l'atteggiamento di chi medita dolorosamente, e perciò turbinando in rivolta tormentano il suo udito,
ben si addice all'idea romantica di genio. Baudelaire,
invece, insiste sulla degradazione che la follia comporta, quel dormiente svegliato dall'orrore del sito,
dandoci un'immagine più fosca e spaventosa. Non a è ben questo il tuo emblema, Anima dagli oscuri
caso, egli era un ammiratore di Poe, che collega la pazzia sogni, tu che il Reale soffoca fra i suoi muri!
appunto al terrore. da C. Baudelaire, I fiori del male e altre poesie, trad. di G. Raboni, Einaudi, Torino 1999
18
Il perturbante
Il carattere di eccesso che l'età romantica riconosce alla follia può essere tale da farne un fenomeno perturbante: un
fenomeno, cioè, che sconvolge la nostra normale percezione della realtà, evocandoci insieme qualcosa di sinistro e di
oscuramente familiare.
Proprio in quanto stravolgimento delle normali categorie della realtà, la follia trova la sua sede più adatta nella
letteratura fantastica. Uno dei maestri del genere è il tedesco E. T. A. Hoffmann (1776-1822). Esce nel 1817 il suo
racconto L'uomo della sabbia (o Il mago Sabbiolino) che attirerà anche l'attenzione di Freud. Il giovane Nataniele è
turbato da una fiaba udita da bambino: quella dell'uomo della sabbia che strapperebbe gli occhi ai bambini cattivi e che
avrebbe causato la morte di suo padre. Questa figura lo ossessiona a tal punto da farlo impazzire: egli lo riconosce in
varie figure che lo circondano e in particolare nel professor Coppola, creatore di Olimpia, una bambola di cui egli si
innamora credendola una creatura vivente. La follia affonda qui le radici in un'esperienza comune a tutti: quella del
terrore infantile. Essa è sì un fatto eccezionale, una stortura delle leggi comunemente riconosciute dagli uomini e un
abbandono delle leggi che regolano la società (per amore di Olimpia, Nataniele dimentica la sua fedele e incantevole
fidanzata); ma è anche qualcosa che cova in ognuno di noi.
Questa idea era già alla base del romanzo Gli elisir del diavolo (1815-1816), intricata vicenda di frate Medardo che,
bevuto un vino satanico, intraprende una fosca e bizzarra carriera di scelleratezze, sino a espiare i suoi peccati e a morire
come un santo. In questo libro, la follia domina incontrastata. Essa consente, anzitutto, un modo di narrare
assolutamente originale e innovativo, che ignora le esigenze del nascente realismo e, per certi aspetti, sembra
preannunciare la libertà inventiva del surrealismo. Come nella concezione romantica che accosta follia e genio, anche
per Hoffmann essa è una forma di conoscenza più profonda e misteriosa di quella razionale: i pazzi sembrano essere in
più stretto contatto con lo Spirito; sono più ricettivi, quantunque inconsciamente, dei pensieri e degli stati d'animo altrui;
vedono le cose nascoste in noi e le riecheggiano, le ripetono in modo singolarissimo, dandoci la sconcertante sensazione
di udire la voce paurosa di una nostra seconda personalità. Ma questa conoscenza più profonda rivela qualcosa di
sconvolgente e terribile. Negli Elisir del diavolo, la follia si lega costantemente a due temi: quello del peccato, del delitto,
della tentazione diabolica; e quello del doppio. Il primo aspetto rivela che la pazzia si fonda sulla natura profonda degli
uomini, quella natura che la razionalità e la civiltà addomesticano o non vogliono vedere. Il soprannaturale, insomma,
sta per la natura profonda degli uomini. Il secondo aspetto mette in crisi l'idea tranquillizzante e forte di identità che il
resto della cultura romantica contribuisce in larga misura ad elaborare. Medardo è costantemente perseguitato da
personaggi in cui riconosce un proprio sosia criminale (un fratello di cui ignorava l'esistenza). Per di più, si sdoppia
credendosi ora un santo, ora Satana e, alla fine, smarrendo se stesso. L'eccesso della follia non è, per Hoffmann,
un'esaltazione della personalità che cancella e nega la personalità stessa: è una crisi che rivela l'infondatezza della stessa
nozione di identità. Considerando le vicende del pazzo, ci rendiamo conto che nessuno di noi è uno, e che siamo tutti
abitati da pulsioni contrastanti e distruttive: un tema che solo nel Novecento sarà sviluppato sino in fondo.
La follia rivela così il nostro aspetto oscuro; il fantastico e il soprannaturale dicono qual è la nostra reale natura. Su
questa strada si pone un altro grande maestro del genere, l'americano E. A. Poe (1809-1849). Roderick, il protagonista di
uno dei suoi racconti più famosi, Il crollo della casa Usher, è affetto da una strana forma di terrore. Le origini di questo
stato sono da una parte in una predisposizione ereditaria, dall'altra nell'attesa della morte della sorella Madeline,
consumata da una malattia incurabile. Ma in entrambi i casi, ciò che conta è lo sprofondare in una paura primitiva, senza
ragioni né confini: la follia rivela un'angoscia esistenziale che popola il mondo di fantasmi sinistramente familiari. Il
terrore di Roderick Usher si collega infatti alla morte della sorella, con cui egli sembra intrattenere un rapporto morboso,
e all'estinzione della casata. Nel finale del racconto, il terrore prende una forma concreta: lady Madeline, sepolta,
riemerge dalla tomba, mentre la casa degli Usher crolla rovinosamente. La follia, insomma, svela un'inquietante
compresenza di vita nella morte e morte nella vita.
Il legame tra fantastico e follia emerge con chiarezza anche nelle opere di un pittore che è Poe stesso a citare nel Crollo
della casa Usher lo svizzero Füssli. Richiamata direttamente o indirettamente, la pazzia porta alla luce le forze oscure
dell'inconscio. Anche qui il fantastico è la traduzione di angosce profonde, legate a pulsioni distruttive (come in Lady
Macbeth sonnambula) o alla sessualità (come nella Follia di Kate e soprattutto nell'Incubo). Perciò la pazzia si lega a
figure femminili: la donna è non solo la creatura più fragile di fronte alle passioni, ma anche l'oggetto del desiderio
sensuale che si nasconde dietro l'attitudine sentimentale. Ancora una volta, dunque, la follia rivela una verità scomoda
sulla natura umana. 19
Follia, incubo e terrore nell'opera di Fussli
Nato a Zurigo ma vissuto quasi sempre in Inghilterra a partire dal 1764, Johann Heinrich Füssli ( I 741- 1825) è un pittore
stravagante: autodidatta vicino al classicismo nelle sue posizioni teoriche, egli sviluppa uno stile fortemente anticlassico
e manierista. La maggior parte della sua attività consiste nell'illustrazione di soggetti letterari, tratti sia dai classici greco-
latini, sia dalle letterature medioevali, sia da Shakespeare e da Milton. Una spiccata predilezione va a temi fantastici,
grotteschi o sensuali, con una decisa insistenza per l'aspetto perturbante. Perciò la follia, l'incubo e il terrore hanno uno
spazio decisivo nella sua opera. Lady Macbeth sonnambula
Il soggetto di questo tela, del 1781-84, è la prima scena dal V atto del
Macbeth di Shakespeare. Il sonnambulismo di lady Macbeth è uno stato
patologico che il medico stesso riconosce come incurabile. Esso non riguarda
il corpo, ma l'anima e la sua salvezza: resuscita sensi di colpa così profondi,
che porteranno la donna alla morte. Anche se lo stato della regina non è
esplicitamente definito follia, esso viene spesso letto in questa chiave. Füssli
la rappresenta in una posa insieme teatrale e rigida, come di qualcuno che
non controlli se stesso. La chioma scomposta e i nastri svolazzanti contrastano
con un'immobilità allucinata. In particolare, l'attenzione si incentra sullo
sguardo atterrito e vacuo e sulla mano alzata a numerare l'ora di un delitto.
Come in Poe, la follia nasce qui dal profondo e ne svela la verità.
Johan Heinrich Füssli, Lady Macbeth
sonnambula, Parigi, Louvre.
L'incubo
È una delle tele più famose del pittore
svizzero, compiuta nel 1781 e replicata
in varie occasioni sino agli anni Venti
dell'Ottocento. La giovane
addormentata e riversa sul letto è in
una posa non priva di sensualità (in
altre versioni del quadro, il seno è nudo
e provocante): la contraddistinguono
insieme eleganza e scompostezza,
abbandono e raffinatezza. Sul petto sta
seduto un coboldo, cioè uno spirito
simile a un elfo che, secondo la
mitologia germanica, abita presso il
focolare domestico: egli rappresenta,
con le sue forme ripugnanti e oscene,
l'incubo stesso. Dall'oscurità emerge la
testa di una grottesca cavalla: si tratta
della nightmare su cui, nella tradizione
popolare inglese, gli incubi viaggiano di
notte. Come in una crisi allucinatoria,
l'incubo materializza in forme concrete
e nemiche le ossessioni che la ragione diurna Johan Heinrich Fiissli, L'incubo, Detroit, Institute of Arts.
nasconde. Füssli connette qui quattro
elementi: le forze profonde della natura umana, richiamate dal sogno e dalla sessualità (cui alludono in modi opposti sia
il fascino femminile, sia l'oscenità delle apparizioni); il perturbante, cioè la forma orribile che quelle forze assumono; il
fantastico, con il richiamo alla mitologia e alle leggende popolari; il sonno della ragione, che accomuna sogno e follia. 20